L’occasione (mancata) di Marine

Il risultato del voto del secondo turno consegna la Francia a un quadro politico molto complesso. L’unica certezza è che nessuno dei protagonisti in campo abbia la vittoria in tasca. Non l’ha il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen e Jordan Bardella; non l’ha il Nouveau front populaire (Nfp) delle sinistre unite; non l’ha Ensemble pour la République, il partito-coalizione dei gattopardi guidato dal presidente Emmanuel Macron. Tuttavia, non tutte le sconfitte sono uguali. Alcune sono più cocenti di altre. Se in Italia vi fosse un sistema mediatico serio, in grado di illustrare con oggettività ciò che è accaduto Oltralpe la scorsa domenica, sarebbe più agevole decifrare la situazione anche alla luce dei risvolti che quel voto avrà nella definizione dei nuovi equilibri all’interno dell’Unione europea. Purtroppo in Italia l’obiettività è parola sconosciuta. Ma tant’è. Focalizziamo allora l’attenzione sul principale deluso dal voto del secondo turno: il Rassemblement national di Marine le Pen e Jordan Bardella. Dopo gli esiti del primo turno, che davano la formazione di destra ampiamente in vantaggio sulle altre, era legittimo pensare che il secondo turno avrebbe confermato la tendenza dell’elettorato a compiere il passo definitivo verso lo sdoganamento dell’estrema destra in vista della guida del Governo. Legittimo ma non plausibile dal momento che tutte le forze avversarie, per non togliersi voti a vicenda, hanno deciso di accordarsi sul ricorso alle desistenze nei collegi elettorali dove due candidati – uno del Nouveau front populaire, l’altro di Ensemble pour la République – si fossero trovati a sfidare quello del Rassemblement national.

Il gioco ha funzionato. Da qui la sconfitta di Rn nell’acquisizione dei seggi per la maggioranza all’Assemblea nazionale, ma non la bocciatura nel consenso dei francesi visto che, in numeri assoluti, il Rassemblement national resta il primo partito di Francia con 8.744.080 (32,05 per cento) di voti raccolti al secondo turno, contro i 9.379.092 (29,26 per cento) del primo turno (fonte: Ministero dell’Interno francese). Di là dall’attribuzione dei seggi, una risposta popolare di tali dimensioni non consente di parlare di sconfitta della Le Pen. É però di tutta evidenza che la pur ampia messe di voti ottenuta non sia utilizzabile per imprimere al Paese l’agognata svolta a destra. Cosa fare per il futuro? La coppia Le Pen-Bardella è stata vittima del combinato disposto di due fattori che hanno influito negativamente sul risultato finale del Rassemblement national. Il primo, oggettivo, ha riguardato il meccanismo elettorale del secondo turno. Si tratta di un sistema che il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, definirebbe un “marchingegno” visto che permette ai perdenti del primo turno di ribaltare con accordi spuri l’esito del secondo turno. Gli italiani lo conoscono bene perché si applica alle elezioni dei sindaci. È il sistema elettorale amato dalla sinistra non senza un valido motivo. È grazie al doppio turno se nell’Italia del centrodestra pullulino amministrazioni comunali guidate da personaggi della sinistra. Il ballottaggio è la consacrazione della logica del “voto contro”. Al passaggio del primo turno, nel quale generalmente le forze del campo progressista procedono in ordine sparso, segue la chiamata alle armi per arginare il pericolo della destra, della minaccia fascista, del barbaro alle porte, allo scopo di defraudare la maggioranza degli elettori del diritto alla vittoria.

In Francia il “marchingegno” è servito per anni a tenere lontano la destra dal Governo della nazione. Le Pen e Bardella devono prendere atto dell’handicap contro il quale nessun rimedio istituzionale è possibile. Il secondo fattore, invece, ha carattere squisitamente soggettivo e attiene alla qualità della classe dirigente del Rassemblement national, che evidentemente è deficitaria. Dall’analisi del voto in alcuni distretti in cui il candidato del Rn è stato sconfitto di misura emerge la mancanza di quel “quid” personale del rappresentante lepenista che, se vi fosse stato, avrebbe consentito al candidato stesso di spuntarla sull’avversario. Se Le Pen e Bardella vorranno concedersi una chance per il futuro dovranno porsi il problema non secondario di formare al proprio interno una classe dirigente affidabile, in grado di offrire credibilità agli elettori e non di apparire come una banda di scappati di casa, come in parte è accaduto la scorsa domenica. Tuttavia, il riconoscimento di questo deficit interno al partito da solo non basta a rispondere alla domanda del che fare per riprendere la strada che conduca alla vittoria. Il voto del secondo turno ha mostrato una verità elementare che in Italia Silvio Berlusconi intuì per primo oltre trent’anni orsono. In un meccanismo maggioritario è estremamente improbabile che un partito possa farcela da solo.

La via maestra è quella dell’allargamento dell’offerta politica a partiti affini con i quali creare coalizioni in fase elettorale e, possibilmente, programmare di governare insieme una volta ottenuto il consenso dai cittadini. E la formula del centrodestra all’italiana alla quale ha corrisposto, dal campo avverso, quella del centrosinistra. Non esiste altra possibilità per la destra che cercare un’intesa con le forze conservatrici e riformiste che in Francia sono rappresentate dai neo gollisti dei Les républicains (Lr). Un primo passo in tal senso è già stato compiuto e ha dato frutti in queste elezioni per l’Assemblea nazionale. I neo gollisti si sono spaccati e una parte guidata dal segretario del partito Éric Ciotti ha stretto alleanza con il Rassemblement national. Marine Le Pen deve continuare a lavorare nel solco tracciato per avviare il dialogo con l’altra parte dei neo gollisti che non si è fidata di lei. Ciò postula la possibilità che debba compiere un grandissimo sacrificio personale per il bene superiore della Francia. Quanto allora Marine vuole bene alla Francia e quanto a sé stessa? Soltanto la risposta a tale interrogativo potrà assicurare o meno lo sbocco a soluzioni vincenti per la destra transalpina. Perché un sacrificio? Il dialogo con la destra conservatrice e riformista potrebbe arenarsi proprio sulla figura divisiva di Marine Le Pen.

In quel caso occorrerebbe individuare una figura terza di federatore, gradita al Rassemblement national ma che al tempo stesso rassicuri i cosiddetti moderati. Il che comporterebbe per la Le Pen di doversi sfilare dalla corsa per l’Eliseo. In alternativa, resta in piedi l’opzione della vocazione maggioritaria del partito. In tal caso, il Rassemblement national dovrebbe continuare a procedere in splendida solitudine. E dovrebbe scommettere sull’involuzione del quadro geopolitico globale, sul rischio di crisi delle democrazie occidentali vulnerate dagli effetti negativi della globalizzazione economica, sul ritorno diffuso dei nazionalismi, sul crollo delle follie ideologiche dell’ambientalismo e sulla reazione popolare ai pervertimenti valoriali indotti dal progressismo. Si tratta di una strada lunga e rischiosa, che potrebbe non vedere mai il traguardo ma che consentirebbe comunque al Rassemblement national di mantenere integro il suo profilo identitario. Intanto, il primo atto politico dopo la non vittoria nelle urne è stato di annunciare l’adesione del partito, insieme con la Lega di Matteo Salvini, al neonato gruppo dei “patrioti europei” in seno al Parlamento di Strasburgo.

Con i sovranisti che in Europa si distinguono per una posizione di apertura alle ragioni di Mosca sulla guerra contro l’Ucraina, Marine Le Pen potrebbe ritrovarsi una carta vincente tra le mani se la notte del 5 novembre prossimo negli Stati Uniti vincesse Donald Trump la corsa per la Casa Bianca. A quel punto la Le Pen avrebbe il vento in poppa nella sfida alle prossime presidenziali francesi del 2027, potendo a ragione accreditarsi come l’unica leader nazionale in grado di riconnettere i fili del dialogo non solo con Mosca ma anche con un’amministrazione trumpiana a Washington che non sarà intenzionata a fare particolari favori agli alleati europei, oggi totalmente appiattiti sulle posizioni di Joe Biden e sull’idea di prosecuzione a oltranza del conflitto russo-ucraino. A ben vedere, la partita del potere in Francia è tutt’altro che chiusa e il Rassemblement national è più che mai in gioco. Ma se Marine Le Pen vuole candidarsi a reginetta del ballo al prossimo galà dell’Eliseo dovrà cambiare qualcosa. Non solo l’abito.

Aggiornato il 11 luglio 2024 alle ore 10:12