Lascia l’amaro in bocca che anche in questo caso sia stato il giudice delle leggi, e non il legislatore, a sbloccare una situazione che era evidentemente assurda
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la sospensione temporanea delle autorizzazioni al noleggio con conducente, ritenendola una barriera regolatoria all’ingresso nel servizio del trasporto pubblico non di linea. In questa vicenda, sono sia i dettagli che i principi a far arrivare il messaggio forte e chiaro. Il primo dettaglio riguarda il fatto che le motivazioni vanno ben oltre la norma e censurano la stessa attitudine del Governo nell’utilizzare in maniera impropria il suo potere regolatorio. Ciò che è oggetto sostanziale di critica è il fatto che il Governo abbia utilizzato l’inerzia nel dare attuazione alla legge per una finalità protezionistica dei concorrenti (si legga: dei tassisti). Difatti, nel 2018, il Governo Conte 1 sospendeva la possibilità di rilasciare nuove autorizzazioni al servizio di noleggio con conducente alla operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese. Sono passati più di 5 anni e l’archivio ancora non c’è.
L’inerzia del Governo è stata tale che un primo decreto del Mit, approvato nel 2020, è stato sospeso in attesa dell’approvazione di un ulteriore decreto, che non è stato più emanato. Il secondo dettaglio riguarda le modalità di avvio del giudizio. La Corte con molta parsimonia utilizza la possibilità di sollevare questioni di legittimità di fronte a sé stessa. Questa è una di quelle occasioni: la Corte, ritenendo rilevante la questione, ha agito “d’ufficio” nell’ambito di un ricorso principale dello Stato contro una legge della Regione Calabria. Anche i principi, si diceva, contano. Tra i motivi di illegittimità, qui ci preme sottolinearne due. Il primo riguarda la sproporzione degli effetti rispetto alle intenzioni della sospensione delle autorizzazioni, che non solo ha offerto una posizione di privilegio agli operatori già presenti, ma che, soprattutto, ha causato un danno alle persone, in particolare a quante hanno necessità di utilizzare il trasporto non di linea per motivi di fragilità.
In sostanza, la Corte ha fatto le veci del legislatore nel tenere a mente quello che raccontano sia il suo prioritario e continuo obiettivo: l’interesse generale. L’altro motivo che vale la pena riportare è la violazione della libertà di iniziativa economica, un diritto minore nel nostro sistema costituzionale che solo sporadicamente viene utilizzato come parametro di giudizio. La sentenza è una buona notizia che ne cela una cattiva. La buona notizia sta nel fatto che rende giustizia a un settore che da almeno dieci anni è diventato, forse suo malgrado, la quintessenza delle resistenze corporative e della vittoria degli interessi concentrati su quelli diffusi. Lascia però l’amaro in bocca che, anche in questo caso, sia stato il giudice delle leggi, e non il legislatore, a sbloccare una situazione che era evidentemente assurda. La disciplina del servizio taxi ha sempre avuto una curvatura corporativa. Ma è solo il progresso tecnologico ad averla resa plateale e insopportabile. L’innovazione dovrebbe essere vista come una forza positiva e che espande le opportunità di tutti, non dovrebbe essere una guerra di trincea in cui si combatte a sangue per ogni millimetro di libertà economica.
Aggiornato il 23 luglio 2024 alle ore 12:58