Il comunismo, il nazismo, il fascismo furono la reazione autoritaria e totalitaria alla società libera, aperta e democratica, dell’Occidente del secolo XIX. La dimostrazione che i funesti regimi del secolo XX furono una “reazione generale” alla democrazia liberale, oltreché “reazionari” in senso specifico, sarà oggetto del saggio sul totalitarismo che Lorenzo Infantino, oggi il più autorevole studioso italiano del liberalismo, darà tra poco alle stampe. Ovviamente, a riguardo non riporto sue idee del libro, che ignoro. Qui dico soltanto la mia sulla specifica questione d’attualità se Hitler fosse comunista oppure no.
Di recente, il magnate afroamericano Elon Musk, “ministro” del presidente Donald Trump, dialogando con la candidata alla cancelleria tedesca Alice Waidel, le ha chiesto se avesse (lei e il suo partito AfD “Alternativa per la Germania”) simpatie per il nazismo. La signora Waidel ha risposto: “Hitler era un nazional-socialista, al quale dopo la guerra hanno affibbiato la falsa etichetta di uomo di destra, di conservatore. Il Führer ha nazionalizzato l’economia, voleva le grandi imprese collettive, mentre io e AfD siamo per il mercato libero. Hitler era un comunista, si vedeva come un socialista. E come oggi c’è la sinistra antisemita, così è dai comunisti dell’Urss che Hitler pescava le sue idee contro gli ebrei. Elon Musk ha acconsentito: “Yes” (Corriere della Sera, 10 gennaio 2025).
Dunque, Zelensky sarebbe un ebreo nazista per Vladimir Putin mentre Hitler è stato un nazista comunista per Alice Waidel. Putin, che non ha mai combattuto in battaglia ma decretato molte guerre di aggressione, lo afferma per intestarsi in prima persona la vittoria sovietica sul nazifascismo (ad Est), spacciandola come vanto esclusivo della Russia senza i meriti degli Alleati (ad Est e Ovest!). Waidel lo asserisce per allontanare da sé e da AfD l’accusa di filonazismo, adoperando un sofisma mascherato da sillogismo: se Hitler era comunista, lei e AfD appartengono all’opposta area politica. Ma lasciamo il sanguinario despota Putin, un mentitore seriale, e consideriamo le interessate bugie, frammiste a parziali verità, dell’aspirante cancelliera Waidel. In particolare, cerchiamo un fondamento all’asserzione “Hitler era comunista” ovvero la risposta alla domanda “Hitler era davvero comunista?”. Sia come affermazione sia come interrogativo, il tema, in verità sorprendente, ha suscitato enorme interesse sui media e sui social, anche perché la conversazione Musk-Waidel si è svolta sulla piattaforma X (Twitter), coinvolgendo milioni di persone nel mondo.
Che Hitler odiasse i bolscevichi è risaputo, a partire dal Mein Kampf. Nondimeno Hitler era socialista e lo era convintamente. In ciò, come Mussolini. Del resto, la parola “nazismo” è composta da “nazionale” e “socialismo”. La luciferina politica di Hitler ha portato a concentrare l’attenzione degli storici e dell’opinione pubblica sulle guerre scatenate e sugli stermini perpetrati. La sua politica interna “ordinaria”, per così dire, è molto meno conosciuta dal largo pubblico, quasi fosse disancorata dalle aggressioni e dalle repressioni, mentre fu strettamente funzionale alle une e alle altre. Hitler adattò la politica economica alle necessità della conquista e conservazione del potere e alle contingenze di gestione del ciclo produttivo, ma senza esprimersi assertivamente a favore di teorie e sistemi economici, almeno finché, conquistato il potere, non consolidò la dittatura assoluta con il Führerprinzip. Egli fu straordinariamente perspicace nell’adeguarsi agli sviluppi della situazione senza scoprirsi decisamente e definitivamente in un senso e nell’altro. Non fu un liberista del laissez-faire. Al contrario, fu figlio del suo tempo, nel quale le predicazioni antiliberali del passato prevalevano, collocando la società sopra l’uomo e lo Stato in cima a tutto. Il socialismo teorizzato nell’800 stava diventando socialismo fattuale nel ’900. Hitler, che fiutava il vento, sposò la causa socialista senza divorziare dalla proprietà privata, che rimase a lungo la moglie morganatica da presentare in segreto agli industriali per non spaventarli, per vanificarne le velleità e conservarne consensi politici e appoggi economici. Benché il suo “antiliberalismo” sia stato estremo, egli cercò di conciliare l’inconciliabile in termini di libertà, pretendendo di assoggettare le forze individuali dell’economia, concorrenziali nel mercato, al controllo autoritario dello Stato. Il primato della politica era assoluto. All’economia toccava un ruolo secondario diretto dall’autorità. Ludwig von Mises, il genio che nel 1922 (!) aveva già distrutto il collettivismo sovietico con la pubblicazione del capolavoro Socialismo, nel 1941 scrisse a riguardo della Germania: “Il modello tedesco di socialismo è caratterizzato dal mantenimento, sebbene solo nominale, di parte delle istituzioni capitalistiche. Questo è il socialismo che dall’esterno somiglia al capitalismo: totale pianificazione e controllo di ogni attività economica da parte del governo. Alcune delle caratteristiche dell’economia di mercato capitalistica vengono mantenute, ma con un significato totalmente differente da quello che avevano in un’economia di mercato vera e propria” (Rainer Zitelmann, Hitler, il mercato e l’economia pianificata, “Storia contemporanea”, 2/2023, pagina 142 e passim).
L’economia di Hitler coincide con la sua parabola politica. Da una sorta di sistema economico “misto”, fumosamente abbozzato negli anni della scalata alla cancelleria, dopo aver conquistato il potere dittatoriale egli passò decisamente al controllo assoluto della produzione, “facendo indossare alle imprese la camicia di forza della nostra pianificazione statale”, ebbe a dire nel 1936. E nel 1937 aggiunse che “il nazionalsocialismo è il più accanito oppositore del punto di vista liberale.” Sul bolscevismo, egli giunge all’estremo opposto del punto di partenza. Passa dalla ripugnanza all’attrazione. Il 22 luglio 1942 (l’aggressione alla Russia era iniziata da più di un anno!) giunge a dire: “Bisogna nutrire pieno rispetto per Stalin. A suo modo, quell’uomo è un genio! Come Gengis Khan e altri, conosce a fondo i suoi ideali e la sua pianificazione economica è così onnicomprensiva che solo il nostro Piano quadriennale la supera. Non ho alcun dubbio che nell’Urss non ci siano disoccupati, al contrario dei paesi capitalisti come gli Stati Uniti.” In effetti, tra il collettivismo sovietico e la pianificazione nazista le differenze erano meno sostanziali che formali. Hitler aveva stabilito “un quasi totale monopolio statale sul commercio estero; l’intera attività privata di investimento fu sottoposta al controllo dello Stato, come i salari e i prezzi; lo Stato creò uno strumento di pianificazione globale e, con una serie di misure dirette e indirette, controllò la distribuzione di materie prime, investimenti, salari, prezzi e, in parte, anche dei consumi”. Sintetizzando, “a metà degli anni Trenta, e sempre più dagli anni Quaranta in poi, Hitler divenne un ammiratore dell’economia pianificata sovietica”.
Stando al “socialismo reale”, non si può in conclusione affermare apoditticamente che Hitler fosse un comunista. Stando al nazionalsocialismo realizzato, neppure si può tuttavia negare che Hitler somigliasse davvero a un collettivista. Non vi osta il fatto che i capi del nazismo e del comunismo, Hitler e Stalin, prima alleati e poi nemici nella Seconda guerra mondiale, combatterono alla morte per sopraffarsi. E infatti, come scrisse il celebre dissidente sovietico Andrej Amal’rik, “la lotta tra due dittatori, non più che la guerra tra due sovrani, non li rende nemici sul piano dei principi.” I due totalitarismi, la Germania nazista e la Russia sovietica, divenuti per di più “confinanti”, erano accomunati non solo dalla reazione al liberalismo ma pure dalla vicendevole repulsione.
Aggiornato il 16 gennaio 2025 alle ore 10:49