Una, cento, mille Albania

L’operazione di esternalizzazione, seppure parziale, delle procedure per la prevenzione dei flussi migratori illeciti e la tratta di esseri umani è cominciata. Nave Libra (P402), pattugliatore d’altura della nostra Marina militare, ha trasferito da Lampedusa al porto albanese di Shengjin i primi 16 immigrati irregolari – di questi, quattro sono stati rispediti in Italia – che successivamente saranno internati nel campo di Gjader in attesa che le autorità italiane stabiliscano se a costoro può o meno essere concesso il diritto d’asilo sul nostro suolo. Si tratta di un primo passo di buonsenso per provare a fermare un’ondata migratoria insostenibile che continua, negli anni, ad abbattersi sul nostro Paese. Ma rappresenta anche il modo migliore per combattere ilma-anchismo” della sinistra che si inerpica sugli specchi di proposte irrealizzabili purché non si modifichi lo status quo dell’immigrazione illimitata.

Non a caso sono i “buonisti”, devoti della causa dell’accoglienza ad libitum, a obiettare: dall’inizio dell’anno a ieri, 17 ottobre, sono sbarcati sulle nostre coste 54.876 immigrati irregolari (fonte: Cruscotto migranti Ministero dell’Interno), una goccia nel mare se si considera che l’Italia è abitata da circa 58 milioni e 990mila individui. Vero, ma sono tante gocce insieme che formano un oceano. E l’Italia, l’oceano non può accoglierlo in casa propria. Aver trovato un’intesa con il Governo di Tirana – sancita dai 14 articoli del “Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria”, firmato a Roma lo scorso 6 novembre da Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama – per spostare anche soltanto un numero limitato di immigrati giunti illegalmente nel nostro Paese, è giusta.

Soprattutto se, in prospettiva, avrà un effetto di deterrenza per scoraggiare molti dei potenziali migranti a intraprendere un viaggio pericoloso – che non di rado si conclude con la morte – per non giungere alla meta desiderata ma per finire internati in una struttura collocata in una nazione che non fa parte dell’Unione europea, con la certezza di venire rimpatriati. Non c’è altro modo per impedire la migrazione di massa. Meglio sarebbe non farli partire dai luoghi di nascita. Ma per conseguire un obiettivo di tale portata occorreranno tempi lunghi e, da parte europea, il massimo impegno a innalzare nei Paesi d’origine la qualità del lavoro, del reddito e della vita individuale e collettiva delle popolazioni. Al riguardo, l’implementazione del “Piano Mattei”, fortemente voluto da Giorgia Meloni, è un buon inizio perché i nativi si convincano di costruire a casa loro il proprio destino. Nel breve termine però, per impedire che una massa di disperati finisca preda degli appetiti di criminali senza scrupoli, è necessario mostrare fermezza nei respingimenti.

Lo ha capito l’Italia, grazie al Governo di centrodestra. E cominciano a capirlo in Europa, dove cresce l’interesse per il “modello Italia-Albania”. Dopo aver varato l’esperimento pilota con il Governo albanese, Giorgia Meloni dovrebbe spingersi oltre. Dovrebbe replicare l’iniziativa con altri Stati amici, individuati tra quelli della fascia mediterranea del Nord Africa, la Tunisia in primis. Lo scopo è evidente: evitare agli immigrati l’attraversamento clandestino del Mediterraneo e, di conseguenza, ridurre il rischio dei naufragi e dei morti in mare. Ma scopo prioritario è anche spezzare le gambe alle organizzazioni degli scafisti che lucrano grandi somme di denaro sulla pelle dei disperati. Guadagni che vengono reinvestiti nei canali illeciti dei traffici criminali. Non c’è nulla di più nobile e di più umanitario dell’impegno a prevenire la malasorte degli abbacinati dalla prosperità del Vecchio continente. E non c’è nulla di più efficace per rispondere alla domanda di sicurezza degli altri Stati dell’Unione europea. Questo è un punto nodale da sottolineare.

A smentire totalmente la “narrazione” della sinistra, che per anni ha fatto leva sulla menzogna che l’Italia avrebbe dovuto convincere gli altri Paesi dell’Ue ad accettare di spartirsi la massa migratoria approdata sulle sue coste, vi sono le prese di posizione di tutti i Governi dell’Unione che hanno ribadito un secco no alle ipotesi redistributive, a prescindere dal colore politico dei Governi nazionali. Il coro unanime che si è levato dai consessi comunitari all’indirizzo di Roma è stato: se li volete accogliere ve li tenete. Sono lontani anni luce i tempi della politica delle porte aperte voluta da Angela Merkel. Oggi perfino il premier polacco Donald Tusk, che non può definirsi un fan di Giorgia Meloni, ammette che ci sia una questione di sopravvivenza per la democrazia liberale nel Vecchio continente, mentre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, invita gli Stati membri a “trarre lezioni” dall’accordo Italia-Albania, per creare “hub di ritorno” in Paesi terzi.

Adesso che il nostro premier ha dimostrato di aver cambiato approccio al dossier immigrazione, da Bruxelles e dalle cancellerie europee fioccano consensi. È il momento di dire ai partner: lavoriamo insieme per sistematizzare il “modello Italia”, estendendo gli accordi di esternalizzazione ad altri Paesi extracomunitari. Grazie al coraggio del centrodestra italiano, ora si può. Ciò non significa chiudersi totalmente all’afflusso di stranieri. Le economie europee tutte hanno bisogno di manodopera extracomunitaria qualificata, per cui una politica migratoria regolata e gestita con criterio dovrà sempre esserci. Tuttavia, integrarne pochi non significa prenderli tutti. L’Italia ha fatto la sua parte. E continua a farlo. Secondo i dati Istat, al 1° gennaio del 2024 la popolazione residente di cittadinanza straniera è di 5 milioni e 308mila unità, in aumento di 166mila individui (+3,2 per cento) sull’anno precedente, con un’incidenza del 9 per cento sul totale della popolazione.

Ma non tutti gli immigrati regolari possono dirsi integrati. Troppi di loro insistono nel vivere in realtà chiuse, indisponibili a contaminarsi con gli stili di vita degli italiani e a riconoscersi nei valori fondanti della civiltà occidentale. E questo è un grosso problema sul quale occorrerà lavorare. È perciò inimmaginabile che il rubinetto migratorio resti perennemente aperto, come invece vorrebbe la sinistra. Ecco perché servono le “vasche di laminazione” dei flussi migratori irregolari, da collocare fuori del territorio italiano. Diversamente da quelle impiegate nei sistemi d’ingegneria idraulica, esse servono a evitare i danni recati da un altro tipo d’inondazione. Ora, la sinistra si agita e fa fuoco e fiamme contro il dirottamento degli immigrati in Albania. Il responsabile per le politiche migratorie del Pd, Piefrancesco Majorino, usa toni apocalittici: “Siamo di fronte ad un’operazione brutta, cinica e costosa.  Verranno lesi i diritti umani. Il governo Meloni sta realizzando una pagina orrenda sul piano della gestione delle politiche migratorie. Una pagina da contrastare in tutti i modi”.

Non è normale opposizione all’azione di governo ma disvelamento di una realtà che vede a confronto due opposte visioni del mondo. Sradicamento identitario e meticciato culturale rappresentano pilastri dell’idea di futuro prefigurato dall’ideologia progressista. Rivendicazione del sentimento prepolitico dell’appartenenza a un territorio avvertito come proprio, perché patria – terra dei padri – e che si accompagna al riconoscimento della sacralità del confine, è la stella polare di un pensiero genuinamente di destra. Sono universi distanti che non ammettono alcuna intersezione delle loro orbite. Tocca al popolo, sovrano in democrazia, decidere a maggioranza da che parte stare. O si sta con i progressisti e si spalancano le braccia per accogliere tutta la disperazione del mondo in casa propria – salvo a non sapere che farne e come gestirli un minuto dopo averli accolti – o si è contro. Tertium non datur. E allora si sta con il centrodestra, a intonare per la salvezza della nostra stirpe – che nel nostro lessico famigliare non è una parolaccia – “una, cento, mille Albania”.

Aggiornato il 18 ottobre 2024 alle ore 09:22