Molti commentatori sostengono da tempo che i leader di partito che si mettono in lista alle elezioni europee, ben sapendo che una volta eletti lasceranno lo scranno a un collega di partito, commetterebbero una grave scorrettezza nei riguardi dei propri elettori. Chi dice questo, al netto del tasso di strumentalità che gli impone la sua appartenenza a una determinata cultura politica, manifesta una idea della politica piuttosto paradigmatica, in cui un assoluto principio etico dovrebbe ispirare l’azione dei singoli partiti e dei suoi massimi dirigenti.
In realtà, come disse Rino Formica, esponente di spicco del Partito socialista durante la Prima Repubblica, “la politica è sangue e merda”. Ciò per significare che quando si ha a che fare con le logiche del consenso democratico tra il necessario pragmatismo imposto dalla realtà delle cose umane e gli alti e nobili ideali, la differenza è spesso abissale. Nel caso delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, che da sempre in Italia rappresentano un importante test elettorale, paragonabile alle elezioni di medio termine degli Stati Uniti, è evidente che le varie e importanti poste in gioco tra i partiti delle diverse coalizioni rendono inevitabile la presenza dei loro leader come importante valore aggiunto. Anche perché, in una fase piuttosto interlocutoria per l’Unione europea, in questa lunga campagna elettorale si continua a parlare assai poco dei temi strettamente collegati alle proposte politiche da portare a Bruxelles. Grosso modo, ci si limita a esprimere, tanto a destra che a sinistra, alcuni principi peculiari di fondo, senza però entrare veramente nel merito di proposte realmente innovative.
L’unico partito che sta tentando di smuovere le acque sembra essere la Lega di Matteo Salvini, per il quale le elezioni dell’8 e 9 giugno rappresentano un passaggio fondamentale per la sua traballante leadership. Una leadership che, come ho già avuto modo di scrivere, è messa in forte discussione dal governatore del Veneto, Luca Zaia. Tanto è vero che quest’ultimo, in merito alla contestata candidatura del generale Roberto Vannacci, ha espresso pubblicamente la sua decisione di non votarlo. Un segnale chiarissimo che, a mio avviso, dimostra che la partita per la futura segreteria del Carroccio è già iniziata.
Ma anche per la segretaria del Partito democratico, la sempre più incerta Elly Schlein, le Europee saranno un test altrettanto importante. Se infatti il Pd dovesse scendere pesantemente sotto la soglia simbolica del 20 per cento, saranno veramente dolori per la pasionaria italo-svizzera-statunitense. Il già forte dissenso interno che sta caratterizzando la sua direzione crescerebbe ulteriormente, costringendola a rassegnare le dimissioni.
In questo quadro, le forze politiche che appaiono meno esposte nelle medesime Europee sono Fratelli d’Italia e Forza Italia nella coalizione di Governo, il Movimento cinque stelle, il quale è da tempo ancorato a una logica di pura sopravvivenza, e i piccoli partiti del cosiddetto Terzo Polo, per i quali sarebbe già un grande successo superare lo sbarramento del 4 per cento. Idem con patate per la sinistra radicale, che avrebbe trovato una improbabile ancora di salvezza in Ilaria Salis, detenuta in attesa di giudizio in Ungheria. Ma comunque sia, è nella logica delle cose che ogni partito in ogni elezione tenda a massimizzare i propri consensi con tutti i mezzi leciti disponibili, compreso quello di candidare i relativi leader nazionali.
Aggiornato il 07 maggio 2024 alle ore 09:34