Riforma della giustizia: ridiamo centralità alla Polizia giudiziaria

Il procuratore della Repubblica è oggi il dominus delle indagini e ha il controllo assoluto sulla Polizia giudiziaria ma la legge di riforma sulla Giustizia non ha riservato un cenno a questa problematica. Sarà a molti capitato di andare a fare una denuncia presso un organo di polizia e sentirsi dire: “Trasmettiamo alla procura e poi aspettiamo disposizioni”. Si subordina in tal modo ogni iniziativa a quella del procuratore anche per reati minori. Prima di procedere alle dovute riflessioni in merito è bene rammentare un dato oggettivo, recato da più sondaggi: da anni le forze di polizia, a rotazione e nonostante taluni spiacevoli periodici inciampi, sono al primo posto nell’indice di fiducia e gradimento degli italiani, mentre la magistratura occupa stabilmente le ultime posizioni. Dando per scontata la fiducia che gli italiani ripongono nelle proprie forze di polizia è opportuno considerare come il declino delle prerogative della polizia giudiziaria, e in un certo modo della sicurezza in generale, sia iniziato con la riforma del Codice di procedura penale nel 1988. Il vecchio codice, forse considerato illiberale perché emanato nel 1930, fu totalmente trasformato dal ministro Giuliano Vassalli, in un clima di tripudio generale e il sistema da inquisitorio divenne accusatorio, modello anglosassone fondato sul contradditorio in aula e sull’oralità.

Esso, il vecchio codice, conferiva maggiori poteri alle forze di polizia e stabiliva l’obbligo del rapporto da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria al procuratore o al pretore, limitandosi a prescrivere che esso fosse presentato “senza ritardo” e quanto alla trasmissione del rapporto, stabiliva che “gli ufficiali di polizia giudiziaria, terminate le loro operazioni, devono trasmettere immediatamente al procuratore della Repubblica, al pretore gli atti compilati o le cose sequestrate”. Dunque, l’obbligo di trasmettere il rapporto sorgeva soltanto una volta che fossero compiute le operazioni di polizia giudiziaria. Quanto alle funzioni di quest’ultima, era previsto che “la polizia giudiziaria deve anche di propria iniziativa prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, assicurarne le prove, ricercare i colpevoli e raccogliere quanto possa servire all’applicazione della legge penale”. Il sistema delle indagini preliminari era prevalentemente nelle mani della polizia giudiziaria e poteva venire incontro alle esigenze dei cittadini in modo aderente e spedito.

Ciò non in modo assoluto, naturalmente, perché l’autorità giudiziaria aveva il diritto e il dovere di controllare e sindacare l’operato della polizia giudiziaria. Ma non accadeva che il denunciante si sentisse dire dal maresciallo operante che doveva aspettare disposizioni dal procuratore ancor prima di agire. Il procuratore poteva prendere notizia autonomamente, attraverso un’attività propria, ma costituiva una eccezione. In questo quadro l’esercizio dell’azione, sul materiale penale confezionato prevalentemente dall’autorità di polizia giudiziaria, era realisticamente definibile come obbligatorio. Tutto cambiò con il Codice Vassalli che, in merito alla “Direzione delle indagini preliminari”, stabilì, con il colpevole silenzio delle parti interessate, che il pubblico ministero potesse dirigere le indagini e disporre direttamente della polizia giudiziaria, praticamente precludendo alla polizia giudiziaria di svolgere autonomamente indagini. Da quel momento il pubblico ministero è il soggetto cui spetta tutto il potere, in prima persona e con l’ausilio della polizia alle sue dipendenze dirette, di svolgere indagini, ivi compreso il potere, espressamente riconosciutogli di prendere le notizie di reato “di propria iniziativa”.

Le conseguenze, sotto gli occhi di tutti, sono evidenti: la selezione delle notizie di reato è compiuta dal pm, su cui si è trasferito l’immenso potere selettivo in precedenza condiviso con la polizia giudiziaria e con l’enorme mole del materiale penale che perviene al suo ufficio, senza previa indagine e selezione, è divenuto irrealistico il principio dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale. Chiaro che è venuto meno il controllo sociale sulle “fonti di pericolo” che le forze di polizia potevano attuare in una osmosi tra funzioni proprie di polizia preventiva e polizia giudiziaria. I controlli sono stati spostati sempre più in alto e sono divenuti, pertanto, sempre meno concreti e attagliati alle esigenze di sicurezza della popolazione. Il dominus delle indagini è divenuto, anche per prassi consolidata in aggiunta alla normativa, il procuratore che ha così ottenuto il controllo assoluto sulla polizia giudiziaria e, conseguentemente, sul potere esecutivo. La divulgazione giornalistica ha ancor più accentuato tale subordinazione quando ogni complessa operazione investigativa è riportata quale fosse mera attività esecutiva di atti delle procure. La legge di riforma sulla giustizia avrebbe potuto riservare un cenno a questa problematica. Si potrebbe però essere ancora in tempo.

Aggiornato il 05 febbraio 2025 alle ore 10:48