Le Olimpiadi che hanno fatto a pugni con la realtà

“L’autentica quintessenza della vita di un uomo consiste nella verità. La verità su di sé. La verità sugli altri. L’inesorabile verità”: così scriveva Aleksandr Zinov’ev cresciuto all’ombra di un regime totalitario in cui la verità non esisteva, la realtà era manipolata ad arte secondo il comodo dell’ideologia dominante, e in cui la vita non aveva alcun senso poiché non c’era una verità che potesse costituirne il fondamento.

Esperienza comune di tutti i totalitarismi, del resto, che appunto sono tali, cioè totali perché tramite la loro ideologia plasmano la realtà a propria immagine e somiglianza, penetrando in ogni aspetto della realtà, di tutta la realtà nella sua interezza, nella sua totalità. Non è un caso che nei regimi totalitari il principio di realtà sia sistematicamente negato e vilipeso, poiché misconosciuta è la verità soppiantata dall’ideologia dominante.

Analogamente sta accadendo, in questi giorni, alle Olimpiadi di Parigi.

La cerimonia inaugurale si è incentrata su una messa in scena dell’ultima cena leonardesca in versione drag queen, come hanno candidamente ammesso le stesse comparse che vi hanno preso parte; è stata riproposta una Maria Antonietta ghigliottinata la cui esibizione è stata biasimata perfino dal progressista Jean-Luc Mélenchon; la balneabilità della acque della Senna è stata negata e affermata nel giro di pochissime ore; e infine il caso dell’incontro di pugilato tra Imane Khelif e Angela Carini in cui quest’ultima si è arresa dinnanzi alla impari forza dell’avversario androgino.

Un fil rouge accomuna i quattro casi, cioè la sostituzione del principio di realtà e la negazione del principio di verità. Nel caso dell’ultima cena la negazione del principio di realtà è avvenuta ad opera di tutti coloro che hanno sostenuto che non si trattava dell’ultima cena, nonostante le dichiarazioni in senso contrario delle comparse che infatti hanno preceduto le scuse formali.

Nel caso della decapitazione di Maria Antonietta la negazione del principio di realtà è avvenuta ad opera di tutti coloro che non hanno percepito la gravità della esaltazione di un tale evento che è senza dubbio parte della storia di Francia, ma della sua storia più cupa quale è stato il periodo delle condanne a morte della rivoluzione francese e del terrore giacobino che, infatti, finì per ghigliottinare il suo più solerte ghigliottinatore, cioè l’incorruttibile Robespierre.

Nel caso delle acque della Senna il principio di realtà è stato negato dal fatto che nel giro di pochissime ore si è passati dalla assoluta non balneabilità a causa dell’alto livello di inquinamento alla balneabilità quasi per magia.

Viviamo nell’epoca, del resto, in cui se a qualcosa si appone il bollino “lo dice la scienza” tutto diventa indiscutibile, anche se poi gli atleti vomitano dimostrando il contrario di ciò che dice la scienza.

Infine il caso più eclatante, cioè quello del pugilato, in cui l’atleta Imane Khelif dapprima è stato dichiarato uomo, poi transgender, quindi donna con più testosterone del normale, infine intersessuale.

Tralasciando il problema ulteriore, sebbene di non minore importanza, relativo all’affidabilità della stampa nazionale, Khelif è stato fatto gareggiare con Angela Carini nella categoria femminile nonostante ai mondiali fosse stato escluso in quanto ritenuto uomo a causa dei suoi cromosomi XY.

La negazione del principio di realtà si constata nel momento in cui una persona che non ha l’esatta e precisa identità femminile viene fatta gareggiare contro un’altra persona che invece ha una definita identità femminile. Il principio di inclusività – a cui tutti oggi si richiamano e a cui tutti si genuflettono acriticamente – non può venirsi a trovare in contrasto con il principio di realtà, così che bisogna ammettere che chi ha cromosomi maschili, XY, è maschio e chi ha cromosomi femminili, XX, è femmina.

Ciò che contrasta con il principio di realtà, del resto, è l’idea – supportata dall’ideologia gender, dal pensiero woke, dal progressismo liberal-socialista del XXI secolo – che a prescindere dal sesso ciascuno possa percepirsi per ciò che vuole: un uomo può percepirsi donna, una donna può percepirsi uomo e un comitato olimpico può fare una gran confusione tra le due dimensioni.

Senza dubbio anche le persone che – a torto o a ragione – non si percepiscono come donne o come uomini hanno diritto di gareggiare, ma per restare aderenti al principio di realtà dovrebbero richiedere la creazione di una terza categoria, non per essere discriminate, ma proprio per essere considerate e tutelate per ciò che loro pretendono di essere, cioè né maschi né femmine, e per rispetto del principio di uguaglianza che esige che situazioni simili siano trattate in modo simile e situazioni diverse in modo diverso.

Anche nello sport, del resto, vigono – o meglio, dovrebbero vigere – alcuni principi come quello di giustizia e proporzione, per cui non si può accettare che un soggetto androgino – con l’altezza, la massa muscolare e la forza di un uomo – si possa e si debba confrontare con una ragazza che per natura ha ben altra conformazione.

Da tutto quanto fin qui considerato possono effettuarsi alcune considerazioni di ordine critico.

In primo luogo: grande è la confusione di questo mondo sotto le volte del cielo, e queste Olimpiadi sono quasi la sintesi paradigmatica di tutto ciò che non funziona all’interno della civiltà occidentale: laicismo, genderismo, wokismo, scientismo, sono soltanto alcune delle manifestazioni ideologiche che convergono su un unico punto focale, cioè la negazione della realtà e, con essa, della ragione.

In secondo luogo: negare che esista una verità costitutiva della natura umana, cominciando proprio dalla stessa dimensione biologica alla luce della quale tutte le cellule umane sono sessuate e sono o maschili o femminili senza una terza possibilità, conduce alla negazione della realtà e alla sua sostituzione con tutte le formule a geometria variabile che il contesto sociale e ideologico di riferimento riesce ad immaginare con i grotteschi e surreali risultati a cui abbiamo assistito in questa prima fase delle Olimpiadi.

In terzo luogo: quando si nega il principio di verità, non soltanto si nega il principio di realtà, ma si nega anche il principio di giustizia il quale esige e pretende che sia dato a ciascuno ciò che a ciascuno spetta.

In base a ciò, dunque, ad una ragazza – per ragioni di giustizia che sono incoercibili anche e soprattutto nel mondo dello sport – spetta confrontarsi con una ragazza; conseguentemente ad un androgino spetta confrontarsi con un androgino. Nel momento in cui il Comitato olimpico ha ammesso il confronto tra un androgino e una ragazza il principio di giustizia è stato violato ai danni di entrambi.

Questo è il dramma che si è consumato sotto gli occhi di tutti, ma che non tutti (sia chi non può sia chi non vuole) hanno compreso, soprattutto i sostenitori – più o meno consapevoli – dei predetti indirizzi ideologici.

In conclusione: si tratta di Olimpiadi davvero fuori dalla realtà, che hanno fatto a pugni con la realtà, che hanno svilito la verità umana, che hanno dissacrato la dignità religiosa dell’arte, che hanno massacrato il principio di giustizia in nome di ideologie forsennate negatrici di un ordine razionale del creato.

È in questo contesto, e soprattutto in questo contesto, allora che occorre ribadire, da parte di chiunque abbia un minimo di buona volontà, la vigenza del principio di verità, quale principio fondativo del principio di realtà e di quello di giustizia, anche se i giornalisti lo negano, anche se gli organizzatori delle Olimpiadi lo negano, perfino anche se tutto il mondo interamente lo negasse all’unisono, poiché, con le parole di Alexandr Solzenicyn, “anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini per opera mia”.

Aggiornato il 03 agosto 2024 alle ore 12:02