Il gioco delle bocce

Sassolini di Lehner

Sono un giornalista professionista non uno che vende portenti per lavastoviglie, tipo teglie incrostate rimaste intonse per 72 ore e di colpo pulite, brillanti, lucenti. Sono un giornalista, dunque, non la moglie di Fabio Caressa e neppure ho da spartire piatti sporchi con Giorgio Locatelli. Sono un giornalista, non un puffo, non sono neanche uno che ritiene la deontologia sinonimo di ideologia o di portineria. Non sono neppure un abboccone di lotta e di Governo, grado superiore a componente emerito della prima classe operaia e marxista-leninista. Infatti, non dedico nemmeno un rigo al nulla eterno, agli enigmi alieni, ai rimbambiti giustamente pizzicati dalle Wanna Marchi, ai campi larghi, ai George Soros, ai Romano Prodi, ai Carlo De Benedetti, agli improbabili arrampicatori sociali, alla moglie, suocera compresa, di Aboubakar Soumahoro, tantomeno digito o metto bocca su Maria Rosaria Boccia. Del resto, da professionista savio, non so chi sia, né intendo saperlo. La ignoro, ergo sum. Un giornalismo degno e credibile dovrebbe ignorare.

Eppure ogni giorno persegue il taglia e cuci e il farsi edotto di un’entità senza capo né coda. Inoltre, mi conviene mettere le mani avanti a futura memoria. Non mi chiamo Gennaro, bensì Giancarlo. Meglio Ercolano di Pompei, e Poppea meglio di tutti. Sono un ex biondo, alto quasi un metro e ottanta, fisico stravecchio ancora moderatamente atletico, condannato, però, alla pianeggiante calvizie, per eccesso di quel lussurioso chiamato testosterone, e, tuttavia, nonostante l’insorgente priapismo senile, dichiaro sotto giuramento di non aver recentemente messo incinta nessuna fanciulla in cerca di consulenze o di vacanze generosamente pagate da passanti. Dichiaro, inoltre, davanti a qualsivoglia procuratore della Repubblica, magari forcaiolmente attivato dal compagno Angelo Bonelli, di non aver mai incontrato, frequentato, limonato con signore o signorine battezzate Maria Rosaria.

Il doppio nome non mi allappa, non mi attira, non mi allepra, e, come fosse capra, non mi arrapra, pardon, arrapa. Mai e poi mai ho rivelato alcunché a chicchessia, neppure i top secret di quanti peli rossi hanno i togati di magistratura democratica o i commissari europei stressati dalle pesanti valigie zeppe di souvenir provenienti dal Qatar e non solo. Da alfabetizzato nella scuola statale Umberto I e non alle Frattocchie, diffido di chi dice e non dice, di chi allude e non dichiara, di chi annuncia sfracelli e intima l’inchino con tante scuse. Per tali figurine non spreco sillabe, dittonghi e iati e passo oltre. Ribadisco: non ho sfiorato con un dito alcuna femmina in ossessiva ricerca di notorietà o di un posto di prima fila davanti al Sol dell’avvenire. Insomma, mi limito a fare il giornalista, a cercare di informarmi e di informare, benché, così facendo, rischio di essere sanzionato e bocciato dall’Ordine dei pettegoli a mezzo stampa. Non mi importa niente, visto che da pensionato mi darò al gioco delle bocce. Sì, le bocce, quelle senza la “i”.

Aggiornato il 16 settembre 2024 alle ore 10:46