La sindrome della mosca cocchiera

Secondo quanto riporta l’Agi, l’ipotesi di un ala blairiana nel centrosinistra, prospettata da un Matteo Renzi in versione mosca cocchiera, non sembra piacere a molti esponenti di peso del Partito democratico. Il ligure Andrea Orlando, ex ministro del Lavoro, non poteva che essere il capofila del mugugno contro l’ingresso del politico fiorentino nella già arlecchinesca coalizione. Sull’argomento segnalo l’efficace e pungente analisi di Mario Campanella, pubblicata sul Secolo d’Italia. Questo, a mio avviso, uno dei passaggi più significativi: “Matteo Renzi è a modo suo un fuoriclasse, perché solo un fuoriclasse avendo ormai poco più dell’1 per cento può fare due interviste consecutive sul Corriere della Sera e su Repubblica ponendosi come stakeholder del centrosinistra, dettare le regole, indicare i traguardi, lanciare la fatwa contro il Governo Meloni come se fosse il leader di quel Pd che raggiunse il 40 per cento dieci anni fa e che segnò l’inizio della sua fine”. Tanto è vero che il leader di Italia viva nei suoi ultimi interventi pubblici non fa che evocare, forse a mo’ di scaramanzia, un quasi inevitabile ritorno anticipato alle urne. Tutto questo nella speranza, obiettivamente piuttosto remota, di tornare nella stanza dei bottoni, eventualmente in un ruolo di Governo consono alle sue mai celate, grandiosi ambizioni.

Ovviamente Elly Schlien, che secondo l’Agi sentirebbe di avere il vento in poppa dopo le elezioni di giugno, non chiude la porta in faccia neppure a Renzi, seppur piuttosto consapevole di imbarcare un elemento particolarmente divisivo. Ma fino a quando la distanza tra le due coalizioni in lizza per guidare il Paese resterà al livello attuale, anche le piccole mine vaganti possono far comodo. D’altro canto, l’ex premier fiorentino, altrettanto consapevole della distanza siderale che lo separa dal “nuovo” Pd e della frattaglie del cosiddetto campo largo, ha già definito la sua linea d’attacco all’interno del centrosinistra. Basta leggere il titolo della sua recente intervista rilasciata a Repubblica per rendersene conto appieno: “Renzi: Il voto anticipato non è più un tabù. No a governi tecnici e battiamo la destra”. In pratica, così come sta accadendo in molte altre parti d’Europa, l’idea programmatica di battere la destra rappresenta un comodo escamotage per mantenere una certa compattezza, almeno fino al giorno della resa dei conti elettorale.

Solo che in questo caso c’è solo un piccolo problema per Renzi, analogo a quello che hanno gli altri partiti del succitato campo largo. Se per evitare conflitti tra partiti e leader troppo disomogenei ci si deve appiattire sull’unica opzione di mandare la destra all’opposizione, il partito-guida della coalizione, ossia il Pd di Schlein, risulta piuttosto avvantaggiato, dal momento che i suoi alleati apparirebbero come evanescenti fotocopie dell’originale. In tal senso, l’unica possibilità che ha Renzi per evitare di consegnare il suo residuo spazio elettorale al Pd e/o all’astensionismo è quella di distinguersi, portando avanti la sua linea riformista. Ma qui già iniziano i guai, prima ancora di fare il suo ingresso ufficiale nel centrosinistra, a cominciare dal sinistro asse Elly Schlein-Maurizio Landini per l’abolizione del Jobs act, che ha rappresentato uno dei principali cavalli di battaglia di Renzi quando era al Governo. Francamente l’alchimia tra pseudo riformisti e vetero statalisti col mito del dirigismo economico più che improbabile mi appare impossibile. Staremo a vedere.

Aggiornato il 26 luglio 2024 alle ore 09:55