Sassolini di Lehner

Per certe cattive abitudini della magistratura italiana vale citare il noto proverbio: “Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Ci illudemmo d’aver superato la barbarica stagione di mani pulite, quando Costituzione e diritto vennero interpretati a matula e corretti in testi da SantUffizio, a sfregio della civiltà giuridica e con costi umani altissimi. Le voci dei 44 suicidi ancora echeggiano nelle coscienze delle persone civili. Il lupo, dunque, non ha perduto il vizio, quello, ad esempio, del 29 ottobre 1992. Quel giorno, alba della tangentopoli napoletana – dovrebbe far pensare che Milano e Napoli siano stati gli epicentri del manipulitismo, come se nel resto d’Italia i partiti politici vivessero di erbuzze ed acqua di ruscello e la politica non costasse un centesimo – Costituzione e diritto furono trattati come inutili fronzoli. Il 29 ottobre 1992, si verifica un memorabile strappo alle garanzie costituzionali. Senza richiedere l’autorizzazione prevista dalla Carta, la polizia giudiziaria viene spedita nello studio del ministro Francesco De Lorenzo per sequestrare un computer, presunto scrigno di chissà quali prove del reato di voto di scambio.

Le proteste di Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato (“i provvedimenti di sequestro emanati, nei riguardi di parlamentari e di un ministro della Repubblica, sono un fatto grave che ha minacciato l’equilibrio tra poteri costituzionalmente garantiti”) e del liberal-libertario Marco Pannella (“il sequestro del computer nello studio del ministro Francesco De Lorenzo rappresenta una violazione della Costituzione e dei diritti costituzionali, in particolare per quanto riguarda la tutela della riservatezza e la separazione dei poteri”) sono immediatamente sovrastate dai mass media già domati e ridotti ad ubbidienti cavallucci al bilancino del carro del vero Potere, quello togato. Molti giornalisti, passando entusiasticamente le veline di procura, fecero gran carriera, rendendo l’Ordine dei giornalisti il club dei forcaioli. L’accusa a De Lorenzo, peraltro, si dimostrerà del tutto infondata, a cominciare dal non senso di presumere il “voto in cambio di un posto fisso” a persone neppure identificate, cioè sconosciute!

Sei anni dopo, 20 marzo 1998, De Lorenzo sarà assolto da un giudice serio, per i posti immaginati come regalati ad ignoti, con formula piena (“il fatto non sussiste”). Avviandosi, però, la temperie manipulitista, quel lasso di tempo servirà a moltiplicare le accuse, talora demenziali, nonché la mostrificazione massmediatica di De Lorenzo. Alla fine, smarrita nelle aule di giustizia financo la razionalità, il pur validissimo ministro della Sanità (a lui si deve, tra le altre utilità, la legge che ha eliminato la catastrofe sanitaria del sangue infetto), si ritrovò condannato, in un procedimento avviato da un pm “incompetente”, per associazione per delinquere. Si trattò paradossalmente di associazione con sé stesso, eletto perciò dai giudici a santissima trinità – il reato prevede almeno tre associati – , visto che, a colpi di stralci, gli altri 101 associati furono giudicati a parte e finirono, per giunta, variamente assolti. Il colpevole di associazioneegotica” finì, soltanto lui, la santissima trinità, in carcere.

Codesta indimenticabile tessera di giustizia iniqua e surreale fece parte del mosaico manipulitista, che si supponeva fosse ormai incivile passato remoto. Eppure, alcuni magistrati prediligono il presente storico, attualizzando e riproponendo pregresse inciviltà giuridiche. Nel 2017, la procura di Torino prende di mira il senatore del Partito democratico Stefano Esposito. Un gip contiguo al pm lo rinvia a giudizio per turbativa dasta, corruzione e traffico dinfluenze. Quel gip sarà benemerito in eterno, giacché il suo scultoreo appiattimento darà forza al progetto di separazione delle carriere. La Corte di cassazione, purtroppo per pm e gip, è costretta a spiegare loro che sussiste una Costituzione e pure la legge, nessuna delle due abrogate financo in quel di Torino.

In primo luogo, erano territorialmenteincompetenti” sia il pm,  sia il gip, esattamente come fu “incompetente” il pm di De Lorenzo. Quindi, i faldoni spettano alla sede competente, cioè Roma, mentre il farlocco rinvio a giudizio viene annullato. A parte la palese incompetenza territoriale, i torinesi violarono pure la legge, avendo intercettato illegalmente ben 500 volte, dal 2015 al 2018, il senatore. Il giudice per le indagini preliminari capitolino, Angelo Giannetti, uno che dimostra di conoscere Costituzione e codice penale, accogliendo le richieste dei pm Rosalia Affinito e Gennaro Varone, entrambi evidentemente ben edotti, emette, 24 giugno 2024, decreto di archiviazione. Il lieto fine, certo, non restituisce a Esposito sette anni di angosce e di sofferenze.

Esposito come De Lorenzo? In parte, sì, ma con alcune differenze. Entrambi sono stati vittime di toghe parlamentofobiche, esondanti e incompetenti. Entrambi sono stati feriti e maltrattati da palesi illegalità. Entrambi non hanno goduto del sostegno e della solidarietà dei loro rispettivi partiti. A differenza della satanica temperie manipulitista, Stefano Esposito, pur essendo di sinistra, non fu risparmiato, manco fosse del Pli come De Lorenzo. Tuttavia, appartenere al Pd, gli evitò almeno il massacro massmediatico, toccato invece al non-comunista o cattocomunista Francesco De Lorenzo. Esposito non ha dovuto subire le umiliazioni e la carcerazione inflitte a De Lorenzo. Infine, la differenza delle differenze: il Csm probabilmente sarà costretto a sanzionare i torinesi, mentre i responsabili della mala-giustizia versus il liberale De Lorenzo non ebbero problemi. Morale della favola giudiziaria: il lupo togato perde il pelo ma non il vizio.

Caro Carlo Nordio, tocca a te fargli perdere anche il vizio.

Aggiornato il 05 dicembre 2024 alle ore 16:09