Sul caso di Giovanni Toti prendo spunto dall’ottimo commento pubblicato su queste pagine da Aldo Rocco Vitale. In particolare, il confronto tra il Toti giustamente garantista di sempre e il Toti, a mio avviso per ragioni di consenso, giustizialista sanitario durante la pandemia mi sembra molto azzeccato. Sta di fatto che già le modalità dell’arresto, attraverso un blitz della polizia alle 3 di notte, mi sono sembrate abbastanza scandalose dato che, dopo una indagine che dura da alcuni anni, riscontrare il pericolo di una fuga, di inquinamento delle prove o di reiterazione del presunto crimine diventa più che un atto di fede. Tant’è che l’amico Nicola Porro, citando un articolo di Mattia Feltri, si chiede: “Perché i poliziotti vanno alle 3 della mattina per eseguire un arresto, richiesto 4 mesi prima, per fatti risalenti a 4 anni fa? Quale è il motivo? Chi pensavano di catturare, Totò Rina?”.
Tutto questo ci riporta indietro ai tempi della giustizia-spettacolo passata alla storia con il termine giornalistico di Mani pulite, a sua volta legato al fenomeno di Tangentopoli. Pochi, probabilmente, ricorderanno che la maggior parte di quelle inchieste, le quali rasero al suolo una intera classe politica: si conclusero con un nulla di fatto e il proscioglimento di molti inquisiti dell’epoca. E oggi, come allora, riemerge con grande evidenza il garantismo peloso di una certa sinistra, attualmente rinforzata sul fronte forcaiolo dal Movimento cinque stelle guidato da un sedicente avvocato del popolo. Quello stesso Giuseppe Conte, sempre per tenere alta la memoria, che ci tolse alcune fondamentali libertà a colpi di Dpcm, i quali sono semplici atti amministrativi.
Ebbene, per costoro il garantismo si ferma laddove arrivi anche un semplice avviso di garanzia. In questo caso, ci tiene a sottolineare il fronte giustizialista anche dopo l’arresto di Toti, sarebbe corretto dimettersi sempre e in ogni caso. Oltre a Conte, questa tesi è stata più volte sostenuta dalla sua alleata serpente della segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. Si tratta ovviamente di una posizione politicamente strumentale ma che, come per l’appunto è accaduto drammaticamente nella prima metà degli anni Novanta, tende a far assumere alla magistratura, con particolare riferimento alle procure, un preoccupante ruolo di arbitro nel confronto democratico tra i partiti, innescando una deriva giudiziaria piuttosto pericolosa.
Tutto questo non dovrebbe mai accadere nell’ambito di una democrazia liberale. In questo senso, occorre sempre ricordare: il garantismo vale per tutti e non dovrebbe mai essere un principio negoziabile.
Aggiornato il 10 maggio 2024 alle ore 12:22