Dio protegga Israele dagli “amici”

Sono ore terribili per Israele. E lo sono per l’intero Occidente, anche se fingiamo di non saperlo. L’amministrazione statunitense sta esercitando una fortissima pressione sul Governo di Bibi Netanyahu affinché accetti l’accordo di tregua, che i rappresentanti di Stati Uniti, Egitto e Qatar stanno negoziando con i terroristi di Hamas.

Intanto, nel corpo vivo della società israeliana monta la rabbia contro il Governo Netanyahu, accusato di non voler salvare le vite degli ostaggi ancora nelle mani delle belve islamiste. I cadaveri dei sei israeliani ritrovati ieri l’altro, brutalmente giustiziati dai terroristi nella Striscia di Gaza, sono stati benzina sul fuoco della polemica – interna e internazionale – sulla presunta ostinazione del premier israeliano a non voler cedere ai diktat dei terroristi. È evidente che la situazione sia maledettamente complicata. Il dolore dei famigliari delle vittime, che si unisce a quello dei parenti degli ostaggi che si spera siano ancora vivi, è comprensibilissimo. Tuttavia, talvolta nella storia di una comunità viene un momento nel quale chi è chiamato a governarla deve affrontare il più devastante dei dilemmi: operare per salvare le vite a rischio, ancorché preziose, di alcuni dei suoi membri o preoccuparsi di proteggere la comunità nel suo insieme? Risposta sempre difficile a darsi. Quel che è certo è che nessuno vorrebbe essere nei panni del primo ministro israeliano, il quale, qualsiasi cosa deciderà di fare in un senso o nell’altro, troverà qualcuno che lo accuserà di aver compiuto la scelta sbagliata. Quindi facile, facilissimo per chi, guardando da lontano i tragici avvenimenti mediorientali, sputi sentenze in linea con le proprie convinzioni ideologiche e religiose. E cos’è che va per la maggiore in un Occidente declinante? La vigliacca idea, condita con massicce dosi di antisemitismo, che in fondo gli israeliani se la siano cercata e che il male procurato dalla barbarie islamista sia di gran lunga inferiore alla punizione che l’esercito israeliano sta infliggendo all’“innocente” popolazione di Gaza. Innocente, un corno!

Ora, se mai avessimo voluto cercare un esempio per dimostrare il tentativo di suicidio in corso della civiltà occidentale, niente avrebbe soddisfatto la nostra ricerca più di quello che potremmo definire il “paradigma Hamas”. Nella vicenda di Gaza assistiamo a ciò che a buon diritto il generale Roberto Vannacci definirebbe un episodio del mondo al contrario. È soltanto in questo orribile “Truman show”, intrecciato drammaturgicamente alla dinamica paradossale del teatro dell’assurdo, che le vittime passano per carnefici. E viceversa. Da parte occidentale, si chiede al Governo israeliano di scendere a patti con chi statutariamente persegue quale principale obiettivo esistenziale la totale distruzione dello Stato d’Israele. Si chiede alle vittime del massacro del 7 ottobre 2023 di consentire ai suoi artefici – e soprattutto ai mandanti – di farla franca. Si pretende che l’esercito israeliano molli la presa sul controllo del valico di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, noto come il Philadelphia Route, pur nella generale consapevolezza che da quel nodo strategico transitino le armi per rimettere in piedi la quasi decimata milizia di Hamas. Si chiede a Israele di abbandonare il “Corridoio di Netzarim”, che separa il nord della Striscia dal sud, con l’inevitabile conseguenza che i terroristi tornerebbero a muoversi liberamente sul terreno rompendo l’accerchiamento in cui li ha stretti l’esercito israeliano.

In buona sostanza, si esige da Israele di accettare in via negoziale la propria sconfitta. Se per gli arrendevoli occidentali tale appare la soluzione migliore, non ci si illuda che lo sia per il popolo d’Israele. Netanyahu ha dichiarato fin dal giorno dopo la strage del 7 ottobre che vi non sarebbe stata una semplice azione di rappresaglia contro i terroristi, ma che il popolo in armi di Israele avrebbe combattuto per la propria sopravvivenza. Se noi occidentali non capiamo questo, significa che non abbiamo capito nulla della storia degli ultimi ottanta anni di quella martoriata terra e della granitica volontà degli ebrei di avere, dopo duemila anni, una Patria in cui vivere pacificamente. Ma ciò che più ripugna ammettere è la constatazione di una civiltà – quella occidentale – che neghi a sé stessa una sconcertante verità: lo strumento del ricatto esercitato attraverso il sequestro di ostaggi è l’arma preferita dai terroristi islamici. Oggi la utilizzano contro il nemico sionista ma che domani, visti i positivi riscontri odierni, potrebbero impiegarla per mettere in ginocchio gli imbelli occidentali. Siamo deboli. E ciò che maggiormente ci ha reso tali, fiaccando le nostre capacità offensive, è stato il veleno del nuovo pacifismo unilaterale che spinge le nostre società ad accettare, subendoli, gli stili di vita e i sistemi valoriali di coloro che, per fattore politico-religioso, hanno individuato nell’Occidente il nemico da soggiogare. Ma non è stato sempre così.

Vi è stato un tempo nel quale politici coraggiosi sapevano riconoscere il bene dello Stato e della sottostante comunità oltre le apparenti convenienze congiunturali. Senza perniciosi cedimenti a buonismi di sorta. Cosa sarebbe stato del mondo che abitiamo se nel 1940 Winston Churchill avesse ceduto alle pressioni di una parte della sua opinione pubblica di giungere a una rapida pace con la Germania nazista allo scopo di far cessare i bombardamenti sulle città inglesi? Probabilmente oggi anche i più avveduti “liberal” farebbero a gara per indossare un’uniforme delle SS. Ma per stare alla storia recente, cosa ne sarebbe stato del nostro Paese se la politica italiana, compatta da destra a sinistra, non avesse fatto muro contro la vile pressione esercitata dagli assassini delle Brigate rosse nei giorni del sequestro Moro? Aldo Moro era un uomo buono, per usare un’espressione di papa Paolo VI nel descriverlo. Ma, in quella circostanza, fu valutato che la salvezza del singolo non potesse – e non dovesse – comportare la perdita di libertà di una intera comunità nazionale. Che vi sarebbe stata se lo Stato avesse ceduto alle richieste dei terroristi. La risposta giusta fu di dare al generale Carlo Alberto dalla Chiesa gli strumenti giuridici e operativi opportuni perché stroncasse in radice il fenomeno brigatista. Cosa che avvenne.

Che ci è successo se adesso non uno, ma tutti o quasi i Governi occidentali trovano normale che si scenda a patti con le belve di Hamas e, peggio, che si condannino le vere vittime perché non si piegano al ricatto? E che dire di quella massa di “utili idioti” che affollano le piazze del mondo libero con tanto di kefiah sulle loro zucche vuote e di cartelli appesi al collo su cui campeggia la scritta “Free Palestine”? Siamo sideralmente oltre la Sindrome di Stoccolma. Siamo ai rantoli di un sistema corrotto dallo stesso veleno che ha contribuito a creare. Progressismo liberal, pacifismo unilaterale, cancel culture, wokismo, sono le esotiche etichette mediante le quali si spaccia il medesimo veleno.

Eppure, il buonismo autolesionista non fa venir meno la smania di potere dei suoi fautori. Il presidente Joe Biden ha accusato Netanyahu di non impegnarsi abbastanza nei negoziati con il nemico, causando una pericolosa delegittimazione del leader israeliano agli occhi del suo popolo. A “sleepy Joe” preme che una tregua venga raggiunta al più presto perché far tacere le armi a Gaza gli consentirebbe di fornire un aiuto elettorale interno alla candidata democratica Kamala Harris che tra sessanta giorni dovrà vedersela con un Donald Trump il quale, a sua volta, non perde occasione per dire agli americani che con lui presidente quello schifo visto in Israele non si sarebbe mai visto. Siamo al nocciolo del problema. A Biden l’unica cosa che sta a cuore è dare un vantaggio alla sua vice nella corsa per la Casa Bianca potendo annunciare prima del prossimo 5 novembre – giorno del voto – la fine delle ostilità a Gaza. Pur di vincere sul nemico politico il signor Biden è pronto a sacrificare il futuro del popolo israeliano. Se è un segnale che vi interessa individuare, che vi indichi la fine di un mondo, della sua civiltà, dei suoi valori, interrompete le ricerche. L’avete trovato.

Aggiornato il 04 settembre 2024 alle ore 11:53