Non possiamo stare zitti, bisogna dire basta alla violenza dei nemici dello Stato. C’è un clima avvelenato che si respira nel Paese e che ha ben individuati responsabili e altrettanti complici. Poche centinaia di squadristi rossi che scatenano la guerriglia urbana allo scopo di terrorizzare la popolazione e “convincere” gli incerti che tutto quanto di negativo accada abbia nella permanenza del centrodestra al Governo la sua naturale matrice. La trama sovversiva miete vittime tra le forze dell’ordine. 18 agenti feriti nella sola notte di sabato in alcune città italiane – principalmente a Roma – nel corso degli scontri seguiti alle manifestazioni per commemorare Ramy Elgaml, il giovane egiziano morto a Milano al culmine di un inseguimento di una gazzella dei Carabinieri impegnata a bloccare la fuga in scooter del ragazzo e del suo complice. Ma l’elenco dei servitori della patria messi fuori combattimento dai sovversivi è lungo. Dov’è che si vuole arrivare continuando a tollerare l’intollerabile?
L’aspetto più disperante della vicenda, di là dalla sgradevolezza dell’esito fatale dell’inseguimento, è la quantità industriale d’ipocrisia con cui la sinistra nostrana prova a coprire la strategia della provocazione messa in atto dagli squadristi rossi che hanno preso a pretesto la morte del giovane egiziano per dare la stura alla protesta violenta. Si scorge un nesso causale innegabile tra le dichiarazioni del segretario confederale della Cgil, Maurizio Landini, che invoca la rivolta sociale in risposta a una crisi democratica che vede solo lui insieme ai suoi accoliti e bombe carta, auto incendiate, la sinagoga di Bologna devastata, case danneggiate, vetrine distrutte, muri imbratti, forze dell’ordine aggredite. E non serve a nulla lo scarno comunicato di presa di distanze di questo o quel dirigente politico della sinistra dai comportamenti illegali e sovversivi degli squadristi rossi. Nessuna persona di buon senso può credere che quelle dissociazioni siano sincere; che il bieco tentativo di colpire gli uomini e le donne delle forze dell’ordine non celi una sottile – benché spregevole – dimostrazione di esistenza di un’equazione antidemocratica concepita dalla destra in concorso con l’apparato securitario dello Stato.
Polizia, lato sensu, sbirri, sgherri, aguzzini congenitamente “fascisti” nella narrazione di questa sinistra, essa sì intimamente illiberale e antropologicamente “fascista”. Ora, dell’azione violenta dei facinorosi e degli imbecilli non ci meravigliamo: sono sopravvissuti nella storia repubblicana d’Italia coltivando il sogno perverso di completare il repulisti dei nemici ideologici, cominciato dai partigiani rossi ma rimasto incompiuto con la fine del Secondo conflitto mondiale. Invece, ciò che vorremmo conoscere riguarda le motivazioni reali che muovono la sinistra dal volto perbene. Dove vogliono arrivare i “compagni” pur di ritornare al potere? Fino a che punto sono disponibili ad accreditare il rovesciamento della realtà, spacciando i delinquenti per buoni cittadini e per cattive persone gli uomini e le donne in divisa che svolgono la missione di proteggere la sicurezza degli altri? Si prenda il caso del ragazzo Ramy, morto a Milano. Il suo assassino è il compagno di fuga che pilotava lo scooter e che non fermandosi all’alt dei carabinieri ha innescato l’inseguimento conclusosi con la morte del passeggero. Perché prendersela con gli inseguitori che stavano facendo il loro dovere? Cosa avrebbero dovuto fare di diverso? Lasciar perdere e disinteressarsi delle intenzioni criminose di persone comunque sottrattesi a un controllo di polizia? È questo che vuole la sinistra? Pensano di intimorire le forze dell’ordine, fino al punto di spingerle all’inazione di fronte alla sfrontatezza della criminalità? Si punta politicamente a gettare il Paese nel caos per poi attribuirne la colpa alla destra? È un gioco al massacro già visto.
Cosa deve fare il Governo di Giorgia Meloni per stroncare la minaccia rossa? Non ci sono mezze misure: deve usare il pugno di ferro per reprimere la strategia della violenza praticata dal braccio armato dell’opposizione al centrodestra. Non piace alle anime belle moderate che si usi la parola “repressione”? Pazienza, se ne facciano una ragione giacché in taluni casi – e il momento che stiamo vivendo in Italia è uno di quelli – con le buone maniere non si ottiene nulla. Al contrario, si dà un segno di debolezza che spinge i nemici della democrazia a insistere piuttosto che a recedere dalla strategia eversiva. Nessuno sognò mai di dare dei fascisti e degli oppressori a quei democristiani che, d’intesa con l’alleato repubblicano nel quarto Governo Moro, vararono le leggi eccezionali per contrastare il fenomeno terrorista negli anni Settanta. La Legge Reale (dal nome del ministro della Giustizia di allora, Oronzo Reale, del Partito repubblicano italiano) del 22 maggio 1975 prevedeva, tra le altre misure, la possibilità data alle forze di polizia dell’uso delle armi allo scopo di impedire stragi, attentati, disastri ferroviari, disastri aerei, rapine (articolo 14); all’articolo 3, il fermo preventivo di 96 ore dei sospettati anche in assenza di flagranza di reato; all’articolo 5 la cosiddetta “legge casco”, tuttora in vigore, che proibiva l’utilizzo del casco e di altre coperture del volto in pubblico senza giustificato motivo; la celebrazione dei processi per direttissima per reati di ordine pubblico (articolo 17).
Quando nel 1977 i Radicali proposero un referendum per l’abrogazione della Legge Reale, il Pci di Enrico Berlinguer si pronunciò contro l’abrogazione. La contrarietà della sinistra favorì la vittoria del “No” all’abrogazione, al referendum dell’11 e 12 giugno 1978. Nell’occasione, la sinistra comunista fece la scelta giusta schierandosi dalla parte della democrazia e della libertà. Eppure, a nessuno venne in mente di accusare la maggioranza dell’epoca di volontà eversiva e antidemocratica. Oggi, la sinistra post-comunista e progressista compie la scelta opposta rinnegando il passato. Ma non si illuda. Non le porterà bene lisciare il pelo agli antagonisti perché facciano il lavoro sporco al suo posto. Riguardo alla destra che oggi governa l’Italia, abbia il coraggio di non rinnegare la propria natura; non tema di operare in coerenza con ciò che è iscritto nel suo Dna; dimostri di essere all’altezza della fiducia che la maggioranza degli elettori le ha accordato votandola; non si vergogni di mostrarsi law & order, quando occorre. E, soprattutto, faccia sentire agli uomini e alle donne in divisa che il Governo c’è ed è con loro, senza riserve e timidezze di sorta. Di esserci non a chiacchiere, ma per facta concludentia.
Si vuole innalzare uno scudo penale a protezione delle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni? Non si perda tempo, lo si faccia subito. C’è in discussione in Parlamento un “ddl Sicurezza” che potrebbe essere lo strumento appropriato per introdurre la nuova norma nell’Ordinamento. Si pensa di assegnare il gratuito patrocinio legale agli agenti sottoposti loro malgrado a procedimenti per atti compiuti in servizio? Lo si faccia. E subito. Al Viminale si ritiene utile ficcare un po’ più il naso in quei luoghi di riunione trasformati in covi di sedizione dagli antagonisti sociali e dagli anarchici? Si proceda, senza preoccuparsi delle alzate di sopracciglio dei benpensanti. E se tutto questo potrà servire a stanare la sinistra istituzionale dall’ambiguità in cui sta coltivando i suoi disegni di potere, ben venga. È il momento di dire basta agli atteggiamenti ambigui di chi ama mostrarsi indulgente e comprensivo del “disagio” dei rivoltosi. E basta anche all’ipocrisia di quegli italiani la cui massima preoccupazione è di non figurare da “cattivi” nelle oleografie dell’umanità migliore dipinte dai progressisti.
Lo diciamo fuori di denti: di gente misericordiosa, pronta all’ascolto dell’altrui disagio, che porge l’altra guancia e che si compiace d’interpretare la parte della scimmietta ammaestrata nel dramma farsesco allestito dalla sinistra pseudopacifista, ne abbiamo piene le tasche. E non soltanto le tasche.
Aggiornato il 15 gennaio 2025 alle ore 09:37