Mine antiuomo e rincorsa alla barbarie nei conflitti

Le principali agenzie di stampa hanno confermato che il presidente Joe Biden ha autorizzato l’invio e l’utilizzo delle mine antiuomo in Ucraina. Il presidente Volodymyr Zelensky ha voluto precisare che non verranno utilizzate dove si troveranno molti civili. E meno male!

Le mine antiuomo sono ordigni esplosivi che funzionano in pratica come le bombe a grappolo, deflagrano al contatto. È palese che la distinzione tra obiettivi civili e militari in questo caso non possa essere sostenuta, in quanto le bombe inesplose possono rimanere conficcate nel terreno per anni, rappresentando un serio pericolo per i civili, in particolare i bambini.

È per questo motivo che nel 1997 è stata sottoscritta a Ottawa da più di 130 Paesi, tra cui la maggior parte dei membri della Nato, la Convenzione Internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo. Secondo quanto affermato dalla Convezione, “ciascuno Stato membro s’impegna a distruggere o assicurare la distruzione di tutte le mine antiuomo menzionate nel testo il più presto possibile... e ciascuno Stato membro s’impegna a rimuovere e a distruggere, ad assicurare la rimozione e la distruzione, delle mine antiuomo situate nelle zone contaminate dalle mine antiuomo sotto la propria giurisdizione o il proprio controllo”.

La Convenzione conclude che gli Stati membri debbano consultarsi e cooperare per l’applicazione delle disposizioni della Convenzione e di lavorare in uno spirito di cooperazione al fine di facilitare il rispetto degli obblighi derivanti dalla stessa.

A questo punto, ci si chiede perché vengano ancora prodotte e utilizzate queste armi infernali che la civiltà del diritto ha deciso di abolire. La risposta è semplice: Stati Uniti, Russia e Ucraina non hanno sottoscritto la Convenzione, pertanto possono agire come credono.

Nel dicembre del 2005, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione 60/97, ha designato il 4 Aprile Giornata mondiale per la Promozione dell’azione contro le mine e gli ordigni bellici inesplosi allo scopo di aumentare la consapevolezza della minaccia che essi costituiscono per la popolazione civile.

Grave è che la Comunità internazionale, nella maggioranza che è parte della Convenzione, accetti supinamente senza sollevare obiezioni e che soprattutto l’Italia, Paese tra i primi sottoscrittori, non si opponga a questo nuovo passo verso l’escalation del conflitto.

Il nostro Paese ha sulle spalle un’eredità giuridica che altri non hanno. E pertanto non può assecondare accomodamenti del diritto a seconda delle circostanze. Dovrebbe far sentire la propria voce nei confronti di quei Paesi di minori tradizioni, che privilegiano altri interessi nazionali. Le violazioni, da chiunque siano commesse, vanno contrastate in modo certo e credibile, al fine di non assistere a una graduale inversione dei livelli cui ci ha condotto una scuola di pensiero di cui l’Italia è punto di riferimento internazionale.

In proposito si è svolto nei giorni scorsi a Roma il XVIII Convegno Nazionale di Diritto Internazionale Umanitario organizzato dalla Croce Rossa e dall’Università Roma Tre ove sono stati esposti gli sforzi degli esperti della materia per diffondere i principi basilari di questa branca del diritto che sancisce le regole cui deve sottostare anche la guerra affinché non venga accettata l’idea della sua altrimenti inevitabile barbarie.

La Comunità internazionale non tolleri pertanto forzature dagli orizzonti inesplorati e faccia di tutto, affinché il ricorso alla ripetuta dicotomia aggressore e aggredito non costituisca esimente per qualsiasi comportamento, con il rischio di tornare all’archeologia del diritto.

Aggiornato il 20 novembre 2024 alle ore 14:40