Separazione carriere, l’intervento a gamba tesa del Csm

Finalmente ci siamo. In un clima rovente approda alla Camera la riforma concernente la separazione delle carriere. Una riforma che registra una strenue presa di posizione da parte della Magistratura che attraverso l’Associazione nazionale magistrati ed il Consiglio superiore della magistratura fa sentire la sua voce ed il suo deciso dissenso.

Un dissenso che al netto delle motivazioni di facciata (rappresentate dallo spauracchio di una magistratura requirente pericolosamente proiettata ad essere assoggettata al potere politico) appare sempre più una difesa corporativa tesa a mantenere quote di potere.

In tal senso, al fine di garantire un approccio intellettualmente onesto appare necessario porsi un quesito imprescindibile: quanto la politica, sino ad oggi, è stata ostaggio ed è stata condizionata dalla Magistratura requirente?

Partire da questo quesito rappresenta il presupposto logico irrinunciabile per addivenire ad una soluzione adeguata nell’ottica di un approccio corretto alla riforma.

È sotto gli occhi di tutti, infatti, quanto la Magistratura (sin dai tempi di Tangentopoli) abbia, in svariate occasioni, condizionato la vita politica del Paese determinando un inaccettabile disequilibrio prodromico alla messa in crisi dell’intero sistema democratico.

Condizionamento che, a differenza di quanto alcuni da ultimo sostengono, non può essere smentito dall’assoluzione di un ministro (quale cartina al tornasole della equidistanza tra chi giudica e chi accusa).

E tanto perché la necessità di equidistanza e di indipendenza dei giudici dai pubblici ministeri non può essere affidata alla sensibilità dei singoli ma deve, al contrario, essere sancita da norme e regole chiare ed incontrovertibili.

In un Paese in cui si invocano ogni giorno le regole ed il loro rispetto, il paradosso è costituito dal fatto che chi dovrebbe essere a tutela delle regole allorquando le stesse ne limitano il potere esercita pressioni inaccettabili perché questo non accada e perché sia bloccato il processo riformatore.

L’intervento del Csm, infatti, tradisce l’interesse al mantenimento di uno status quo attraverso un’operazione che appare chiaramente politica e non in linea con le specificità del ruolo assegnato dalla legge a questo organismo. L’organo di autogoverno della Magistratura da soggetto preposto alla esplicitazione di un ruolo disciplinare ed amministrativo assume le vesti tipiche di un ruolo politico che si estrinseca attraverso l’attuazione di un programma.

Un programma la cui posizione è il frutto del contributo delle correnti dell’organo di rappresentanza della Magistratura (Anm).

Tutto ciò determina il paradosso secondo cui la tanto vituperata politica, macchiatasi del reato di lesa maestà, viene combattuta, da chi si ritiene ingiustamente sotto attacco, con le medesime logiche dei partiti. Tanto è inaccettabile!

Così come sono inaccettabili le affermazioni del dottor Giovanni Zaccaro (rappresentante in Anm della corrente Area) allorquando afferma che gli avvocati non dovrebbero tifare per la distruzione dell’assetto costituzionale della magistratura e dovrebbero lottare per rafforzare le garanzie nelle indagini e nel processo. Dichiarazioni il cui comune determinatore è rappresentato dal non voler vedere ciò che accade nei tribunali.

Ed allora rispetto a tutto ciò ritengo sia doveroso sottolineare che noi avvocati non siamo contro nessuno. Siamo solo e semplicemente impegnati a tutela dei diritti dei cittadini.

Siamo quelli che ad onta della formale parità con l’organo di accusa devono prenotarsi per poter interloquire con il giudice.

Siamo quelli che attendono in udienza l’inizio della trattazione del processo e non vengono avvertiti telefonicamente allorquando lo stesso sta per iniziare.

Siamo quelli che non hanno frequenti momenti di contatto e confidenzialità di rapporti che minano la fiducia degli imputati nell’affidarsi al giudice terzo.

Siamo quelli che ogni giorno avvertono l’insopportabile sensazione di sentirsi ospiti mal sopportati nei Tribunali perché figli di un Dio minore.

Per questo riteniamo di essere al fianco del Governo in questa riforma.

Perché crediamo che solo separando si potrà unire.

Solo con la separazione delle carriere finalmente ci sentiremo tutti parte di un mondo che rema nella medesima direzione.

Consapevoli e convinti che, degni eredi di Piero Calamandrei, ammiriamo ed elogiamo i giudici nella certezza che alla luce della nostra esperienza giornaliera li difendiamo solo se li separiamo!

(*) Presidente Camera penale salernitana

Aggiornato il 03 gennaio 2025 alle ore 09:42