Donald Trump: l’età del disincanto

In Europa ci si interroga su quanto sia pazzo Donald Trump. Interrogativo oltremodo ozioso. Ci si chieda piuttosto chi sia realmente il pazzo dell’odierno dramma planetario: Trump, che fa gli interessi della sua Nazione, tenendo fede a ciò che ha promesso in campagna elettorale, o gli spocchiosi leader europei, che continuano ad atteggiarsi come se fossero loro l’ombelico del mondo e come se non fossero corresponsabili della disfatta occidentale in Ucraina? Liberi di cantarsela e suonarsela come più gli aggradi, ma i vari Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Pedro Sánchez sono patetici quando provano a negare la realtà sulla guerra russo-ucraina. Non c’è gloria nel dire: l’avevamo detto. Eppure, fin dal primo giorno della sciagurata invasione russa dell’Ucraina abbiamo sostenuto – scripta manent – che sarebbe stata pura follia pensare di regolare i conti con il nemico russo per interposti morti ucraini. Si era capito da subito che la pressione su Mosca avrebbe spinto i vertici del Cremlino a buttarsi tra le braccia del più pericoloso e subdolo nemico dell’Occidente: la Cina comunista.

Sapevamo che l’escalation bellica sarebbe costata molto più a noi europei, in termini economici, di quanto sarebbe costata a coloro che avremmo voluto vedere in ginocchio. Siamo andati dietro a Joe Biden, come ingenui sempliciotti stregati da un improbabile pifferaio. Ci siamo illusi di sconfiggere il nemico senza doverci sporcare le mani in una guerra aperta che, con tutta evidenza, sarebbe stata l’ultima per l’umanità, perché dopo l’uso delle armi nucleari non ci sarebbe stata più l’umanità. Per mesi ci siamo impiccati all’idea che si potesse giungere a una pace giusta, intendendo con essa l’umiliazione dell’autocrate Vladimir Putin. E, per altrettanti mesi, abbiamo cullato il sogno di vedere collassare il regime a Mosca. Poi, però, è accaduto l’inevitabile. Il buonsenso si è riappropriato della realtà, riportando ogni cosa alle sue effettive dimensioni. Così, oltreoceano è arrivato “il pazzo” che ha detto sull’Ucraina una cosa ovvia: questa guerra deve finire e visto che sono io a metterci i denari, sono anche colui che detta le regole del gioco e stabilisce chi sia della partita del negoziato e chi invece debba restarne fuori.

Questo è Trump. Ha deciso di trattare direttamente e rapidamente con Vladimir Putin una soluzione duratura e soddisfacente per far terminare il conflitto in atto. Per conseguire l’obiettivo non ha bisogno di tirarsi dietro il caravanserraglio dei supponenti leader europei i quali vorrebbero dire la loro, come se fossero i protagonisti assoluti dello scenario globale. Certo, è doloroso scoprire quanto la vecchia Europa sia marginale nelle nuove dinamiche planetarie, ma che si fa? Si dichiara guerra all’America? Vi sono occasioni nelle quali è più dignitoso tacere e incassare il colpo invece che rendersi ridicoli abbaiando alla luna. Ne è consapevole lo stesso Volodymyr Zelens'kyj, il quale, da quando c’è un nuovo inquilino alla Casa Bianca, ha cambiato totalmente registro nei suoi accorati proclami, mostrandosi estremamente malleabile con il potente alleato e dicendosi pronto al dialogo col nemico. Lui sa che dovrà pagare un prezzo per tenersi stretta la protezione statunitense e, per non farsi cogliere impreparato, ha già tirato fuori la penna, la carta bollata e il carnet degli assegni. Trump, in cambio degli aiuti militari, vuole terre rare, di cui l’Ucraina abbonda, per un controvalore di 500 miliardi di dollari? E terre rare siano. Se, per sottrarre Mosca all’abbraccio mortale con Pechino, Trump deciderà che concedere pezzi di Ucraina – peraltro già conquistati da Mosca sul campo di battaglia – risolverà il problema con Putin, Kiev sarà obbligata ad accettare la mutilazione territoriale.

E non servirà a nulla che il circo Barnum dei capataz europei gli dica di non farlo perché lui, Zelens'kyj, gli ribadirà ciò che ha già detto al quotidiano inglese Guardian: l’Unione europea, senza gli Stati Uniti, non può garantire la nostra sicurezza. Il presidente ucraino ha negli occhi e nella mente i giorni della fuga dell’Occidente dall’Afghanistan, quando uno scriteriato Joe Biden decise di togliere le tende da Kabul nel mondo ignobile che ricordiamo tutti, a nostra vergogna. Prima di mollare, però, l’allora leader del mondo libero disse agli alleati: noi ce ne andiamo, se voi intendete restare fate pure. I leader europei si guardarono negli occhi e mestamente risposero: andiamo via anche noi. Perché Kiev 2025 dovrebbe essere un altro film rispetto a quello horror, visto nell’estate di Kabul 2021? Nella testa di Trump, la Russia conta enormemente di più di qualsiasi altro Paese europeo. Ecco perché pensa di Putin che sia più utile averlo amico piuttosto che combatterlo.

Noi europei avevamo dato per spacciato il “cattivo” Putin, solo perché non studiamo a dovere la geografia. E la storia delle relazioni internazionali. Se l’avessimo fatto con diligenza, avremmo compreso per tempo che Mosca continua ad avere un ascendente fortissimo in vaste aree di quel continente africano che, nel prossimo futuro, sarà la pentola a pressione la cui possibile deflagrazione sconvolgerebbe il mondo. Ma il Cremlino è attivo anche nel quadrante strategico del Mediterraneo e in quello dell’indo-pacifico. Ha voce in capitolo in Medio Oriente, sia nei rapporti con le monarchie del GolfoArabia Saudita in testa – sia sul versante sciita, che significa Repubblica iraniana. Trump pensa di neutralizzare la potenziale minaccia nucleare degli ayatollah senza ricorrere alla guerra preventiva grazie anche all’aiuto della moral suasion che Putin può esercitare su Teheran.

Poi c’è l’India, che sta crescendo a dismisura in tutti i sensi. Delhi ha da sempre intrattenuto rapporti positivi con Mosca. Perciò, se Trump punta ad annichilire il tentativo di Pechino di rovesciare la sovranità del dollaro nella regolazione degli scambi commerciali globali attraverso la via alternativa dei Brics, dovrà agire servendosi del ritrovato amico Putin per scongiurare una tale evenienza. Ecco perché, nella visione trumpiana, l’Ucraina occupa lo spazio di una tessera del mosaico che va rapidamente risistemata al posto giusto. E l’Unione europea al tempo del disincanto trumpiano? Per lei restano solo due strade percorribili e deve decidere d’imboccarne una. Può continuare a frignare, neanche fosse un bambino a cui è stato strappato di mano il gelato, oppure può incassare la lezione e trarne profitto mettendo in piedi un serio piano di risalita che inevitabilmente avrà tempi lunghissimi e che passerà per la creazione politica degli Stati Uniti d’Europa, forti di una sola capitale, di una sola moneta, di un solo corpo elettorale, di un solo esercito, di una sola politica estera.

Il buonsenso farebbe propendere per la scelta della seconda via, ma al momento gli Stati europei non hanno metabolizzato a sufficienza i millenni di storia che li hanno visti prevalentemente combattersi da acerrimi rivali, e solo di rado ritrovarsi convinti alleati. Bruxelles, la Commissione, l’euroburocrazia? Appaiono agli occhi dei popoli comunitari punti indistinguibili di un universo parallelo, lontani a distanza siderale dalla quotidianità dei territori e dai bisogni reali della gente. E l’Europarlamento? Una gabbia di matti, fanatici dell’ambientalismo, per di più ipoudenti e ipovedenti. Ma se questo è il carro che ci dovrà condurre alla Terra promessa dell’unità europea, siamo messi male. Povero, scalcinato Vecchio continente.

Aggiornato il 17 febbraio 2025 alle ore 09:48