Da falce e martello a fascio littorio

Sassolini di Lehner

Vorrei conoscere gli autori della direttiva Ue 904 del 2019, che ha imposto dal 2024 i tethered cap per i contenitori in plastica monouso inferiori ai tre litri. Non si tratta di berretti legati, bensì di tappi. Codesti euroscemi non sanno che nessuno costringe alla solitudine il tappo, essendo fondamentale, dopo aver schiacciato il polietilene tereftalato, per la meno ingombrante possibile raccolta differenziata. I lettori più disturbati dal tappo inchiavardato alla bottiglietta di acqua minerale o di altri liquidi diranno: fai questa richiesta perché, dopo averli legati come i tappi, li vuoi sbattere al muro; ebbene, aggiungi altri sacrosanti spintoni, cazzotti e calci a nome nostro. Rispondo di “no”, io non sono violento: non sono di sinistra e nemmeno filopalestinese. E il medico mi raccomanda: più pepe che Salis. Tanto meno mi associo alla ra-Gaza nazicomunista, ben accolta dal Partito democratico, che ha proclamato: “Odio tutti gli ebrei, odio tutti gli israeliani, dal primo all’ultimo, odio tutti quelli che li difendono, tutti tutti, tutti i giornalisti, tutti i politici, tutti i paraculi. Vi odio perché mi avete rovinato la vita, la fiducia, la speranza… Spero di vederli tutti impiccati! Giuro che sarò la prima della fila a sputargli addosso!”. Meritandosi l’anonimato della svergognata, cancello nome e cognome della ra-Gaza sputacchiona.

A parte il delirio, la mia mancata associazione all’assassina seriale a colpi di scatarri scaturisce anche dall’analfabetismo di ritorno evidenziato da “sputargli addosso” in luogo di “sputar loro addosso”. Altri lettori, allora, obietteranno: dovevi aggiungere che non sei neanche fascista, visto che si programmano tante trasmissioni televisive sull’allarme melonian-squadrista. No, non sono nero e pur da coetaneo di Joe Biden, neppure la prima vicepresidente nera degli Stati Uniti. Non ho difficoltà a tirarmi fuori dal manganello fascista ma, diversamente dagli aspiranti storici alla Aldo Cazzullo, non ignoro che il marxista Georges Sorel (confronta Riflessioni sulla violenza), teorico del bastone, del pugnale, del revolver contro il capitalismo e contro i borghesi, ispirò Antonio Gramsci, Benito Mussolini rosso, Giacinto Menotti Serrati e anche anarchici, socialisti massimalisti, anarcosindacalisti e quanti altri bulli, maneschi internazionalisti. La “settimana rossa”, nel giugno del 1914, realizza i cattivi pensieri del cattivo maestro Sorel: i sovversivi sparano, picchiano, sequestrano, vandalizzano, incendiano chiese, distruggono sedi istituzionali, bloccano ferrovie, danneggiano canali di comunicazioni, impediscono la distribuzione dei giornali. Non sono capaci di fare la rivoluzione, ma si dimostrano provetti nello sfascio.

L’anarchico Errico Malatesta scrive (vedi Volontà, 12 giugno 1914): “La Romagna è in fiamme… da Terni ad Ancona il popolo è padrone della situazione… A Roma il Quirinale è sfuggito, per ora, all’invasione della massa insorta, ma è sempre minacciato. A Parma, a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli agitazioni e conflitti”. Le violenze del 1914 si ripetono per anni, sino alla follia di esercitarle contro i reduci della Grande guerra, gli unici veri e disgraziati proletari, in gran parte contadini morti di fame, chiamati a combattere per una Patria ingenerosa. Nel cosiddetto Biennio rosso (1919-1920) ci furono tumulti, saccheggi, spese proletarie, occupazione di terreni, aziende distrutte, scioperi, ferimenti, omicidi, attentati, bastonature di “padroni” e di “crumiri. Tutto culminato, nel settembre del 1920, in nome dell’autogestione, con l’occupazione delle grandi fabbriche del Nord. L’autogestione, più che una utopia, è una corbelleria comiziesca. E, infatti, finisce nel nulla come tutte le fregnacce.

Vogliono fare come in Russia, inneggiano al bolscevismo e a Lenin, cioè al terrore e ai lavori forzati come forma progressista di Governo. Intanto, resi psicotici dall’ideologia, sfasciano l’Italia e preparano la loro disfatta sociale, morale e politica. Nel 1921, voluto e finanziato dal Cremlino, nasce il Partito comunista d’Italia, che teorizza ogni sorta di violenza per l’avvento della dittatura. Lenin, capo di un partitino, tipo Brigate rosse, non sopporta i grandi partiti socialisti di massa come Spd, Psf, Psi, dove si annidano i riformisti. Perciò fomenta le scissioni (vedi Giancarlo Lehner con Francesco Bigazzi, Lenin, Stalin, Togliatti. La dissoluzione del socialismo italiano, Milano, Mondadori 2014). Nel programma del Pcd’I sta scritto: “Il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell’apparato statale borghese e con la instaurazione dello Stato basato sulla sola classe produttiva ed escludendo da ogni diritto politico la classe borghese”. Oggi, Elly Schlein direbbe: non furono per nulla inclusivi. Non è un caso che il fascismo veda la luce nel 1919 - in pieno violentissimo, caotico, sfascista Biennio rosso – come reazione, in primo luogo, agli sputi, agli insulti e alle aggressioni contro i fanti contadini. Appena usciti dalla trincea, trovano non i ringraziamenti, ma il pugno chiuso e le botte degli squadristi rossi: pacifisti col manganello.

Il fascismo, invero, scaturisce dal socialismo più intransigente, dalla sinistra anarcoide, dall’antigiolittismo, dall’illiberalità, dall’antiparlamentarismo, dal grillismo di allora. E dalla ottusità di quanti, sognando la marcia verso Mosca, finirono per preparare il terreno alla marcia su Roma. I “fratelli in camicia nera”, poco originali, si limiteranno a cassare la “s” allo sfascismo rosso e ad aggiungere al manganello, già social-comunista, damigiane di olio di ricino. Col senno di poi, lo stesso Gramsci e, in ispecie, Angelo Tasca ammisero che l’avvento del fascismo fu il frutto conseguente degli errori e degli orrori del movimento operaio e dei rivoluzionari parolai. Insomma, da cosa nasce cosa: da falce e martello scaturisce il fascio littorio, così come dagli eurobischeri proviene il berretto, pardon, il tappo congiunto.

Aggiornato il 09 luglio 2024 alle ore 10:23