Ora e sempre Resistenza, al politicamente corretto

Accade che negli ultimi giorni di campagna elettorale per le Europee, nel mentre le forze al servizio del politicamente corretto serrino i ranghi per lanciare l’ultimo mortifero assalto alle nostre libertà, quattro valorosi resistenti civili si distinguano per aver condotto efficaci azioni di contrasto al nemico. Li vogliamo qui ricordare e a loro, al coraggio mostrato, vogliamo idealmente assegnare le nostre personalissime medaglie d’oro al valore per le imprese resistenziali compiute in danno del politicamente corretto. Li citiamo, con motivazione, in ordine cronologico rispetto alle azioni compiute in battaglia.

1) Vannacci Roberto. Roma, 30 maggio 2024. Candidato alle Europee nelle liste della Lega, Vannacci faceva circolare sui social un video nel quale invitava i sostenitori a votarlo apponendo una “decima” – simile a una X – sul simbolo leghista presente sulla scheda elettorale. La “decima” è un chiaro riferimento alla gloriosa tradizione della X Flottiglia Mas, distintasi per eccezionali atti di eroismo nel corso della Seconda guerra mondiale. Immediatamente partiva il fuoco di sbarramento degli utili idioti del politicamente corretto che gridavano all’atto sovversivo perché, nella loro incommensurabile ignoranza, confondevano la storia dell’unità d’assalto della Regia marina con la frazione minoritaria dei suoi componenti i quali, guidati dal principe Junio Valerio Borghese, dopo l’8 settembre del 1943 (l’armistizio) scelsero di restare al fianco dei tedeschi e di continuare a combattere gli anglo-americani aderendo alla Repubblica di Salò. La Decima Mas a cui si riferiva Vannacci era quella di impareggiabili eroi italiani quale fu il marchese Luigi Durand de la Penne – per citarne uno – medaglia d’oro al valor militare conferitagli il 31 agosto del 1944 e, finita la guerra, apprezzato parlamentare eletto nella II legislatura repubblicana nelle fila della Democrazia Cristiana e riconfermato deputato nelle legislature III, IV, V e VI, ininterrottamente dal 1958 al 1976, però nelle fila del Partito liberale italiano. Dal 30 giugno 1972 al 7 luglio 1973 fu sottosegretario di Stato alla Marina mercantile nel II Governo Andreotti. Altro non diciamo sui meriti della Decima perché lo ha fatto Ferdinando Fedi in un articolo pubblicato su L’Opinione. Avere Vannacci sfidato apertamente l’insipienza ignorante di quelli del politicamente corretto, attribuendo simbolicamente alla X da apporre sulla scheda la dignità e il valore che fu della Decima Mas, è stato un atto di coraggio e insieme uno scatto d’orgoglio per un segmento di storia militare italiana, colpevolmente negletto. A Roberto Vannacci la patria dei liberi e democratici è grata.

2) Toti Giovanni. Genova, 1 giugno 2024. Posto agli arresti domiciliari sulla scorta di accuse fumose scaturite da un’indagine giudiziaria alquanto dubbia, Toti, nonostante venisse attaccato ripetutamente dalle opposizioni giustizialiste che ne chiedevano le dimissioni dalla carica di presidente della Regione Liguria, inviava una lettera a tutti i consiglieri della sua maggioranza invitandoli a rimanere compatti nel respingere la mozione di sfiducia presentata a suo carico dalle minoranze in Consiglio regionale. Fulgido esempio di audacia volta a spezzare quel perverso meccanismo che nei decenni passati ha consentito alla sinistra di ribaltare, per via giudiziaria, la volontà degli elettori. Toti resta al suo posto e si prepara a resistere in nome di un principio cardine dello Stato di diritto che dal linguaggio del politicamente corretto è evocato solo per negarlo nella sostanza: la presunzione d’innocenza. Il metodo subdolo e ipocrita con il quale i giustizialisti hanno intrappolato i garantisti negli anni della Seconda Repubblica si è basato su una perversione sofistica: “Si è innocenti fino a sentenza contraria passata in giudicato ma l’opportunità politica vuole che comunque ci si faccia da parte al comparire di un avviso di garanzia”. Un meccanismo politico-mediatico fraudolento per consegnare nelle mani della magistratura il potere supremo di decidere le sorti dei governi e delle amministrazioni locali della Repubblica. A Toti, per la scelta di resistere e di non darla vinta ai manipolatori della volontà popolare, la patria dei liberi e democratici è grata.

3) Borghi Claudio. Milano, 2 giugno 2024. Senatore della Repubblica, iscritto alla Lega, Borghi, nel giorno della celebrazione della Repubblica, in risposta a un’improvvida affermazione del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, pubblicava sul social X (ex Twitter) il seguente post: “È il 2 giugno, è la Festa della Repubblica Italiana. Oggi si consacra la sovranità della nostra nazione. Se il presidente pensa davvero che la sovranità sia dell’Unione europea invece che dell’Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi, perché la sua funzione non avrebbe più senso”. Mattarella ha effettivamente detto qualcosa che, se pronunciato da un personaggio di destra, sarebbe stato ritenuto eversivo. La Costituzione, di cui egli è garante, non prevede che la sovranità – che appartiene al popolo – possa essere interamente devoluta a entità sovraordinata allo Stato nazionale. E l’errata citazione fatta dai difensori d’ufficio del “Presidente”, specialisti in arrampicate sugli specchi, dell’articolo 11, II cpv della Carta – (L’Italia) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni – non suffraga alcuna possibilità di cessione totale di sovranità. E poi, a chi cederla? All’Unione europea? E cos’è oggi? Un’idea? Un sistema retto da un potere burocratico? Una finzione giuridica? Perché non chiederlo anche ai francesi, ai tedeschi, agli olandesi? Quanti di loro convintamente direbbero: niente più Stati nazionali ma solo Europa sopra tutti? I tedeschi la dimensione geopolitica dell’über alles la hanno fissata nel testo dell’inno nazionale parlando di Germania, non di Europa. Deutschland über alles. Il ragionamento logico-deduttivo di Borghi non fa una piega: se Mattarella nega ciò che è scritto in Costituzione in merito alla sovranità assegnata al popolo, non ha alcun senso che continui a esserne garante. Il fuoco di sbarramento del politicamente corretto non si è fatto attendere. Gli insulti all’indirizzo di Borghi e gli alti lai per la violazione di un tabù altrimenti inviolabile (l’infallibilità divina di Sergio Mattarella) si sono sprecati. Ciononostante, il senatore leghista non si è lasciato intimidire e ha ribadito il concetto espresso. Per questi motivi, la patria dei liberi e democratici gli è grata. Nell’occasione assegniamo una menzione speciale a Matteo Salvini che, ripetutamente richiesto di smentire il senatore del suo partito e di fare atto di contrizione per l’offesa recata alla maestà del Presidente della Repubblica, si è limitato a dichiarare, in relazione all’accaduto, che “Oggi è la festa degli italiani, della Repubblica, quindi non è la festa della sovranità europea”. Sia lode a lui.

4) Meloni Giorgia. Roma, 3 giugno 2024. Intervistata da Nicola Porro nel corso del programma “Quarta Repubblica in onda su Rete 4, Meloni, a proposito del “Manifesto di Ventotene”, bibbia del federalismo europeo dei progressisti, ammetteva di aver letto il documento scritto da Altiero Spinelli e da Ernesto Rossi nel 1941, durante la detenzione nel penitenziario di Santo Stefano a Ventotene, ma di non condividere per nulla il contenuto. Alleluia! Finalmente qualcuno che si è degnato di leggerlo e di non essersi limitato a perpetuarne la fama. L’Unione europea che emerge dall’idea spinelliana è ciò che di più distante possa esservi da coloro che si professano minimamente liberali. L’Europa sognata da Spinelli e Rossi è dirigista in economia e “bolscevica” nell’approccio al diritto alla proprietà privata e alla successione ereditaria; punta sulla nazionalizzazione di tutte le aziende strategiche e pone forti limiti all’iniziativa privata. Riguardo alla prima fase di creazione del nucleo portante del progetto federalista europeo, condotta dalle avanguardie politiche e intellettuali delle forze progressiste, trionfanti su quelle conservatrici e reazionarie, vi si legge: “Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia”. Meloni, con una quasi fanciullesca nitidezza, che sta a metà tra il bambino della favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” di Hans Christian Andersen e il Fantozzi della Corazzata Potëmkin, ha smontato di sana pianta la narrazione del politicamente corretto dettata dalla crassa ignoranza dei suoi adepti, ma non solo. Duole che, accanto ai devoti del progressismo, vi siano esponenti del centrodestra i quali, pur non avendo letto una riga del Manifesto, non fanno che ripetere, come pappagallini plagiati da un mal curata Sindrome di Stoccolma, ciò che la vecchia e la nuova sinistra dicono di fantastico e mirabolante del proclama di Ventotene. Al contrario, se l’Unione europea fosse sorta sui presupposti ideati nella perla delle Pontine, oggi gli spiriti liberi vivrebbero in una prigione a cielo aperto, non migliore di quella che è stata l’Unione sovietica. A Giorgia Meloni, ancorché un po’ fantozziana nel demolire un totem del politicamente corretto, la patria dei liberi e democratici è grata.

Quattro personaggi, quattro momenti di lotta a viso aperto all’autoritarismo totalizzante del politicamente corretto, quattro storie di verità per una sola entusiasmante conclusione: la libertà di espressione, di dissenso, il pensiero critico, sono beni preziosi per la cui difesa valga la pena combattere. Loro quattro ci hanno dato un segno, a noi coglierne il significato profondo.

Aggiornato il 05 giugno 2024 alle ore 10:39