Al Sud c’è una cittadina che si chiama Caivano. È in provincia di Napoli e per decenni è stata metafora del degrado sociale che genera il Male. Orribili crimini sono stati compiuti in quel fazzoletto di Campania felix. La camorra, in assenza dello Stato, vi ha allocato uno dei più trafficati hub del Mezzogiorno per lo spaccio di stupefacenti. Cultura della violenza e rifiuto delle regole sono state la cifra distintiva del territorio. Suolo abbandonato all’incuria e sottosuolo affollato dai rifiuti tossici illecitamente sversati per sostenere un florido ramo d’attività della camorra spa.

Caivano, sinonimo di smarrimento della speranza, di sconfitta dello Stato, di promesse tradite. A fare da contraltare la voce di un solo uomo, un uomo solo – si perdoni il chiasmo che sembra rubato alla pubblicità del pennello Cinghiale – un parroco di periferia. Non di una singola realtà periferica tracciabile sulle mappe sfocate dell’inurbamento caotico partorito dalle fervide menti dei politici e dei tecnici dell’Italia degli anni Ottanta, ma paradigma di tutte le periferie dell’anima: don Maurizio Patriciello. Tipo bizzarro, ma coraggioso. Vox clamantis in deserto. Almeno fino a nove mesi fa, quando il suo grido di rabbia e di dolore è stato raccolto nientemeno che dal capo del Governo in persona. Giorgia Meloni, negli insoliti panni di astuta giocatrice di poker – lei che ama il Burraco – non ha resistito alla tentazione di andare a vedere se quello di don Patriciello fosse un bluff. Non lo era. Drammaticamente non lo era. Tutto vero, tutto provato e certificato il suo racconto di violenza, degrado, abbandono. Che fare della richiesta di aiuto lanciata dal parroco? Che fare di Caivano? Se fossimo stati al suo posto – di Giorgia – a Palazzo Chigi, non avremmo avuto dubbi o tentennamenti. L’area denominata Parco Verde del Comune di Caivano, come Cartagine, delenda est. Andava rasa al suolo e le famiglie, stipate in quel buco d’inferno, restituite alla vita e alla civiltà di altri insediamenti urbani. La Meloni, invece no. La sua scommessa è stata di dare ascolto a don Patriciello e provarci.

La prima promessa: bonifica e ristrutturazione radicale dei 50mila metri quadri di terreni in parte incolti e in altra parte centro sportivo. Il Delphinia, da decenni abbandonato al degrado totale e divenuto, per forza di cose, comoda sede di tutte le attività criminali che la fantasia dei delinquenti più depravati potesse immaginare, compreso lo stupro continuato di due ragazzine ancora in tenera età. Nove mesi per riuscire nell’impresa, quanto una gestazione. E nove mesi sono stati. Un piccolo miracolo della buona politica. Ieri l’inaugurazione del nuovo centro polisportivo intitolato alla memoria di Rosario Livatino, il giudice ragazzino trucidato nel 1990 dalla Stidda, la mafia agrigentina, che d’ora in avanti sarà affidato alle Fiamme Oro della Polizia di Stato. Meraviglioso. Già, perché non basta togliere i minori dalla strada per farne dei potenziali buoni cittadini. Occorre insegnare loro quei valori che le famiglie, certe famiglie, non sanno o non vogliono dare. Lo sport può davvero fare miracoli. Non è solo esercizio fisico e affinamento dell’istinto alla competizione. Nello sport si trova molto altro. Ci sono quelli che la gente comune conosce come valori alti. E nobili. Lealtà, disciplina, senso della dedizione a un’impresa, costanza nell’impegno, metodo di apprendimento. Ma sopra ogni cosa: la metabolizzazione di un principio esistenziale formidabile per essere nella vita persone di serie A: ogni successo è il frutto di un lavoro eseguito con abnegazione e correttezza, senza imboccare alcuna scorciatoia fraudolenta. I bambini che da domani prenderanno a frequentare la piscina dell’ex centro Delphinia capiranno da subìto che per diventare un giorno primatisti dei 100 stile libero dovranno frequentare quotidianamente gli allenamenti e darsi con tutte le proprie forze e la propria volontà a lavorare a un obiettivo che potrà arrivare tra anni o potrebbe non arrivare mai. Un metodo sportivo declinabile in prassi di vita quotidiana, vissuta con onore e dignità. Se vi chiedete come sia possibile che un universo deviato, qual è Caivano, possa ricominciare da una piscina per ritrovare il senso dell’esistere, dovreste aver visto da vicino i volti ulcerati dei lebbrosi del nostro tempo storico, i loro corpi piagati dall’infezione contratta a costante contatto con il polimorfismo del male organizzato. Giusto che il presidente Meloni sia andata a tagliare il nastro del primo traguardo. Se lo Stato decide di esserci perché non mostrarsi al momento debito? Ma non basta.

Ora bisogna fare in modo di riportare i minori a scuola. I numeri della dispersione scolastica a Caivano, sebbene in linea con quelli della media regionale, sono preoccupanti perché focalizzati in alcune specifiche aree del territorio comunale. La Legge 13 novembre 2023, numero 159 che converte il cosiddetto Decreto legge “Caivano” sul contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale, è uno strumento che aiuta le istituzioni nel loro compito di favorire i percorsi educativi. Ma occorre che a Caivano cambino le teste di quelle persone – la mala gente – che finora della vita degradata hanno fatto un alibi esistenziale. Bene, benissimo, l’introduzione di sanzioni severe per arginare il fenomeno diffuso dell’inadempimento dell’obbligo di istruzione. Sarà più che salutare che qualche padre o madre degenere sbatta il grugno contro le sanzioni che, grazie al “Decreto Caivano”, possono arrivare fino a due anni di reclusione. Quando cominceranno a scattare le manette ai polsi dei genitori “lazzaroni” che hanno prefigurato un futuro di delinquenza e di violenza per i propri figli, finalmente si capirà che lo Stato c’è e fa sul serio, senza cedere a perniciosi buonismi. Possibile allora che Caivano divenga un modello di riscatto delle periferie dimenticate dalla civiltà? Presto per dirlo. Al momento, siamo alla realizzazione dell’involucro che dovrà ospitare il vero progetto. Ma ciò che fornirà sostanza a quel contenitore non è cosa che si compra al mercato o si elargisce per decreto. Attiene alla natura individuale e alla volontà di ciascuno di mettersi in gioco per migliorarsi e per cambiare il proprio destino.

Se non fosse imprudente parlare di canne a proposito della vicenda di Caivano, citeremmo volentieri il proverbio cinese per il quale: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”. È quello di cui avrebbero bisogno i “dannati” del Parco Verde di Caivano. Ma siamo sicuri che è davvero ciò che desiderano? Molto più comodo finora è stato ricevere la beneficenza di Stato e trasformarla in sostegno integrativo al reddito generalmente conseguito in modo illegale. Reddito di cittadinanza docet. Se la Meloni dovesse limitarsi a fornire canne e pescatori per insegnare a pescare non è detto che alla gente del luogo potrebbe piacere. Meglio, in fondo, quel pescivendolo di Vincenzo De Lucal’emulo di Maurizio Crozza quando Crozza imita il governatore della Campania – che ne sa più di chiunque altro nel distribuire certi aiuti graditi alla popolazione che vive borderline. E che a sguazzare nelle acque grigie ci sta da Dio. Caivano, quella Caivano raccontata e difesa allo stremo da don Patriciello più che una scommessa resta un mistero.

Per questo la Meloni non si aspetti gratitudine convertibile in consenso elettorale. Talvolta riportare ordine, diritti di cittadinanza e vivibilità in zone di malaffare endemico può non essere un’impresa accettata. Purtuttavia, bisogna aver fede nella consapevolezza che le vie del Signore sono spesso misteriose. Se fosse stato per noi, ribadiamo, quella Caivano lì, don Patriciello o non don Patriciello, l’avremmo rasa al suolo. Ma, com’è noto, siamo miscredenti in laica attesa di assistere a un’epifania fuori stagione. Di certo non saremo noi a negare al Governo Meloni il diritto di provare a compiere il miracolo del riscatto sociale e morale di un’intera comunità. Altri in passato lo hanno fatto e per questo si sono guadagnati la santità. Santa Giorgia in Caivano? Perché no.

Aggiornato il 30 maggio 2024 alle ore 09:37