Il popolo europeo non vota per l’Europa ma per i partiti statali che lo rappresenteranno in un Parlamento-puzzle di nazioni alquanto confederate e poco federate. Le elezioni del 9 giugno 2024, che avrebbero dovuto sospingere l’Europa verso l’Unione, l’hanno mantenuta in bilico tra integrazione e sfaldamento. La vittoria indiscutibile delle correnti elettorali di destra, per quanto possa far gioire i simpatizzanti, contiene l’incognita circa il destino istituzionale dell’Ue. Prima di vincere, l’imperativo delle Destre era soltanto vincere, sovvertire la deriva d’impronta “non-destra”. Adesso che le Destre hanno vinto dovranno porsi, e subito, l’interrogativo fatidico: “Che fare?”.
La situazione politica venutasi a creare è confusa anziché chiara. Alzi la mano chi ha davvero capito nel marasma elettorale come le Destre spenderanno il capitale elettorale affidato ad esse da cittadini stufi bensì dell’eccessivo interventismo comunitario, ma pure incerti sulla direzione da prendere. Riformare l’Ue è imperativo. Ma come? Il come è incerto più di prima, molto più di prima. Le elezioni non hanno fatto chiarezza, né potevano nel fervore della campagna elettorale, dove lo slogan e la propaganda affermano i loro diritti. Adesso bisogna passare dagli spot pubblicitari ai dossier pensati col cervello e scritti con la penna del realismo. Le opzioni sono molteplici, buone e cattive. Ma le peggiori si conoscono a prescindere: sono tutte quelle che tendono ad un gradualismo minuzioso ed esasperante, come se l’Europa, e non intendo soltanto l’Ue, ma lo stesso Continente fisico, geopolitico, storico, culla del mondo libero e della civiltà occidentale; come se la libertà e la democrazia, nostre creature, potessero ancora aspettare e sopravvivere senza una protezione coerente. Non è più il tempo delle concertazioni esasperanti, dei ciechi egoismi di bottega, dei pacifismi autolesionistici, dei possibilismi e dei collateralismi. L’epoca d’oro comoda e lucrosa dell’ambiguità strategica, politica e militare, è scaduta per sempre nella notte del 9 giugno 2024.
Un popolo sovrano è stato aggredito ma non soggiogato da un despota asiatico per mero uzzolo di potenza. Il sanguinario autocrate di Mosca viene trattato con ripugnante riguardo da troppi popoli, elettori ed eletti, che ne ammirano la forza bruta come fosse una virtù politica. Le istituzioni europee dovrebbero, soprattutto per ciò, essere forgiate per difendere il suolo europeo dal comprovato espansionismo aggressivo di una Russia frustrata da un capo che, possedendo tutto, sfoga la sua voglia di potere imperiale uccidendo e devastando.
Il nuovo panorama europeo non alimenta la fiducia. Tuttavia dobbiamo nutrirla. Un nuovo assetto dell’Ue è indispensabile. Di più, è vitale. O agiremo noi politicamente con una impennata di innovazioni istituzionali al servizio immediato dell’indipendenza e della sicurezza, presto e bene, oppure l’Europa sarà mangiata foglia a foglia, come un carciofo, dai suoi nemici, annidati ahimè anche nel suo seno, pronti ad alzare la testa quando loro converrà, in ogni senso. Oggi è l’ora del buonumore dei vincitori e del malumore dei perdenti. Per gli uni e gli altri l’ora durerà un’ora, mentre i loro nuovi compiti richiedono da subito il diuturno lavoro di mesi e la determinazione di un’impresa storica, quale sarà, se sarà, l’Europa finalmente consonante e federata.
Aggiornato il 14 giugno 2024 alle ore 12:59