
Mozione d’ordine: per ciò a cui stiamo assistendo (sgomenti) in questi giorni, proponiamo di cambiare l’inno dell’Unione europea. Pur restando fedeli al repertorio beethoveniano, al posto dell’inattuale Inno alla gioia, nelle capitali europee altra composizione si dovrebbe suonare, del medesimo autore. Segnatamente, la Sonata per pianoforte numero 8, Opera 13, meglio nota come Grande sonata patetica. D’altro canto, quale aggettivo più appropriato potrebbe venire alla mente dopo aver visto all’opera alcuni dei principali leader del Vecchio continente – e non solo – arrampicarsi sugli specchi di soluzioni lunari alla crisi ucraina, nel corso del summit tenuto lo scorso 2 marzo alla Lancaster House di Londra? Se quell’incontro fosse stato un progetto audiovisivo sarebbe stato un episodio della fortunata serie televisiva americana degli inizi anni Sessanta Ai confini della realtà. Ma con un tuffo (spericolato) nel passato. Con la proposta franco-britannica di invio di una forza militare in territorio ucraino per garantirne la sicurezza da futuri aggressioni russe, senza però il supporto statunitense, sembra essere tornati ai tempi ingloriosi della crisi del Canale di Suez del 1956. Allora francesi e britannici tentarono di far valere una mai rimossa tentazione colonialista. Anche allora russi e americani si ritrovarono dalla stessa parte, intenzionati a far abbassare le penne agli arroganti europei.
Anche allora, alle prime avvisaglie di intervento dello “zio Sam”, i “volenterosi” franco-britannici batterono in ritirata. Vogliamo fare dell’Ucraina un patetico déjà vu? No, grazie. Realismo, signori, realismo! Joe Biden ha voluto il confronto muscolare con la Russia per interposta resistenza ucraina. Allo scopo, ha aperto i rubinetti dei finanziamenti e delle forniture militari Usa a Kiev e le cose sono andate come sappiamo. Poi, è arrivato Donald Trump che ha deciso di chiudere quel rubinetto e di dare un taglio alla guerra contro Mosca, per ragioni geopolitiche che possono essere più o meno discutibili ma che sono le sue ragioni e nessuno finora ha mostrato di possedere forza sufficiente per impedirgli di averle e di perseguirle. Perciò, quando la Casa Bianca decide che la guerra va fermata, non c’è nulla che i comprimari – i quali hanno preso parte alla macabra messinscena della guerra lungo il termine dell’Europa – possano fare o dire per cambiare il corso degli eventi. Francesi, britannici e magari italiani e tedeschi sul suolo ucraino? A far cosa? E con quali armi, visto che gli arsenali dei Paesi Ue sono pressoché svuotati? Al summit che ha pronosticato la nascita della “coalizione degli inutili”, l’unica cosa che non è mancata è stata la fantasia. Dalla quiete delle stanze vittoriane della Lancaster House sono spiccati tanti voli pindarici che, domenica scorsa, hanno intasato il traffico aereo sui cieli di Londra. Tutti riuniti nei quattro punti partoriti a conclusione del summit delle meraviglie. Si comincia dal preambolo: proporre una tregua d’armi di un mese, propedeutica all’avvio dei negoziati di pace. Tregua, che la parte russa ha escluso categoricamente.
Punto primo: mantenere il flusso di aiuti militari all’Ucraina mentre la guerra è in corso e aumentare la pressione economica sulla Russia. Ribadiamo: con quali armi, visto che l’Europa non ne ha quasi più da fornire e l’altro ieri Trump ha disposto lo stop dell’invio di forniture militari Usa all’Ucraina fino a quando il presidente Volodymyr Zelens’kyj non sarà tornato a più miti consigli, accettando le condizioni dettate da Washington per chiudere il conflitto? Inasprimento delle pressioni economiche su Mosca? Bel colpo, purché lo si dica a Trump che, nelle stesse ore, sta valutando di ridurre le sanzioni alla Russia.
Punto secondo: qualsiasi pace duratura deve garantire la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina, e l’Ucraina deve essere al tavolo di qualsiasi dialogo di pace. Ma di quale sovranità si blatera? Vladimir Putin non ha messo in discussione l’esistenza dell’Ucraina come Stato sovrano. Ma bisogna intendersi quale Ucraina? Non più quella dei territori conquistati, che Mosca non intende restituire a Kiev. E l’autocrate Putin neppure permetterà una cessione parziale di sovranità dell’Ucraina a entità sovranazionali (Nato, Ue) che possano minacciare la sicurezza della Russia. Sul partecipare di Kiev ai negoziati, che si fa se Trump e Putin si accordano in separata sede? L’Europa risponderebbe, in preda a un sussulto di orgoglio: non ci sto! E poi? E poi fa come gli anglo-francesi a Suez: batte in ritirata.
Punto terzo: in caso di accordo di pace, l’obiettivo dei leader europei sarà quello di scoraggiare qualsiasi futura invasione da parte della Russia in Ucraina. Magnifico, saranno gli europei a garantire il futuro ucraino. E con quali mezzi di supporto? Con quali eserciti? Con quali carri armati? Con quale protezione aerea? Con qual deterrenza nucleare? A uno stadio onirico di transizione dalla veglia al sonno, forse è anche possibile immaginare di realizzare uno scenario da europei protettori degli ucraini, ma nella fase del risveglio ci si rende conto che i sogni restano sogni e la realtà sta da un’altra parte. Se si volesse essere onesti con il presidente ucraino, che chiede il sostegno di una difesa comune europea, bisognerebbe dirgli: “Caro Volodymyr, ripassa tra dieci anni, nel frattempo arrangiati come puoi”.
Punto quarto: Potrebbe esserci una “coalizione dei volenterosi” incaricata di dare garanzie di sicurezza all’Ucraina futura ed eventualmente schierare un contingente militare di pace. Il “crescendo” perfetto che chiude il capolavoro polifonico londinese. Organizziamo una spedizione da schierare sulla linea del fronte russo-ucraino per garantire la pace. E se, Dio non voglia, scoppiasse un conflitto a fuoco con soldati europei che cadono vittime del fuoco nemico, che faremmo? Si combatte? Con quali regole d’ingaggio? E i contingenti inviati sarebbero sufficientemente attrezzati nella dottrina militare per un’eventualità del genere? S’invocherebbe la clausola di soccorso, prevista dall’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico, in materia di difesa collettiva? E se gli Stati Uniti dovessero rispondere picche alla richiesta di intervento, la guerra alla Russia la faremmo da soli? Ma hanno capito questi leader continentali su quale pianeta e in quale tempo vivono? Pensano di essere ai tempi della guerra di Crimea?
Allora – era il 4 ottobre 1853 – un’alleanza composta da Impero ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna sfidò in campo aperto l’Impero russo. La Crimea fu teatro di epiche battaglie. Balaklava, Inkerman, la Cernaia, furono luoghi dove gli eserciti europei scrissero pagine di gloria. Ma questo succedeva due secoli fa. Oggi non ci sono indomiti squadroni di cavalleria da lanciare all’attacco dei bastioni fortificati del nemico, ma bisogna fare i conti con anonimi missili ipersonici e droni, che cadono indistintamente sulle teste di soldati e di civili perché l’acciaio che piove dal cielo non conosce differenza tra i suoi bersagli. Ha fatto bene la premier italiana, Giorgia Meloni, a mostrarsi perplessa verso tale sarabanda di idee confuse e irrealistiche. E ha fatto bene a tenere la barra dritta sulla ricomposizione del dialogo tra Usa e Europa. Perché tutto, nei giorni a venire, potrà accadere sul dossier Ucraina, ma non che l’Occidente si frantumi. La nostra civiltà è cosa troppo preziosa perché il suo destino finisca nelle mani di un Emmanuel Macron qualunque. E neanche che un Trump indispettito ne faccia strame e un Putin ringalluzzito se ne prenda gioco.
Aggiornato il 05 marzo 2025 alle ore 09:52