![Vietato prendere i patrioti sottogamba](/media/8310247/sola.jpg?crop=0.10231079640627379,0.024993597181380313,0.017340490330440106,0.0042434973823474434&cropmode=percentage&width=370&height=272&rnd=133838270230000000)
Abbiamo avuto la sensazione che la politica – sempre più spesso soggetta ai media che ne dettano l’agenda – abbia preso un po’ troppo alla leggera il raduno dei patrioti europei, tenutosi a Madrid lo scorso fine settimana. Eppure, l’evento avrebbe meritato di essere messo al centro del dibattito politico sia in Europa, sia in Italia. La rappresentazione, invece, che ne ha dato la maggioranza della stampa internazionale – e la nostra a ruota – ha restituito l’immagine di una combriccola di scappati di casa alle prese con elucubrazioni retoriche tra sovranismo folclorico e sconclusionate utopie nazionaliste. Tuttavia, il fatto che la sinistra derida il nemico politico è da mettere in conto, essendo un caposaldo della propaganda comunista denigrare l’avversario. Ciò che è meno comprensibile è il silenzio – al limite dell’imbarazzo – degli ambienti delle destre moderate e conservatrici che siedono nel Parlamento europeo.
È legittimo operare nello spirito della libera concorrenza quando si parla di mercato elettorale, ma anche alla competizione interna a una macroarea ideologica omogenea, il farsi le scarpe a vicenda dovrebbe rispettare limiti invalicabili. Ciò per il bene di un’idea della destra che è più grande, più nobile e più duratura delle sue suggestive declinazioni interpretative. D’altro canto, la sinistra ha puntato sulla legittimazione mirata a diversi gradi – in stile patente a punti – dell’avversario politico, studiata allo scopo d’impedire alle diverse anime della destra di fare massa critica per contrastare la sua aspirazione egemonica. Ciononostante, in Italia la geniale intuizione di Silvio Berlusconi di riunire le destre e il centro moderato, in vista di una coalizione organica per il governo della Nazione, è penetrata nel sentire politico degli italiani e, sebbene con alterne fortune, si è consolidata anche dopo l’ideale passaggio di testimone della leadership carismatica dal vecchio leone di Arcore a quella della giovane e volitiva Giorgia Meloni. In Europa non è accaduta la stessa cosa.
La distanza tra le diverse destre e il centro politico moderato, costituito dal Partito popolare europeo, non si riduce. La conseguenza dell’incapacità a coalizzarsi si trasforma in concessione di spazi di potere alla sinistra rosso-verde, che da minoranza nelle urne sta di fatto disegnando a sua immagine il futuro dei popoli europei. Sarebbe il momento che le classi politiche dei partiti di destra riflettessero seriamente sulla necessità di scendere dal piedistallo delle loro posizioni intransigenti e cominciassero ad ascoltarsi vicendevolmente alla ricerca di soluzioni condivise alle problematiche reali che affliggono i cittadini europei, a qualsiasi latitudine si trovino. I “Patrioti” si sono visti per discutere. Non sono quattro gatti: a Strasburgo sono in 86 europarlamentari su 719. Per numerosità, Patrioti europei (PfE) è il terzo gruppo nell’odierna legislatura. Il che dice molto, ma non rende la consistenza del quadro d’insieme. Conservatori e riformisti europei (Ecr), a cui aderisce Fratelli d’Italia, forma il quarto gruppo europarlamentare con 80 membri iscritti. Se a questi aggiungiamo i “reietti” di Europa delle Nazioni Sovrane (Esn) – l’eurogruppo messo in piedi dai rappresentanti di Alternative für Deutschland (AfD) e che sono in 26 – la destra nel suo complesso ha 192 europarlamentari, 4 in più del primo partito che è il Partito popolare europeo (Ppe, 188); 56 in più dei socialisti (S&D,136).
Con il pretesto della creazione del cordone sanitario “antifascista” a garanzia dell’ordine democratico nell’Unione, la sinistra – attirando a sé il Partito popolare europeo – riesce a tenere le leve del potere mentre i più votati in Europa sono trattati da impresentabili e la stessa Giorgia Meloni ha dovuto fare i salti mortali per avere un ruolo all’interno della nuova Commissione di Ursula von der Leyen. Così non funziona. E non perché ci disgusti l’idea di vederci assoggettati alla dittatura del politicamente corretto dei progressisti – in realtà, anche questo – ma principalmente perché le politiche che la sinistra propone stanno condannando l’Europa delle democrazie avanzate a mettersi fuori dalla storia e a finire ai margini dei grandi processi economici globali. Ora, sulle questioni di fondo – una volta risolto il nodo gordiano della guerra russo-ucraina, che ha lacerato il campo anti-progressista, grazie al decisionismo pragmatico del “papa straniero” Donald Trump – le destre riscoprono posizioni talvolta sovrapponibili.
Si pensi alla necessità di contenere il fenomeno migratorio rafforzando la vigilanza ai confini d’Europa; si pensi alla convinzione di fermare la follia del green deal che sta portando alla distruzione di parte degli apparati industriali tradizionali di tutti i Paesi dell’Unione; si pensi al desiderio di restituire dignità e ruolo alle istituzioni portanti della cultura occidentale quali la famiglia tradizionale, la scuola, la religione cristiana, il diritto assoluto alla proprietà privata, il rispetto dell’ordine e della sicurezza sociali, imponendo un’inversione di rotta rispetto alla china imboccata con le teoria sulla costruzione sociologica del gender e, in generale, con il relativismo culturale. Oggi i Patrioti, accusati di essere nazionalisti e perciò anti-europei, hanno adottato il motto forgiato da Elon Musk: Make Europe great again, fare di nuovo grande l’Europa. É un buon inizio che serve a riattualizzare il dialogo – e la memoria – a destra. E non solo. Se i Patrioti vorranno in futuro governare l’Europa non possono attendere illusoriamente che la maggioranza assoluta dei cittadini gli darà il voto. Dovranno necessariamente pensare a una coalizione che tenga dentro il centro moderato e riformista, quindi il Partito popolare europeo.
Matteo Salvini, nel suo discorso all’assemblea dei patrioti, ha visto giusto nel rivolgersi agli esponenti del Ppe sollecitandoli a una scelta di campo, ma ha sbagliato a porre la questione in termini di out-out. Le alleanze, perché durino, devono essere frutto di un processo di destrutturazione dell’offerta politica di parte e di una ricomposizione di essa su basi che siano accettabili per gli interlocutori che si intendono federare. Ma prima di arrivare al confronto costruttivo con il Ppe ci sono i Conservatori da coinvolgere in un progetto europeo condiviso. Di certo, fare la gara tra chi da questa parte dell’Oceano sia più trumpiano dello stesso Trump, non aiuta. Il nuovo leader del mondo libero può essere un faro di speranza per tutti gli occidentali ma non il messia che salva l’umanità, a cominciare dai suoi devoti ammiratori. Trump è il capo della più potente Nazione al mondo e sta facendo l’impossibile per ricordarlo a tutti, amici e nemici.
Perciò, il problema non è ciò che fa lui a Washington ma cosa i rappresentanti della destra europea sanno fare insieme per il benessere e il futuro dei propri concittadini. Per questo, serve dialogo. Non solo con il centro riformista ma anche con la destra oltranzista. Non ha senso stare al gioco mistificante della sinistra che dispensa bollini e patenti di antifascismo all’universo mondo. Per essere chiari: Alternative für Deutschland può non piacere. Alcune sue rivisitazioni del passato appaiono inaccettabili. Il loro nazionalismo revanscista è miope. Tutto vero, ma isolarli non serve. Ghettizzarli, rifiutando il loro apporto alla costruzione di una destra unita, è un errore strategico ancor prima che tattico. Come certificheranno gli esiti delle imminenti elezioni in Germania, l’AfD mostrerà di aver meglio di tutti intercettato e “letto” il malessere dei tedeschi.
Davvero gli altri partiti della destra vogliono lasciare la rappresentanza del disagio che va espandendosi in Europa ai fanatici oltranzisti dell’AfD e di formazioni analoghe presenti in quasi tutti i Paesi dell’Unione? Dov’è finito il sano pragmatismo bismarckiano? I Patrioti – come pure i Conservatori – dovrebbero far valere per quelli di AfD ciò che il presidente Franklin Delano Roosevelt disse del dittatore nicaraguense Anastasio Somoza: “sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Ugualmente: quelli di AfD saranno pure dei “figli di puttana”, ma i loro voti e il consenso popolare di cui godono servono ad arginare lo strapotere della sinistra.
Beninteso, il progetto di una coalizione a destra che dialoghi con il Partito popolare europeo non è dietro l’angolo. Occorrerà questa legislatura e forse anche la prossima perché il processo di ripensamento critico delle ragioni degli uni e degli altri si concretizzi in un’alleanza organica. Molto dipenderà dall’evoluzione del quadro politico e dei rapporti di forza partitici all’interno dei singoli Stati membri dell’Ue. Se continuerà il trend positivo per le formazioni di destra che stanno conquistando la maggioranza dei Paesi membri, la confluenza a livello centrale potrà viaggiare più speditamente.
Ci vorranno anni, ma se in Italia abbiamo aspettato ben più di mezzo secolo per vedere una ragazza di destra varcare la soglia di Palazzo Chigi, che sarà mai attendere un lustro o due per vedere replicata la stessa scena, a Bruxelles?
Aggiornato il 12 febbraio 2025 alle ore 09:43