Lo starnazzare della sinistra sui treni che viaggiano in ritardo una verità ce la consegna: Matteo Salvini non è fascista. Perché, se è vero che quando c’era lui (il Duce) i treni arrivavano in orario, il disordine che, da alcuni mesi, ha travolto la rete ferroviaria italiana dimostra che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nonché capo della Lega, Matteo Salvini – accusato dalle opposizioni di essere il responsabile del dissesto ferroviario italiano – non può essere un epigono di Benito Mussolini. Ovvio che si scherza. Ma cos’altro fare se non prenderla a ridere difronte all’impudenza di una sinistra la quale, dopo decenni di potere e di continui lisciamenti del pelo alla componente della sua costituency elettorale antitecnologica, pseudo-ecologista e anti-modernizzatrice ai limiti del luddismo più ottuso (vedi le reiterate incursioni violente ai cantieri delle grandi opere), osa fare la splendida con un ministro che, seppure possa non essere considerato un fulmine di guerra nell’arte del governare la Pubblica amministrazione, ci sta provando a cambiare il volto e la struttura della mobilità su rotaia in Italia. D’accordo, i treni non viaggiano in orario come dovrebbero e gli utenti sono incavolati.
Certo, sarebbe preferibile che i disagi non vi fossero, purtuttavia dal momento che ci sono che si fa? Si chiede la testa del ministro? Si caricano per intero sul suo groppone decenni di ritardi nell’adeguamento della rete ferroviaria? E quelli che comandavano prima, i vari Graziano Delrio, Danilo Toninelli, Paola De Micheli, Enrico Giovannini? Tutti bravi e capaci? Tutti incolpevoli? Per quanto ci si sforzi di capirla, questa sinistra nostrana è proprio irredimibile. Le persone intellettualmente oneste, che oggi patiscono il disagio di un trasporto ferroviario non efficientissimo, sapranno discernere le responsabilità effettive dalle faziosità demagogiche. Chiediamoci allora come stiano realmente le cose. Non capendone un tubo di sistemi di ingegneria ferroviaria, non possiamo fare altro che affidarci alla buona fede dei soggetti attori di questo comparto della mobilità. Quindi, parliamo di Rete ferroviaria italiana, società del gruppo di Ferrovie dello Stato italiane. Stando ai report della holding, il disagio vissuto dalla clientela sarebbe l’indicatore di una crisi di crescita del sistema ferroviario nel nostro Paese. I ritardi nella circolazione sarebbero causati principalmente dalla presenza di un numero straordinario di cantieri operativi per la ristrutturazione totale della rete. Sono in piedi grandi opere e interventi strategici spalmati su tutto il territorio nazionale, finanziati in parte con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e in parte con fondi afferenti dalla programmazione economica nazionale. Qualche esempio, per intenderci. Terzo valico-Nodo di Genova: 53 chilometri, 5 cantieri, 10,623 miliardi di euro d’investimento. Alta velocità Napoli-Bari: 145 chilometri, 6,327 miliardi di euro d’investimenti. Passante Alta velocità Firenze: 8,5 chilometri, 2,735 miliardi di euro d’investimenti. E così continuando. Di opere di tale rilevanza strategica per il futuro dell’Italia se ne contano 43.
Tra queste anche l’estensione della rete dall’Alta velocità da Salerno a Reggio Calabria (17,487 miliardi di euro d’investimenti) e l’allacciamento di Matera, attraverso il nodo di Ferrandina, alla rete ferroviaria nazionale per la prima volta nella sua storia (20 chilometri, 525 miliardi di euro d’investimenti), il tutto per la soddisfazione postuma di Carlo Levi che nel 1943-1944 scrisse Cristo si è fermato a Eboli. Un botto d’investimenti nella mobilità su rotaia (oltre 100 miliardi di euro) e, cosa sorprendente, per opere la cui chiusura dei lavori è programmata tra il 2025 e il 2026. Il dato del cronoprogramma è importante perché fornisce la chiave d’interpretazione del comportamento criptico di Matteo Salvini agli assalti delle opposizioni. Sulla vicenda disagi, Salvini non si mostra particolarmente loquace. Perché di questa improvvisa, insolita afonia? Il silenzio reticente dà spazio e modo alla sinistra di dire la qualunque e, soprattutto, esaspera la pazienza dei cittadini che subiscono sulla loro pelle i ritardi dei treni.
Posto che venga difficile immaginare il capo leghista nei panni di un novello San Sebastiano, disponibile a farsi trafiggere dai dardi dei nemici politici, l’immagine odierna che ci restituisce il ministro è piuttosto quella di un ciclide africano (il Nimbochromis livingstonii), un piccolo pesce che vive nelle profondità dei grandi laghi e le cui caratteristiche di caccia sono affatto singolari: fingendosi morto e rimanendo completamente immobile, una volta avvicinatisi incuriositi gli altri piccoli pesci, al momento opportuno lui si rianima e sferra l’attacco alle ignare vittime. Evidentemente il ministro si fida dei vertici di Ferrovie dello Stato che promettono tempi ravvicinati nel completamento della rivoluzione infrastrutturale italiana, per cui lui oggi tace evitando di farsi strascinare nella bagarre dalle opposizioni, nella certezza che presto potrà sferrare il colpo prendendosi il merito del cambiamento che il Paese attende da decenni.
Se ciò dovesse accadere nei tempi previsti, anche i più arrabbiati degli utenti pendolari troveranno giusto giustificare i patemi e i disagi vissuti. Alla fine saranno loro stessi a riconoscere che a soffrire ne è valsa la pena. D’altro canto, chi di noi automobilisti non ha imprecato almeno una volta nella vita al cospetto di quelle interminabili code causate dalla presenza di cantieri nei tratti stradali, salvo poi a riconoscere laconicamente che quel tal intervento contro cui si è selvaggiamente imprecato ci voleva, era necessario a migliorare la sicurezza della viabilità? Accadrà che anche l’immagine odierna, visibilmente storpiata, del ministro potrà riconciliarsi con la storia futura perché in un giorno imprecisato, di un tempo remoto di lui si potrà dire, come si disse di quell’altro: quando c’era lui, i treni arrivavano in orario.
Aggiornato il 17 gennaio 2025 alle ore 10:03