I dubbi sul funzionamento della Corte penale internazionale

Quando la giustizia interna di un Paese non può o non vuole agire per punire gravi crimini di guerra e contro l’umanità commessi da propri cittadini dovrebbe intervenire la Corte penale internazionale (Cpi), il massimo organo giurisdizionale sovranazionale creato dallo Statuto di Roma ratificato da 124 Stati ed entrato in vigore dal 2002. La Corte ha una funzione complementare a quella degli organi giudiziari dei Paesi membri e deve essere chiamata a procedere a seguito dell’inazione di questi. Essa fortemente voluta per affrontare il delicato settore dei diritti dell’uomo e del diritto umanitario dal punto di vista dell’effettività ha superato così l’inerzia della mera enunciazione formale delle convenzioni sulla materia. Quale organo giudiziario permanente, ha rappresentato un’occasione per strutturare in modo stabile il sistema dei diritti umani e ha consentito nei Paesi che vi hanno aderito di tradurre principi astratti in norme penali cogenti.

In teoria, pertanto, un grande risultato per tutti gli studiosi che già all’indomani del processo di Norimberga si sono succeduti lavorando sulla romantica visione. I dubbi sulla reale portata della giurisdizione sovvengono visitando il sito della Corte. Essa non ha l’organico di un normale tribunale internazionale: oltre a presidente, vicepresidenti, un consiglio di 18 giudici e varie divisioni giudicanti c’è un ufficio del procuratore, composto da molti procuratori e uffici investigativi, ufficiali di collegamento con le Nazioni unite, uffici per la difesa e altro. La cancelleria responsabile dell’amministrazione dell’istituto, completa l’organismo: in tutto più di 900 persone al costo di circa 190 milioni di dollari all’anno.

Facendo un rapido calcolo, dalla data della sua istituzione la Corte è costata più di tre miliardi di dollari e che risultati ha prodotto? Un solo procedimento arrivato a conclusione con sentenza definitiva: il comandante congolese Thomas Lubanga condannato per arruolamento di bambini soldato. Sul sito si legge inoltre che i giudici finora hanno emesso 11 condanne in primo grado ed emesso 59 mandati di arresto. Grazie alla cooperazione degli Stati, 21 persone sono state detenute nel centro di detenzione della Corte all’Aja e sono comparse davanti ad essa. L’accusa è stata ritirata nei confronti di sette persone a causa della loro morte.

I giudici della Cpi hanno anche emesso nove citazioni a comparire. Un grosso problema purtroppo è inoltre costituito dal fatto che tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, Stati Uniti, Cina e Russia, dopo aver firmato lo Statuto non lo hanno ratificato e siccome il deferimento alla Corte è possibile solo nei confronti di cittadini di Stati membri della Corte o da parte di questi ultimi, quando un crimine è stato commesso da un cittadino di Stato non parte dello Statuto di Roma occorre attivare la procedura attraverso il Consiglio di sicurezza, con quello che ne consegue con il meccanismo del veto.

Il panorama è sconsolante. Anche l’Italia, che ha ospitato la conferenza che ha istituito la Corte, pur essendo uno dei primi Paesi che ha ratificato lo Statuto, è in qualche modo inadempiente avendo provveduto con molto ritardo ad emanare una legge di adeguamento all’ordinamento interno ancora da completare. Solo nel 2022 è stata istituita una Commissione per l’elaborazione di un progetto di Codice dei crimini internazionali con l’obiettivo di completare “l’adattamento nel diritto interno della materia dei crimini internazionali”. In questo quadro va da sé che i deferimenti o i mandati di arresto emessi dalla Corte hanno un alto valore simbolico – soprattutto se coinvolgono personalità di spicco – su cui poter esprimere riflessioni di ogni tipo ma sono ben lontani dalla responsabilità penale accertata che, anche a causa dell’enorme complessità dei crimini da investigare, difficilmente vedrà una conclusione.

D’altronde la Comunità internazionale si era illusa troppo facilmente che una corte penale universale potesse rompere gli schemi delle sovranità statali con caratteristiche così differenti tra di loro, ma perlomeno con quel trattato è riuscita a fornire una definizione dei crimini di guerra, dei crimini contro l’umanità, del genocidio e solo recentemente dell’aggressione.

Aggiornato il 25 novembre 2024 alle ore 09:55