Sassolini di Lehner
Non sono una toga rossa, anzi, preferisco la giacca alla zimarra. Non sono neppure infelicemente sposato con un maschione e ho, anzi, contribuito, nientemeno che in conclamata associazione interna con una femmina, a dar vita a due figli, senza dover affittare uteri alternativi. Sono, dunque, un maledetto retrivo, un irregolare totale, una sorta di micidiale e viziosa pecora nera, più che degna della gogna euro-mediatica.
Tuttavia, pur senza l’eskimo democratico, mi permetto di esprimere un modesto parere sulla vexata quaestio dei Paesi sicuri ed insicuri. Se dovessi prenotare un volo per Gerusalemme, per visitare amici o parenti, potrei incappare nella sentenza di un Tribunale più che banale, il quale mi imporrebbe di non espatriare verso quei lidi, perché insicuri. La qual cosa non farebbe una piega, visto che Israele è in guerra non solo con quanti intendono cancellarla militarmente, dovendo difendersi anche dai pro-Pal di sinistra, alcune toghe democratiche comprese. Non essendoci più i fascisti di una volta, antisionismo ed antisemitismo sono divenuti monopolio dei nipoti di Stalin, Togliatti, Mao, Lin Piao, Castro e Pol Pot.
Se mi venisse in mente di prendere un Italo o un Frecciarossa per andare a salutare l’amico liberale Nicola Porro, che non poche volte da prezioso anfitrione mi ospitò, potrei incappare nell’ingiunzione di un altro Tribunale banale di non mettere piede a Milano, specie nella stazione centrale, dove stazionano più malandrini che binari, più spacciatori che viaggiatori, più delinquenti che utenti. Questo secondo Tribunale banale, essendo certamente progressista – Togliatti, più creativo dei suoi epigoni, avrebbe detto “progressivo” – ma, purtroppo, pure strabico, eviterebbe il più logico dei giudizi: visti gli articoli di legge italiani e soprattutto i diktat dell’Unione europea, gran parte di codesta folla di non proprio specchiata onestà, composta da immigrati spesso irregolari e clandestini, non poco rissosi fra di loro, residenti stabilmente in codesta pericolosissima stazione milanese, in nome della loro sicurezza fisica e psicologica, debbono di conseguenza essere immediatamente rispediti al Paese natio, che, al confronto con l’intera Milano, non può che risultare il luogo più fidato, vivibile e felice del pianeta.
La medesima sentenza dovrebbe essere partorita da toghe più savie che rosse per quanti frequentano abitualmente le stazioni capitoline, specie Termini e Tiburtina, località infernali, dove scippo, ferimenti, stupri, regolamenti di conti sono la normalità quotidiana. Ebbene, le bande di immigrati protagonisti eppur costretti a questa vita di merda, per se stessi e per i viaggiatori od i passanti, in via Marsala e dintorni, dovrebbero venire ipso facto rimpatriati, essendo la loro Patria certamente meno tribolata e malsicura.
Da pecora nera, da marito e non da marita, da quisque de populo, sans–toge e sans-culotte, lo dico e lo ripeto: gli immigrati non possono più rimanere in Italia, Paese esposto a mille pericoli, senza contare bergoglismo reale, spionaggio, dossieraggio, gayprideggio, forcaiolismo, grillismo, giuseppismo e soprattutto l’inquietante saccenteria dei compagni accoglionisti, fluidisti, opevaisti, rigorosamente residenti nella Ztl.
Aggiornato il 01 novembre 2024 alle ore 09:27