Festa dell’ultima Repubblica sovietica

Sassolini di Lehner

Sarà pure una Costituzione “saggia e lungimirante”, come dice Sergio Mattarella, ma le fonti non sono sempre irreprensibili.

Il secondo comma dell’articolo 3 detta: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Ebbene, questo comma sul proletariato al potere ebbe come autore il socialcomunista Lelio Basso, che impose ai colleghi della Costituente quanto gli era stato dettato, parola per parola, da Stalin. Basso, associato non esterno, bensì interno al Cremlino, ebbe in cambio un raro privilegio.

Il Pcus, di norma, finanziava i partiti, comunisti soprattutto, ma non solo, quasi mai le singole persone.

Al Psi i dollari arrivarono sino al 1956 (in tutto circa 2 milioni di dollari), mentre al Psiup, nato per ordine di Mosca – soltanto Michail Andreevič Suslov si dichiarò contrario all’ennesima scissione socialista – i finanziamenti giunsero per 8 anni: 240mila dollari per la nascita, un milione netto nel 1965, 970mila nel 1966; quindi 700mila annui sino alla consunzione del partito nel 1972.

Un’eccezione fu fatta, in precedenza, proprio per il diligente scolaro di Stalin, Lelio Basso, destinatario per anni di un contributo in dollari, circa 500mila in tutto, ad personam.

Per spiegare la persistenza in Italia degli immondi rimasugli del comunismo, magari camuffati sotto altri “ismi”, basta il fatto che il Pcus investì da noi molto più che in altri Paesi. Solo rispetto al Pcf, il Pci si beccò più del quadruplo.

Enrico Berlinguer, quello della questione morale, riuscì a nauseare pure Breznev, chiedendo altri dollari nel 1974, dopo averne già, quell’anno, ricevuti 4 milioni.

Cento milioni di dollari – la cifra è per difetto – al Pci, al Psiup, al Psi (fino al 1956), agli amici cattocomunisti, a giornalisti delle grandi testate, artisti, scrittori e altri collaborazionisti hanno fruttato un radicamento forte e imperituro del leninismo nel nostro Paese.

Fors’anche senza bustarelle, la “fede” spinse giornalisti di importanti testate (Il Corriere della Sera e la Repubblica in primis) a portare acqua al mulino di Mosca.

Certe articolesse scandalistiche sui vari presunti e fasulli colpi di Stato di destra furono finanziate ed orchestrate dalla Lubjanka, vedi la insistente campagna dell’”Espresso” di Eugenio Scalfari sul “Piano Solo” e il generale Giovanni de Lorenzo.

La bufala fece gran male all’Italia, sempre più anello debole dell’Occidente e della Nato, e benissimo all’Urss. De Lorenzo, alla fine, fu assolto, ma Scalfari e gli altri disinformatori la passarono liscia.

Sull’argomento tabù – Kgb /toghe rosse – le risultanze oggettive raccontano di una parte faziosissima della magistratura, non solo schierata contro l’Occidente, il capitalismo, i governi italiani democraticamente eletti, i partiti non marx-leninisti, i “colletti bianchi”; non solo ammiccante agli eversori rossi extraparlamentari e, talora, alle frange più violente ed assassine, ma perfettamente sovietizzata culturalmente. Nella testa delle toghe rosse ondeggiò non il Diritto, considerato mostruosità borghese per consolidare le ingiustizie sociali, bensì le asimmetrie paragiuridiche bolsceviche, secondo le quali un “kulak”, cioè un possidente, di per sé è colpevole a priori, mentre il proletario, quand’anche autore di gravi delitti, non va arrestato, bensì rieducato e presto riabilitato.

La rimessa in libertà, tuttora, quasi sempre immediata di ladri, borseggiatori, scippatori, microcriminali, stupratori, violenti; oppure, la libertà di occupare appartamenti e addirittura interi caseggiati, trasformati in centri di spaccio e di ricettazione, ebbene codeste zone franche della legge rimandano, ad esempio, al pensiero demenziale del bolscevico Pēteris Stučka, follia penetrata nelle nostre leggi oltre che nelle capocce di certe toghe.

E che dire dei trascorsi accesi dibattiti tra toghe militanti sul dilemma se perseguire o no i reati commessi dai “compagni”?

L’adesione alla causa rivoluzionaria non salvò alcuni giudici di sinistra dalla ferocia degli assassini rossi, dai criminali di “Prima Linea” o dai carnefici delle Brigate rosse, vigendo a sinistra la regola di Andrej Vyšinskij: io sono uno più puro di te, ergo ti epuro e magari ti ammazzo.

Per questo Indro Montanelli adorava Stalin, avendo Baffone, stante la norma suddetta, ammazzato più comunisti di tutti gli avversari del realsocialismo.

A riprova della presenza addirittura domiciliare e condominiale del Kgb nella Penisola v’è la battuta del compagno Lucio Albertini, uno restio a condannare l’invasione della Cecoslovacchia, che, a Torino, agosto 1968, alla fine di un’animata assemblea si lasciò sfuggire: “Compagni, prima di lasciare la federazione, ricordatevi di spegnere la luce, perché la bolletta la paga Mosca!”.

Ecco perché i “Donat” sparsi nella Penisola hanno fatto brillanti carriere e ancora pontificano senza vergogna a mezzo stampa e tv. Osano addirittura definire “volgarità” chiedere una dichiarazione di anticomunismo.

Egregio Donat, sei mai stato anticomunista in quel di Praga, essendo sodale degli spioni dell’Stb?

O è volgare domandartelo?

Per tutti i “Donat”, nostalgici di certe fonti staliniane, la Costituzione è certamente la più bella del mondo.

Non per me, però.

Preferirei una Costituzione fondata sulla religione della libertà.

Aggiornato il 05 giugno 2024 alle ore 10:35