Non facciamo gli ipocriti. La brutta vicenda di Viareggio apre una ferita nella coscienza profonda della destra. Una lacerazione non immediatamente sanabile. Interrogarsi sulle motivazioni psico-sociologiche che hanno portato una donna penalmente illibata a uccidere il ladro che poco prima le aveva scippato la borsa è roba da pseudo-intellettuali “sessantottini”, perciò non serve a nulla. Metterla sul piano della morale cristiana? Peggio che andar di notte. L’unico terreno, scivolosissimo, sul quale, a nostro giudizio, è lecito muoversi è quello della percezione esistenziale. Per dirla meglio: come l’impatto del mondo esterno, in tutte le sue dinamiche, incida sulla sfera emotiva del singolo individuo. È in quel territorio oscuro che andrebbe cercata una spiegazione plausibile al comportamento dell’imprenditrice viareggina, di là da ciò che l’autorità giudiziaria accerterà sul piano della responsabilità penale.
Ma partiamo dai fatti. Said Malkoun, algerino di 47 anni, senza fissa dimora, è stato investito nella notte di domenica 8 settembre da un’autovettura di grossa cilindrata in Via Coppino, nel Quartiere Darsena Di Viareggio. A seguito delle ferite riportate, Malkoun è deceduto poco dopo essere stato trasportato al Pronto soccorso dell’Ospedale Versilia di Lido di Camaiore. Avviate immediatamente le indagini, è stata rinvenuta in loco una telecamera di videosorveglianza che ha permesso agli inquirenti l’esatta ricostruzione dell’accaduto. Le immagini, della durata di circa un minuto e venti secondi, mostrano chiaramente che il conducente dell’autoveicolo si è volontariamente lanciato contro l’algerino. Dall’auto è scesa una donna che era alla guida del veicolo – successivamente identificata nella persona di Cinzia Dal Pino, 65enne imprenditrice viareggina nel settore balneare – la quale, dopo aver travolto l’uomo, ha recuperato da terra una borsa e si è rapidamente allontanata dalla scena senza prestargli soccorso.
La signora, indagata dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Lucca per omicidio volontario, è stata posta in stato di fermo dalle forze dell’ordine e successivamente condotta agli arresti domiciliari. Agli inquirenti ha dichiarato di aver investito il Malkoun allo scopo di recuperare la borsa che poco prima l’algerino le aveva rubato aggredendola in auto e minacciandola con un coltello. La Dal Pino ha aggiunto di non aver avuto alcun intento omicida e di essersi allontanata dal luogo dell’impatto nella certezza che l’investito si fosse rialzato e stesse bene. Questi i fatti. Poi, però, sono piovute le polemiche. Per i progressisti, di giustificazioni del crimine non si dovrebbe neanche parlare dal momento che la vittima è una sola ed è l’immigrato rimasto ucciso. Per una parte della destra, l’accertamento delle responsabilità non è così scontato come sembrerebbe. Se l’algerino è stato vittima della reazione d’impulso della signora viareggina è pur vero che quest’ultima era stata vittima a sua volta a causa della rapina subita. Intorno a questo punto nodale ruota la riflessione sulle ragioni profonde che ci permettono di restituire un orizzonte di senso all’accaduto. Saltiamo a piè pari la parte, scontata, in cui si afferma che la signora abbia commesso un grave reato e che per questo debba essere punita. È perfino banale sottolineare che in una società regolata dal diritto le norme vadano rispettate.
E non ci riferiamo soltanto al comandamento morale che ordina di non uccidere, ma alla norma giuridica che pone in capo alla giurisdizione il dovere di applicare la legge comminando la sanzione al reo e agli organismi dello Stato, individuati dall’Ordinamento giuridico, il dovere di renderla esecutiva. Per dirla in parole semplici: nessuno dice che la signora non debba essere riconosciuta responsabile della procurata morte dell’algerino o che non debba scontare una pena se giudicata colpevole del reato ascritto. Le domande da porsi sono: quale grado di legittimazione la signora Dal Pino pensava di avere nel riparare con propri mezzi e azioni il torto subìto? Cosa l’ha indotta a non ricorrere all’intermediazione delle forze dell’ordine per ricevere ristoro alla lesione dei suoi diritti violati? Siamo nella terra incognita del percepito. È di tutta evidenza che il comportamento della signora Dal Pino sia stato condizionato dall’idea di non potersi affidare alle forze dell’ordine pubblico per ricevere giustizia; che, invece, un’azione violenta, diretta a cagionare danno all’aggressore, avrebbe ripristinato il diritto naturale di difendere e preservare la sua proprietà.
Altro fattore percepito è connesso all’identità etnica del rapinatore. Non vi è dubbio che, ai fini della percezione, non basta essere immigrati ma anche apparire tali. Nell’aggredito matura la sensazione che lo straniero aggressore, con l’atto criminale, non stia soltanto sottraendo un oggetto o un bene economicamente fungibile – è la tesi dei “buonisti”: le cose si ricomprano, le vite umane no – ma con la sua fisicità irrompa a violare una sfera intima di sacralità che è fatta di cose la cui fungibilità non è economica ma valoriale, affettiva, sentimentale. Nell’involuzione materialistica della “società fluida”, paradossalmente le “cose” vengono deprivate di qualsiasi valenza che non sia collegata al valore monetario dell’oggetto in sé. Si nega il fatto che per chi lo possiede il bene materiale possa essere un deposito della memoria. Ciò spiega perché il senso della perdita possa essere percepito come più ampio e irreparabile rispetto alla perdita in quanto tale, che si concreta nella mera circostanza di non poter più disporre di un bene materiale. Vi è poi da valutare, ai fini della percezione, la misura della distanza che l’individuo avverte nel rapporto con le pubbliche istituzioni. In materia di sicurezza, quanto più la distanza è avvertita come reale tanto maggiore è il convincimento individuale di doversi fare giustizia da soli, non avendo fiducia in alcun’altra forma di protezione ammessa dalle regole giuridiche.
Se tali considerazioni hanno fondamento, allora il problema non è circoscrivibile all’accertamento della responsabilità penale, ma è politico. Quando un partito – o come nel caso del centrodestra, una coalizione di partiti ideologicamente omogenei – s’impegna programmaticamente ad assicurare la sicurezza ai cittadini, deve avere la consapevolezza dell’insufficienza della sola introduzione nell’Ordinamento di nuove leggi, anche se queste prevedano inasprimenti di pena. Perché siano recepiti positivamente dai cittadini occorre che gli interventi risultino efficaci, cioè rispondano concretamente a quelle istanze che scaturiscono dalla percezione che gli individui hanno rispetto al loro personale senso di sicurezza nel vivere la vita di relazione nell’ambito della collettività. Per intenderci, si prenda il caso del “codice rosso” introdotto nell’ordinamento penale per arginare la piaga dei femminicidi. La norma è scritta bene, i meccanismi sono stati concepiti per svolgere una decisiva funzione preventiva di tale fattispecie di reati.
Tuttavia, se non si hanno le risorse umane e strumentali, tra organi di polizia e magistratura, sufficienti a soddisfare la richiesta di protezione ovunque si manifesti, continuerà ad accadere che, nella maggioranza dei casi, le vittime di femminicidio da potenziali diverranno reali ma anche che la vittima, giudicando la propria esistenza alla stregua di un vicolo cieco senza vie d’uscita, rompa il rapporto fiduciario con le istituzioni pubbliche provvedendo in via autonoma all’eliminazione fisica della minaccia ritenuta incombente, con la seguente giustificazione: lo ammazzo per riprendermi la mia vita. Non è diversa la condizione nella quale si è trovata la signora Del Pino: ha fatto da sola ciò che ha reputato le forze dell’ordine non avrebbero fatto. La morte del rapinatore si ascrive alla preterintenzionalità dell’azione la cui motivazione originaria era nella volontà di ristabilire un equilibrio esistenziale violato, recuperando ciò che l’aggressore le aveva portato via con la violenza. È quindi inutile e fuorviante, in questa dolorosa vicenda, stare a fare la conta dei torti e delle ragioni. Nella maledetta notte di Viareggio ci sono state vittime, ma non ci sono innocenti. Neanche la politica lo è.
Aggiornato il 16 settembre 2024 alle ore 10:01