Una riforma sacrosanta

Gettando grande scompiglio nel sindacato dei magistrati italiani, il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al Disegno di legge costituzionale che vede in primo piano la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. È inoltre previsto lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura, che in tutti i due rami sarà, comunque, presieduto dal capo dello Stato. In più, cosa che è destinata a far lievitare ulteriori polemiche, è prevista l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare che avrà il compito di esaminare gli eventuali illeciti dei magistrati, sottraendo tale funzione allo stesso Csm.

Come si vede si tratta di una svolta epocale, nel caso si riesca a portarla a termine nei termini disegnati dal Guardasigilli, l’ex magistrato Carlo Nordio. E, sebbene nessuna persona ragionevole pensa che esista un sistema perfetto per impedire di raggiungere l’utopia di una giustizia perfetta, cionondimeno il principio della separazione delle carriere dovrebbe migliorare un sistema che sembra fare acqua da tutte le parti, spesso contraddistinto da casi giudiziari piuttosto dubbi, influenzati da una parte dell’informazione, colpevolista con gli avversari e garantista con gli amici, in cui alcune discutibili tesi della pubblica accusa vengono riprese in una sorta di copia-incolla nei vari gradi di giudizio.

Sotto questo profilo mi ha colpito il caso di Marco Sorbara, intervistato da Nicola Porro durante l’ultima puntata di Quarta Repubblica (in onda su Rete 4). Sorbara, ex consigliere regionale della Valle d’Aosta, ha vissuto un lungo incubo giudiziario, per essere poi definitivamente assolto dalla Suprema Corte di Cassazione. Condannato in primo grado a dieci anni con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa – la cui sentenza, a suo dire, riportava praticamente in copia le accuse e le considerazioni dell’accusa – fu poi assolto in Appello dopo quasi 3 anni e, infine, la Cassazione pose la parola fine rigettando in toto il ricorso presentato dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Torino, decretando “che il fatto non sussiste”. Tuttavia l’esistenza del malcapitato consigliere è stata stravolta, subendo 909 giorni di custodia cautelare, di cui 8 mesi in carcere. Non proprio una passeggiata di salute, quindi.

Ma al di là della sfera politica, nel mondo dei comuni cittadini non sembra più tanto sicuro il famoso motto dei nostri genitori, secondo i quali per non avere paura è importante non fare del male. L’Italia si trova in testa ai casi di malagiustizia. Secondo le statistiche più accreditate, negli ultimi trent’anni ci sono stati oltre 30mila casi di ingiusta detenzione e, secondo il deputato forzista Pietro Pittalis, ogni anno lo Stato italiano spende oltre 2,5 milioni di euro per risarcire le vittime degli errori giudiziari. Per non parlare dell’infinita sequela di casi finiti sotto i riflettori dei media, che si concludono in gran parte con una condanna esemplare, quasi sempre fondata su poche prove e molti, moltissimi ragionevoli dubbi. Sotto questo profilo, il processo e condanna di Rosa Bazzi e Olindo Romano rappresenta un esempio di scuola. Pertanto, il principio di fondo di distinguere nettamente i ruoli dei magistrati rappresenta un primo, importante passo per migliorare uno dei principali cardini dell’assetto costituzionale e democratico del Paese.

Aggiornato il 31 maggio 2024 alle ore 10:08