Con le immigrazioni di massa, quale mondo?

L’immigrazione irregolare verso l’Italia – e, in generale, verso tutti i Paesi dell’Occidente democratico – è un problema gigantesco. E non perché lo dica il centrodestra che della questione – e della sua plausibile soluzione – ha fatto l’asse nodale del suo programma politico. Parimenti, anche la sinistra ha scelto di puntare le sue carte sull’immigrazione, ma con un approccio opposto a quello dell’avversario politico. Se il centrodestra è per lo stop agli arrivi in massa dei clandestini, la sinistra è per l’accoglienza di tutti e comunque. Questa è la premessa se non si comprende la quale si rischia di non capire tutto ciò che ne è disceso in questi anni. L’espulsione dall’Italia di un torturatore libico della statura di Najeem Osama Almasri, compreso.

Ora, la tentazione di lasciarsi andare alla polemica da stadio, iscrivendoci a una delle tifoserie che si fronteggiano, è forte ma non ci porterebbe da nessuna parte nella comprensione di un fenomeno dalle radici profonde e dalle prospettive di crescita potenzialmente devastanti. Adesso non servono i toni urlati e la propaganda demagogica, ma occorrono testa e vista lunga per guardare lontano. Già, perché la questione migratoria riguarda l’approccio alla visione del futuro. Che può essere dell’un tipo (conservatore) o dell’altro (progressista). Tertium non datur. E la divisione che sta spaccando verticalmente le società occidentali non può contenersi all’interno di un’ordinaria dinamica di contrapposizione partitica. Essa coinvolge le culture che stanno a fondamento della frattura avvertita nel corpo stesso delle opinioni pubbliche. Con idee e soggetti che, all’interno e all’esterno delle istituzioni pubbliche, di quelle culture sono portatori e interpreti.

Ecco perché quando la destra parla di “toghe rosse” – a proposito di certi giudici che in materia di respingimenti degli immigrati illegali assumono decisioni tendenti all’accoglienza indiscriminata – non sollecita una rissa ma ribadisce un dato di realtà. Cosa si vuole intendere? Che quei magistrati, formatisi sotto l’ombrello di una cultura della giurisdizione vocata alla visione progressista del futuro dell’umanità, compiono, attraverso i loro atti, scelte che sono inevitabilmente “politiche”. Per essere chiari: pensare che i giudici si pronuncino per l’accoglienza e non per il respingimento degli immigrati per fare un favore al Partito democratico è una stupidaggine. Piuttosto, essi scelgono di piegare la legge a ciò che è iscritto nel loro Dna dai tempi della preparazione alla carriera di magistrati. Con un’aggravante, per così dire italiana: aver introiettato la convinzione di essere investiti, in quanto fonte ordinatrice ed esclusiva di verità, del potere castale dell’interpretazione della norma di rango supremo, che regola il pactum societatis tra lo Stato e i cittadini.

La conseguenza di tale convincimento ha portato una parte della nostra magistratura a considerare superata la problematica dellosconfinamento”, di un potere dello Stato rispetto agli altri, a vantaggio dell’introduzione di una necessaria gerarchizzazione in virtù della quale quello giudiziario debba legittimamente esercitare un sindacato di merito sulle attività, ancorché costituzionalmente sancite e regolate, del legislativo e dell’esecutivo. È grazie a un tale riassetto degli equilibri istituzionali che un singolo magistrato può disporre l’apertura di un procedimento penale e relativa iscrizione al registro degli indagati del presidente del Consiglio e di alcuni ministri per attipolitici” compiuti nell’esercizio delle loro funzioni. Potrebbe sembrare l’optimum per redimere una società degradata: una bella storia raccontata da uno dei grandi utopisti dei secoli scorsi. L’Italia trasformata in un’isola felice, dove un consesso di saggi guardiani dell’etica repubblicana di volta in volta interviene a correggere l’operato dei governanti sottoposti al suo sindacato di merito.

Ma come in tutte le narrazioni sulle insidie occulte delle isole felici, il paradiso si trasforma in inferno; la democrazia ideale in tirannide opprimente; la libertà in schiavitù; la sovranità popolare in polvere della storia. Molta gente non comprende il rischio che corre, perché non ha le informazioni necessarie per capire cosa stia accadendo. E anche perché, presa dalla quotidiana lotta per darsi una vita agiata e appagante, quando non per sopravvivere, non ha tempo e modo di alzare lo sguardo e provare a guardare lontano, a cosa accadrà non domani o dopodomani ma tra decenni. Forse, non ha neanche troppa voglia d’interrogarsi sul futuro, assuefatta allo spirito del tempo che spinge l’individuo a desiderare di avere tutto e subito, possibilmente con il minimo sforzo; a circoscrivere il proprio orizzonte esistenziale al qui-e-ora. Invece, il problema della prospettiva c’è e non possiamo fingere che non esista.

La nostra generazione, come quelle che ci hanno preceduto, ha sulle proprie spalle il dovere di scegliere se operare per dare continuità alla storia e alla tradizione di una comunità nazionale oppure se intenda finirla qui permettendo che nel volgere di qualche anno la patria, sorgente originaria della sua identità, debba essere cancellata per dare luogo a una nuova storia, scritta da individui altri, provenienti da altri mondi. I giudici, che hanno sostanzialmente negato la convalida dei respingimenti accelerati per i migranti condotti nel centro di permanenza installato dalle autorità italiane in Albania, hanno scelto una visione di società non condividendola con la maggioranza degli italiani. Eppure, essa è destinata a incidere sulla vita della popolazione perché costituirà un gigantesco precedente in favore delle migrazioni di massa nel nostro Paese. La sinistra ha dato man forte ai magistrati provando a ridicolizzare l’iniziativa del Governo.

Li avete sentiti: soldi buttati in Albania per tenere per qualche ora poche decine di sventurati tempestivamente salvati dai giudici “buoni” che li hanno sottratti alla detenzione nel lager albanese restituendoli alla libertà di circolazione in Italia. I giudici si sono sostituiti al Governo decidendo che i Paesi da cui gli illegali provenivano non fossero da considerare sicuri in materia di rispetto dei diritti umani e per questo motivo, forzando l’interpretazione di una sentenza della Corte di giustizia europea, non avrebbero dovuto essere rispediti a casa loro. Gli illegali venivano principalmente dal Bangladesh e dall’Egitto. Con una tale sentenza è come se i giudici avessero detto agli abitanti di quei Paesi che possono venire in Italia perché, una volta entrati, nessuno li manda via. Sarà stato fatto tutto nel rispetto formale delle norme vigenti, ma i giudici sono consapevoli del potenziale esplosivo che recano decisioni del genere? La graduatoria del Ministero dell’Interno sui Paesi di origine dei migranti colloca ai primi tre posti il Bangladesh, l’Egitto e il Pakistan. Non vogliamo fare gli apocalittici, tuttavia se solo l’un per cento della popolazione di quegli Stati decidesse di emigrare in Italia, sapete di che numeri parliamo? Di circa un milione 700mila bengalesi, di un milione di egiziani, di due milioni 500mila pakistani.

Oltre cinque milioni di individui, ai quali si aggiungerebbero tutti quelli provenienti da altre aree del pianeta. Come potrebbe fare il nostro welfare a reggere un impatto demografico di tali dimensioni? Semplicemente, non potrebbe. Da qui il dilemma diabolico posto in capo alle generazioni di italiani che verranno dopo la nostra: cessare di essere l’Italia, permettendo che divenga un contenitore di speranze e di illusioni altrui o prendere le armi e fronteggiare la minaccia a cannonate essendo costretti a sopprimere gli invasori per lasciare che la Nazione viva? Nella storia dello Stivale è accaduto innumerevoli volte che gli autoctoni abbiano dovuto fare i conti con gli invasori. Talvolta hanno resistito, altre volte hanno avuto la peggio. Se dovesse ricapitare scorrerebbe molto sangue, anche innocente.

Oggi i giudici che difendono l’accoglienza illimitata pensano di appagare la loro coscienza di uomini solidali con l’umanità e la sinistra gli va dietro sostenendo che il modello delle porte aperte sia il paradigma del mondo futuro popolato da un’umanità migliore. Ma è l’inferno che stanno preparando lastricandone la strada con tante buone intenzioni di pace e di concordia universale. La gente deve sapere a cosa va incontro scegliendo l’una o l’altra strada. La coscienza democratica impone che ci si schieri. Comunque, solo una cosa non potrà accadere. Che qualcuno dica: non avevo capito. Nessuna scusante per i distratti; nessuna assoluzione per gli ignoranti; nessuna pietà per gli ignavi e i disertori.

Aggiornato il 05 febbraio 2025 alle ore 09:37