In tema di transizione energetica, tra le ragioni principali che hanno messo in ginocchio l’industria europea dell’auto, alcuni avvertiti osservatori di area liberale mettono in primo piano l’evidente eccesso di regolamentazione che sta da lungo tempo imponendo la burocrazia di Bruxelles. Sotto accusa, in modo particolare, vi sono le forsennate politiche legate alla cosiddetta transizione ecologica che, di questo passo, risolveranno alla radice il problema tutto da decodificare dell’emergenza climatica, attraverso una autolesionistica e colossale riduzione dei consumi legata al collasso delle nostre tradizionali industrie manifatturiere, automotive in testa.
In tal senso, ha perfettamente ragione Roberto Arditti il quale, intervenendo nel talk In onda su La7, ha sostanzialmente sottolineato l’assurdità della piccola Europa, che genera circa l’8 per cento delle emissioni globali di CO2, la quale pretende di cambiare il mondo elaborando protocolli green assai rigidi, pensando che il mondo si adegui di conseguenza. In realtà, come ha sottolineato il giornalista, “pensavamo di cambiare il mondo, ma è il mondo che sta cambiando noi”, indicando l’esempio degli Stati Uniti e dei colossi asiatici che non sembrano molto interessati alle nostre piuttosto deliranti pianificazioni politico-burocratiche.
Ed è proprio questa, a mio avviso, la questione di fondo che crea gravi distorsioni nei settori economici, proprio come sta accadendo in quello dall’auto, ovvero un evidente eccesso di regolamentazione che deriva dall’incessante spinta a pianificare ogni cosa insita in ogni organismo politico di grandi dimensione e a cui sono state attribuite eccessive competenze. In particolare, sulla spinta di una confusa impostazione progressista dello sviluppo, i pletorici organismi comunitari hanno continuato incessantemente a pianificare ogni ambito della vita sociale ed economica, noncuranti degli elementi spontanei e peculiari che costituiscono il motore economico dei singoli Stati, ritenendo che la realtà debba essere essenzialmente il frutto di una scelta deliberata della sfera politica.
E i fatti, purtroppo per loro e per i lavoratori che rischiano il posto di lavoro, stanno dimostrando che lo sviluppo economico e sociale di una comunità non si realizza attraverso un piano quinquennale elaborato a tavolino da oscuri burocrati, come drammaticamente accaduto per 70 anni nel defunto impero sovietico. In questo senso, non possiamo che apprezzare e sostenere la linea che in Europa sta da tempo portando avanti l’attuale Governo, che per bocca della premier Giorgia Meloni invoca una ragionevole linea ecologica, rinviando il piano per la transizione verde, in contrasto con le forsennate deliberazioni dei falchi del Green deal, i quali stanno letteralmente mettendo in ginocchio interi settori economici del Vecchio Continente.
Aggiornato il 20 dicembre 2024 alle ore 11:12