I fatti sono noti. Dopo aver regolarmente sottoscritto un contratto in virtù del quale il cantante Povia avrebbe dovuto far parte della giuria di un concorso e poi cantare il prossimo 20 settembre – Festa del santo patrono San Matteo – il sindaco di Nichelino (Torino) Giampiero Tolardo ha annullato la partecipazione, perché – così ha precisato – “le sue (di Povia) posizioni omofobe, antiaborto e no vax sono il contrario dei valori di democrazia che la nostra comunità rappresenta”. Detto per inciso, Povia ha poi rivelato che il sindaco gli aveva pure offerto di versargli il compenso contrattualmente pattuito a prescindere dalla sua esibizione, ma di aver rifiutato, perché non intende percepire denaro per qualcosa che non ha fatto. Se dovessimo esemplificare per dei ragazzi in età scolare un caso di censura pubblica di carattere politico, questo appena riportato calzerebbe alla perfezione. Infatti – probabilmente senza neppure accorgersene – il sindaco ha impedito a un artista di esibirsi, dopo averlo posto sotto contratto, non perché abbia avuto un ripensamento sulle sue qualità canore, ma semplicemente perché in passato costui ha manifestato idee politiche diverse dalle sue.
Tuttavia, il sindaco è stato troppo precipitoso, non avendo riflettuto su alcuni aspetti che invece sono essenziali. Innanzitutto, è proprio sicuro che in una comunità di quasi cinquantamila abitanti – quella del suo Comune – non ci sia qualcuno (dieci, venti, cento) che la pensi diversamente da lui? Che cioè sia contrario all’aborto e che reputi antigiuridica la gestione politica della pandemia, senza per questo essere etichettabile come no vax? È proprio sicuro il sindaco che aver censurato Povia si ponga come il solo gesto rappresentativo di tutti i suoi cittadini oppure, al contrario, soltanto di coloro che lo abbiano votato? È proprio sicuro di aver in tal modo rappresentato in modo conveniente l’insieme della comunità? Lo sa il sindaco che anche alcuni campioni del progressismo politico di sinistra si son peraltro dichiarati – senza se e senza ma – contrari all’aborto? Lo sa che Pier Paolo Pasolini lo giudicò un delitto, Norberto Bobbio un illecito morale e giuridico e Oriana Fallaci prese le debite distanze? O forse lo ha dimenticato?
Lo sa il sindaco che i più profondi critici della insensata e antigiuridica gestione politica della pandemia sono stati intellettuali dichiaratamente di sinistra e di livello planetario quali Bernard-Henri Lévy, Giorgio Agamben e Massimo Cacciari? A partire dalla prospettiva censoria del sindaco, dovremmo dedurre che egli toglierebbe il diritto di parola a Pasolini, a Bobbio, alla Fallaci, a Levy, ad Agamben e a Cacciari. Sarebbe questo il servizio alla sua comunità? Il vero è che ormai da anni viviamo in un contesto storico e sociale di inarrestabile decadenza – simile al quella del quarto secolo dopo Cristo – molti parlano, straparlano e poi agiscono senza neppure comprendere quali siano i presupposti e le conseguenze delle proprie parole e delle proprie azioni, rimanendo felicemente assisi sull’instabile trono della propria inscalfibile insipienza. E la conseguenza più visibile è questa: che siccome il sindaco pare non abbia la minima idea di che cosa sia la democrazia – nel cui ambito tutti hanno diritto di parola senza eccezioni – e neppure l’espressione artistica – nel cui ambito le censure politiche si fanno cogliere come particolarmente odiose – abbiamo assistito a una prefigurazione di ciò che potrebbe accadere fra qualche anno, qualora prendessero il potere quelli che pensano (cioè non pensano) come lui.
E purtroppo ce ne sono più di quanti si possa immaginare. Due sere fa, nel corso di un programma di intrattenimento politico, l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella e l’ex deputato del Pd Gianfranco Librandi hanno difeso l’iniziativa del sindaco di Nichelino, mentre il deputato del Mauro Berruto (Pd) ne ha lodato l’azione perché avrebbe difeso il suo Paese: strabiliante! Tutti costoro hanno in tal modo mostrato pubblicamente la loro indole davvero pericolosa perché di ispirazione totalitaria e soprattutto perché hanno fatto vedere – elogiando la censura – di non capire nulla né di politica né di espressività artistica. Lo aveva predetto secoli fa l’arguzia di Decimo Giunio Giovenale: “La censura tormenta le colombe, ma perdona ai corvi (Dat veniam corvis, vexat censura columbas)”.
Aggiornato il 04 settembre 2024 alle ore 09:34