AfD trionfa nella Germania Est: ennesimo flop della “coalizione semaforo”

Terremoto politico in Sassonia e in Turingia. I due Länder situati nella Germania orientale hanno votato per il rinnovo dei loro Parlamenti, provocando una spaccatura insanabile tra le geometrie politiche del Bundestag e il sentire del Paese profondo. In ascesa le forze radicali e anti-sistema (Alternative für Deutschland e l’Alleanza Sahra Wagenknecht), in caduta libera i partiti che rientrano nel cosiddetto “arco costituzionale” (con l’unica eccezione della Cdu, che performa discretamente). I commentatori più incauti e superficiali potrebbero tirare in ballo l’ubiquitario tema dell’onda nera; il pericolo di una torsione autoritaria che rischierebbe di trascinare l’Europa nel baratro, come è avvenuto un secolo fa. Ma le dinamiche locali risultano assai più complesse di quello che vorrebbero far credere i salotti radical chic o le trasmissioni televisive.

L’affermazione dei nazional-populisti di Alternative für Deutschland nei territori che fino al 1989 orbitavano attorno all’Unione sovietica testimonia il fallimento della politica tradizionale. È uno schiaffo alla classe dirigente di Berlino, che ha abbandonato le città rimaste indietro per il crollo del socialismo reale, gravate dal decremento demografico, dagli alti tassi di disoccupazione e dalla scarsità di infrastrutture. È una sonora bocciatura al governo di Olaf Scholz, che sta sbagliando su tutta la linea (economia debole, insicurezza dilagante, immigrazione fuori controllo, centrali nucleari smantellate a iosa). Ed è una presa di posizione nettissima verso tutti coloro che inquinano il dibattito istituzionale criminalizzando le diversità ideologiche – persino le tesi più divisive, come quelle portate avanti dal movimento di Alice Weidel. I cittadini esasperati hanno fatto sentire il loro malcontento e hanno ignorato questo accanimento mediatico. Non è funzionato il gioco della reductio ad hitlerum, non sono serviti a nulla i provvedimenti censori e le attribuzioni delle patenti di nazismo, non è stato utile nemmeno il cordone sanitario contro AfD.

Anziché isolarla estromettendola dai luoghi decisionali, la scelta di escluderla ha fatto lievitare le preferenze per la formazione. Ora sarà (quasi) impossibile bandirla dalle stanze dei bottoni. Manca tutt’oggi un governo regionale che veda la partecipazione di AfD. Eppure, questa eventualità potrebbe materializzarsi da un momento all’altro, se prendiamo in esame gli ultimi trend elettorali. Un esperimento in tale direzione – naufragato miseramente – risale all’inizio del febbraio 2020. La Cdu e la Fdp nominarono il liberale Thomas Kemmerich governatore della Turingia contando sui numeri decisivi di AfD. Si scatenò un putiferio. La democraticissima cancelliera Angela Merkel fu scioccata dall’alleanza di una destra ‘a tre colonne’ e dichiarò che il verdetto delle urne “doveva essere riscritto”. A ciò si sono aggiunte le proteste inscenate dai facinorosi dei centri sociali, che hanno impedito l’insediamento di Kemmerich – tanto da costringerlo alle dimissioni in meno di una settimana.

Passiamo in rassegna il risultato nei Länder. In Turingia AfD ha raggiunto il suo massimo storico (32,8 per cento, + 9,4 rispetto a cinque anni fa), diventando per la prima volta la forza politica con più suffragi in un Land. Medaglia d’argento per i centristi della Cdu, che registrano una lieve crescita (23,6 per cento, +1,9). Sul terzo gradino del podio (15,8 per cento) troviamo la formazione di Sahra Wagenknecht, la pasionaria neocomunista fuoriuscita da Die Linke che ha deciso di sfidare l’establishment lanciando un programma rossobruno: la nostalgia della Ddr e l’idolatria del Cremlino si amalgamano con le battaglie anti-immigrazione e con la critica al “turbocapitalismo” (magari avercelo...). La bizzarra sigla di Wagenknecht ha prosciugato i consensi della sinistra radicale guidata dall’ex governatore Bodo Ramelow, che precipita dal 31 per cento al 13 per cento. La Spd è in affanno al 6 per cento (-2,1); sotto la soglia di sbarramento i Verdi (3,2 per cento, -2); de profundis per la Fdp (1,1 per cento, -3,9). Uno scenario simile si è verificato nella confinante Sassonia. Qui è prima la Cdu (31,9 per cento, sostanzialmente stabile), seguita a un’incollatura da AfD (30,6 per cento, +3,1). Terzo il partito di Wagenknecht (11,8 per cento). Saranno rappresentati nel Parlamento regionale – per il rotto della cuffia – la Spd (7,3 per cento, -0,4) e i Verdi (5,1 per cento, -3,5).

Spesso, i media imputano il successo dell’estrema destra alla scarsa partecipazione elettorale. Ma l’affluenza è aumentata in modo considerevole: in Sassonia è passata dal 66,2 per cento al 74,4 per cento, in Turingia dal 64,9 per cento al 73,6 per cento. Entrambi i Länder hanno mandato un avviso di sfratto alla “coalizione semaforo” tra socialisti, ambientalisti e liberaldemocratici che sostiene Olaf Scholz. Se in Sassonia la compagine di governo ottiene poco più del 13 per cento, in Turingia sfiora a fatica l’11 per cento. Questo significa che 87 cittadini sassoni su 100 e 89 cittadini turingi su 100 sono insoddisfatti dell’esecutivo attualmente in carica. Quale circostanza migliore di questa per fare un bagno di umiltà e chiedere scusa? Ma il semaforo dei progressisti tedeschi, persino ora che è divelto, arrugginito e privo di lanterne, non sembra voler confessare la sua inesorabile fine. Già, l’exploit di AfD è un incubo tanto mostruoso da impedire a Scholz di ragionare realisticamente sui suoi errori.

Cosa faranno i moderati (a loro insaputa) della Cdu, il partito cristiano-democratico che ha rinunciato tanto alla sua identità cristiana quanto alla sua essenza democratica? Semplice: continueranno a infilare la testa sotto alla sabbia, come gli struzzi. Il segretario generale della Cdu, Carsten Linnemann, ha dichiarato ai microfoni di Ard che il suo partito non formerà nessuna coalizione con AfD. Ha però omesso un dettaglio: le ammucchiate che vanno dal centro all’estrema sinistra non potranno reggersi in piedi, dal momento che non ci sono i seggi per una maggioranza. Rimane una sola opzione: che le ali radicali uscite vincitrici alle elezioni si coalizzino. È un’ipotesi azzardata che, tuttavia, corrisponde al volere dei cittadini. Come è successo in Italia all’indomani delle elezioni politiche del 2018, quando i populisti del Movimento 5 Stelle e i sovranisti della Lega si allearono attorno a un programma comune. Il pessimo Governo Conte I cadde nell’arco di un anno e mezzo, certo. Ma fu una risposta limpidamente democratica al responso elettorale. Che in Sassonia e in Turingia possa accadere qualcosa del genere? Molto difficile, staremo a vedere.

Aggiornato il 03 settembre 2024 alle ore 10:06