Il discorso “omnibus” di fine anno del presidente della Repubblica ha offerto alcuni spunti di riflessione, che necessitano di un chiarimento. Tra questi, la rappresentazione piuttosto originale di una definizione di patriottismo. Dice Sergio Mattarella: “Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie. È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità. È fondamentale creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione perché anche da questo dipende il futuro delle nostre società”.
Ci possiamo pienamente riconoscere nelle sue parole? Francamente, no. Intendiamoci, il presidente ha il diritto di esprimere la sua idea di patriottismo che, con tutta evidenza, si inserisce nel solco della cultura del cattolicesimo democratico, che è la sua cultura di provenienza. Ma non è la nostra. E, di regola, non dovrebbe essere quella del partito che guida la coalizione di centrodestra. Per la qual cosa, risulta sorprendente l’eccessivo sperticarsi di alcuni dirigenti di Fratelli d’Italia – di là dall’obbligo dettato dalla cortesia istituzionale e posto in capo al presidente del Consiglio dei ministri di “apprezzare” il messaggio del presidente della Repubblica – nell’osannare il discorso di Mattarella. Almeno, sul punto controverso della definizione concettuale di patriottismo. Proviamo a spiegare perché. Partiamo dall’incipit della definizione sintetica che del termine patriottismo dà la Treccani: “L’impegno profuso, su molteplici piani (politico, militare, intellettuale, eccetera) in nome della patria, per l’affermazione, la difesa o l’accrescimento dei valori che essa esprime”. Rappresentazione concettuale che può essere condivisa, ma che non esaurisce la discussione su altri significati qualificativi del significante e sulle forme che la parola ha assunto nel tempo, fino ai nostri giorni, essendo essa una variabile e non una costante dei differenti contesti politico-culturali in cui ha dispiegato il suo valore semantico.
Non è questa la sede per un excursus sull’evoluzione del significato di patriottismo nella storia – a cominciare dalla Grecia antica e da Roma – né possiamo addentrarci nelle articolazioni concettuali delle qualificazioni che ne hanno specificato il portato lessicale (patriottismo repubblicano, patriottismo costituzionale eccetera). Qui vale solo rappresentare un’idea di patriottismo alla quale un pensiero genuinamente di destra possa richiamarsi e nella quale possa riconoscersi. Un’idea che si rappresenta radicalmente prepolitica, sulla scia del pensiero di Johann Gottfried Herder – filosofo tedesco del secondo Settecento – secondo il quale il patriottismo, in linea di continuità con il concetto di nazionalismo, incarna l’attaccamento alla propria cultura nazionale, da difendere e sostenere contro il cosmopolitismo e il relativismo culturale dei negatori delle differenze tra gli individui e tra le comunità umane.
Quindi, non solo sangue e suolo ma anche lingua, cultura, storia, tradizioni, identità valoriale si associano per comporre una definizione condivisibile di “amor di patria”. Concettualizzazione cara a Giuseppe Mazzini, per il quale l’ideale repubblicano della patria poteva trovare nuovo vigore solo se legato ai valori culturali della Nazione. E vieppiù cara al nostro Arturo Diaconale, che nei suoi scritti ha convintamente sostenuto il ruolo della comunanza linguistica a fondamento del riconoscimento dell’identità italiana, fino a stigmatizzare la discrasia temporale esistente tra la formazione duo-trecentesca di un’identità italiana – con Dante Alighieri – e la costruzione giuridico-politica di uno Stato unitario italiano, indipendente e sovrano (1861).
Mattarella cita come espressione del patriottismo il lavoro di medici e insegnanti. E cosa c’entra? Ciò che fanno tali categorie di professionisti è dovere civico, ribadito negli impegni contrattuali sottoscritti. Fare bene il proprio lavoro costituisce al più la precondizione per riconoscersi patriota, non il fattore qualificante. Per il capo dello Stato sarebbe patriota l’imprenditore che abbraccia la scelta della responsabilità sociale d’impresa? È bene ricordare che la corporate social responsibility – la quale prevede la redistribuzione di una parte del profitto conseguito da un’impresa a beneficio degli stakeholder (portatori d’interesse) sotto forma di attività “sociali” che generano valore aggiunto per l’ambiente nel quale l’impresa si trova a interagire – sebbene meritoria ed eticamente gratificante, al momento è solo una libera scelta affidata alla coscienza del singolo agente economico.
Perciò ci chiediamo: per il capo dello Stato, l’imprenditore che non aderisce alla logica della responsabilità sociale d’impresa è meno patriota di chi invece quella scelta l’adotta? E i nonni che mantengono con le proprie pensioni figli e nipoti in difficoltà economiche sono novelli martiri di Belfiore o semplicemente responsabili e affettuosi capifamiglia? Tutto questo confondere le acque su un concetto altrimenti limpido cela il vero obiettivo dell’incursione semantica sulla parola “patriottismo”: asseverare gli immigrati nella categoria dei patrioti. Come se lavorare, rispettare le leggi e vivere la quotidianità fossero il passe-partout per ottenere il riconoscimento sociale della dignità di patriota. A nessuno sfiora il dubbio che quel tal immigrato, serio e impegnato a fare onestamente il suo lavoro, una patria la abbia e verso la quale nutra incancellabili sentimenti d’amore e appartenenza, e quella patria non corrisponda al Paese che l’ ha accolto ma a quello in cui è nato e in cui dimorano i resti dei suoi antenati? A nessuno viene in mente che a quell’immigrato, che si vuole far diventare italiano per forza e perfino patriota, venga recato oltraggio nel negargli il diritto a riconoscersi fieramente nelle sue radici identitarie in nome di una riassegnazione di appartenenza che non è nelle sue aspirazioni e nelle sue intenzioni?
Dopo dieci anni di permanenza al Quirinale, il presidente della Repubblica è diventato per noi un fattore di certezza che non delude: non manca mai, nei discorsi urbi et orbi, di dire o di rappresentare un qualcosa che su di noi sortisce puntualmente lo stesso effetto. Ci fa ribollire il sangue.
Aggiornato il 03 gennaio 2025 alle ore 12:01