Meloni-Fitto: storia di un contratto ben scritto

Ieri l’altro, a Strasburgo è finita benissimo per Giorgia Meloni e Raffaele Fitto. Numeri alla mano, la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha ottenuto il via libera dall’Europarlamento e potrà insediarsi dal prossimo 1° dicembre. Nella nuova squadra di Governo dell’Unione europea spicca il nome di Fitto che, nonostante i mal di pancia della sinistra nostrana, sarà vicepresidente esecutivo della Commissione con delega (pesantissima) alle Riforme e alla Coesione. Una nomina che racconta molto del buon lavoro svolto dalla coppia italiana, che si è mossa con sorprendente maestria su un terreno – quello delle relazioni tra Stati membri dell’Ue – a dir poco scivoloso. Negli auspici dei progressisti Meloni avrebbe dovuto occupare la posizione assegnata ai marginalizzati. Avrebbe dovuto essere trattata da paria da quell’establishment eurocratico che vede la destra come fumo negli occhi. Invece, si scopre che il premier italiano è più che mai centrale nei nuovi assetti che si vanno delineando in Europa. Non vogliamo spingerci a rappresentare Meloni come la lady protettrice di Ursula von der Leyen, tuttavia i numeri indurrebbero a crederlo. Il sì alla Commissione è passato con 370 voti favorevoli. Nove in più sopra la soglia della maggioranza assoluta dell’Europarlamento. Se si considera che a favore della nuova Commissione hanno votato i 24 europarlamentari di Fratelli d’Italia, insieme ad altri 9 membri del Gruppo dei Conservatori europei, è legittimo pensare che Ursula voglia tenersi cara l’amicizia di Giorgia. D’altro canto, vi è una ragione ulteriore per cementare il rapporto tra Palazzo Berlaymont e Palazzo Chigi.

La maggioranza parlamentare che ha eletto lo scorso 18 luglio la von der Leyen alla presidenza della Commissione – composta da popolari, socialisti, liberali e verdi – non è tale nell’ambito del Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo, che costituisce il livello più elevato di collaborazione politica tra i Paesi dell’Ue e di cui ne definisce l’agenda politica. Ora, le vittorie delle coalizioni di centrodestra, che si susseguono nei singoli Stati membri, impongono alla presidente von der Leyen di tenerne conto e, quindi, di allineare l’azione di governo della Commissione agli orientamenti maggioritari dei popoli dell’Unione. Ciò renderà preziosa la mediazione che Meloni potrà svolgere nel prossimo futuro per convincere i suoi omologhi di orientamento conservatore o sovranista a non mettersi di traverso alle politiche messe in campo da Bruxelles. E per la pragmatica Ursula un aiuto del genere vale bene tutto lo sforzo compiuto per difendere la scelta del conservatore Raffaele Fitto al suo fianco nella cabina di comando della Ue. Ma com’è stato possibile un risultato tanto brillante per la coppia italiana? Il ministro per la gestione del Pnrr non è un militante del Movimento sociale italiano e poi di Alleanza nazionale; non ha condiviso le esperienze politiche adolescenziali con la leader di Fratelli d’Italia; non ne ha sposato una parente e non si è gingillato con lei in spensierate gite domenicali fuori porta. Fitto ha origini democristiane, ma la sua vita politica è fiorita e si è consolidata all’interno di Forza Italia. Con la faccia sbarbata e gentile da bravo ragazzo del Sud, piaceva moltissimo a Silvio Berlusconi. Il vecchio leone, che ha sempre avuto un’attenzione particolare per i giovani del suo partito, è stato prodigo con lui.

A soli 31 anni lo ha candidato alla presidenza della Regione Puglia alle elezioni del 2000, a nome della coalizione del centrodestra. Il ragazzo vince, ma non riesce a riconfermarsi nel 2005. È una sconfitta per il giovane forzista, che pure aveva ben governato la sua Regione. Berlusconi però non si scorda di lui e quando, nel 2008, torna a governare l’Italia lo chiama a ricoprire il ruolo di ministro per i Rapporti con le regioni. Nel 2010, si aggiungerà anche la delega alla coesione territoriale. È in quel contesto che Raffaele Fitto si trova a stringere i rapporti con una giovanissima Giorgia Meloni, designata all’incarico di ministro della Gioventù. Benché culturalmente e politicamente diversi, i due si ritroveranno in seguito a scrivere parte delle rispettive biografie in modo sovrapponibile. Giorgia Meloni lascia per prima il berlusconiano Popolo della Libertà per dare vita a una nuova formazione politica chiaramente schierata a destra. È il 20 dicembre 2012. Fonda, assieme a Guido CrosettoIgnazio La Russa, Fratelli d’Italia. Raffaele Fitto invece attenderà il 2015 e l’avventura suicida del Patto del Nazareno per chiudere definitivamente la sua storia con Silvio Berlusconi. Il vecchio leone non la prende bene e fa una previsione su Fitto che si rivelerà sbagliata: “In passato qualcuno se n’è andato da Forza Italia e non è mai finito molto bene”.

La differenza sostanziale con gli altri transfughi berlusconiani sta nel fatto che Fitto non gira le spalle al capo per ricavarsi uno strapuntino al potere con la benedizione della sinistra, ma va in direzione opposta: il suo è dissenso politico vero dalla linea del partito azzurro. Proprio come la Meloni. A differenza però degli Angelino Alfano e simili, non si limita a formare l’ennesimo partitino a uso e consumo personale ma s’intesta una scelta geniale. Da eurodeputato, rompendo con Forza Italia, lascia anche il Partito popolare europeo e passa ai Conservatori e riformisti europei nelle cui fila il gruppo numericamente più folto è quello britannico. Per dare risalto alla scelta dell’italiano, i conservatori europei nel 2017 lo premiano nominandolo vicepresidente del gruppo. Fitto diventa titolare di un marchio inedito per l’Italia, che si rivelerà una dote preziosa da spendere nella politica interna al momento giusto, con la persona giusta. E il momento arriva quando una persona di grande intuito politico comprende benissimo quale opportunità abbia tra le mani Raffaele Fitto. Quella persona è Giorgia Meloni.

Negli anni la sua creatura, Fratelli d’Italia, è cresciuta fino a ottenere, alle elezioni per la Camera dei deputati del 2018, un promettente 4,19 per cento e una pattuglia di 19 deputati eletti. Ma, alle viste, ci sono le Europee del 2019 e per Fratelli d’Italia si pone un problema di collocazione in una delle grandi famiglie politiche continentali. Esclusi il Partito popolare europeo presidiato in Italia da Forza Italia e il gruppo Europa delle Nazioni e della Libertà – che dal 2019 prenderà il nome Identità e democrazia – diventato terreno di caccia esclusivo della Lega di Matteo Salvini, quale casa resta disponibile ad accogliere Giorgia Meloni? In Italia c’è Raffaele Fitto che rappresenta un marchio prestigioso con un gruppo di buoni amici disposti a seguirlo che tuttavia gli assicurano un apporto elettorale da pesi piuma. Prende forma l’antica legge di mercato della domanda e dell’offerta. Fitto ha qualcosa che la Meloni vuole e, nel contempo, lei può offrirgli un futuro politico che lui non avrebbe alla luce dei magri consensi messi insieme dai suoi supporter.

Il 6 dicembre 2018 viene stipulato il patto. I due politici si federano; le premesse per riuscire nell’impresa ci sono perché entrambi sono onesti e lungimiranti ed entrambi sono consapevoli del fatto che i risultati arriveranno solo se verranno rispettati gli accordi presi. Checché se ne dica, la lealtà in politica è ancora un valore. Allora, l’uno porta in dote il simbolo e i rapporti internazionali coltivati nell’ambito dei conservatori europei, l’altra ci mette l’organizzazione territoriale ramificata che si sta rivelando una macchina da guerra acchiappavoti. Alla manifestazione di presentazione della nuova casa politica europea di Fratelli d’Italia, in piazza della Pilotta, Raffaele Fitto dichiara: “Dopo l’adesione di FdI al gruppo di Ecr di cui io sono vicepresidente, ora avvieremo un percorso comune che ci porterà non solo alle europee ma verso un soggetto politico che nei prossimi anni potrà delineare un nuovo scenario politico nel centrodestra”.

Promessa mantenuta, patti onorati, progetto realizzato. Per gli anni a venire gli studiosi – storici e politologi – verseranno fiumi d’inchiostro per analizzare le cause profonde che portarono nel secondo decennio del ventunesimo secolo a vedere nascere e consolidarsi in Italia un partito conservatore e al conseguente sdoganamento di un’ideologia, quella conservatrice, fortemente ostracizzata nel secondo Novecento perché frettolosamente – ed erroneamente – associata al fascismo. Da nessun’altra parte, fuori da queste righe, si leggerà che il conservatorismo in Italia è stato il frutto di una stretta di mano tra due persone onorevoli (nel senso dell’etica); tra un uomo e una donna, un pugliese di Maglie e una romana della Garbatella, che hanno creduto l’uno nell’altra, ed entrambi si sono fidati l’una dell’altro.

Aggiornato il 29 novembre 2024 alle ore 10:15