Nella polemica politica, una delle domande più ricorrenti interroga la destra italiana circa le sue responsabilità per un eventuale ritorno del fascismo. Domanda fuorviante, perché l’attuale fase storica della società italiana non ammette alcuna torsione autoritaria anche lontanamente assimilabile a ciò che accadde nel Paese tra il 1922 e il 1943. Perciò, dare del fascista a qualcuno non trova senso reale fuori della mera volontà di offendere l’interlocutore con un insulto. Tuttavia, vi sono state delle modalità di repressione del consenso alle quali i militanti e i dirigenti del Partito nazionale fascista (Pnf) hanno fatto ampio ricorso per imporsi al potere. Tra queste si annovera lo squadrismo che, agli albori del Ventennio, costituì un vero e proprio fenomeno sociale. L’opposizione al fascismo veniva efficacemente repressa attraverso l’azione violenta a fini intimidatori di piccoli gruppi armati non regolari: le squadre d’azione.
Dalle spedizioni punitive con la somministrazione forzata di olio di ricino, alle bastonature, ai ferimenti, fino ai sequestri e alle uccisioni, il repertorio dei picchiatori squadristi è stato crudelmente vasto. L’idea che ispirava i violenti fondava sull’insano, barbarico assunto che la forza bruta potesse creare diritto e, in conseguenza di ciò, sempre prevalere sulle ragioni del pacifico confronto tra esseri umani all’interno di una comunità.
In epoca democratica dare, quindi, dello squadrista a un individuo avrebbe significato negargli cittadinanza in uno spazio inviolabile – spiritualmente sacro sebbene calato in un tempo storico – di piena libertà. La sanzione da irrogare al reprobo, segnato col marchio d’infamia dello squadrismo, era l’emarginazione, quando non l’esclusione, dal dialogo democratico. Dalla prassi operativa dei fascisti del Ventennio la ricerca storiografica ha sistematizzato alcuni elementi caratterizzanti che consentono di fornire una appropriata concettualizzazione dello squadrismo: organizzazione di gruppi numericamente ridotti ma ben addestrati all’uso della violenza per inibire la libertà di espressione degli avversari; capacità di mobilitazione per interferire con le manifestazioni di piazza o con gli eventi pubblici programmati dagli avversari; predisposizione a manipolare i media allo scopo di creare un sottofondo di consenso, moralmente motivato mediante la demonizzazione dell’avversario, all’esercizio della violenza; contiguità politica con le forme partitiche e movimentistiche compatibili con le proprie finalità ideologiche.
Per il periodo intercorso tra la fine del Secondo conflitto mondiale e le contestazioni con connotati ribellistici che hanno segnato le ripetute crisi della società negli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, la definizione di squadrista è stata associata all’estrema destra e al presunto tentativo dei suoi militanti di ricostituire, attraverso l’azione violenta, il disciolto Partito fascista. Nelle stagioni successive, a partire dagli anni Novanta, il termine è gradualmente scivolato ai margini del linguaggio corrente in corrispondenza dell’emergere di due fenomeni epocali che hanno modificato radicalmente il presupposto etico-ideale della tradizionale contrapposizione sinistra-destra: 1) la costituzionalizzazione della destra post-fascista e il suo inquadramento all’interno del perimetro democratico; 2) la trasformazione dell’antifascismo da fenomeno storico a orientamento di cultura politica volto a opporsi “a tutti gli atteggiamenti e i comportamenti (antidemocratici, di autoritarismo, di intolleranza) ritenuti riconducibili a quella stessa esperienza (del fascismo storico, ndr) come a una comune categoria politica” (da Enciclopedia Treccani – voce Antifascismo). Ciò spiega perché sia diventato di uso frequente tra le schiere degli odierni antifascisti provare a delegittimare l’avversario politico dandogli non già del fascista ma stigmatizzandone la posizione di non antifascista, resa esplicita dall’incapacità a dichiararsi apertamente antifascista. Contestazione che di recente è stata mossa anche a Giorgia Meloni.
Epperò, dovremmo domandarci perché la sinistra, autoproclamatasi depositaria e custode dei valori dell’antifascismo, nel categorizzare l’azione violenta in politica, abbia cassato il termine squadrismo dal proprio lessico. Eppure, elementi di violenza politica permangono nella nostra quotidianità e possono essere qualificati in base ai fattori caratterizzanti l’azione squadristica. Perché? La risposta c’è ed è sotto gli occhi di tutti, peccato però che alla sinistra non piaccia. I comportamenti violenti, che gruppi armati con armi improprie e corpi contundenti hanno messo in atto in questi anni contro i nemici politici, recano lo stigma della sinistra antagonista, contigua e connivente con le pulsioni più irrazionali del progressismo borghese, di gran voga nelle declinanti democrazie occidentali.
Per stare al concreto: chi è il fascista tra un militare in aspettativa dal servizio effettivo che democraticamente si candida a partecipare con le proprie idee a una libera competizione elettorale e il gruppo di facinorosi che, in nome della difesa della scriminante antifascista, mette in atto azioni violente per impedire al citato militare di manifestare il suo pensiero? È un’ipotesi di scuola? No, è vita vissuta. Ieri l’altro al candidato Roberto Vannacci è stato negato l’uso di una sala in quel di Cremona – dove avrebbe dovuto presentare la sua ultima fatica letteraria, Il coraggio vince – nel timore che vi potesse essere la contestazione violenta degli antagonisti e la struttura destinata a ospitare l’evento potesse essere danneggiata. Appena ieri, sempre contro Vannacci sono scesi in piazza a Napoli, al grido “Vannacci, Napoli non ti vuole, fattene una ragione”, esponenti dei centri sociali e dell’estrema sinistra cittadina per impedirgli di parlare a una platea di cittadini desiderosi di ascoltare le sue idee. Idem per Matteo Salvini. A Livorno per presentare il suo libro, Controvento, gli antagonisti dei collettivi antifascisti gli hanno comunicato che è persona non gradita e per tale motivo avrebbero provato a impedirgli di parlare mentre l’Associazione Livorno Antifascista ha tenuto a ribadire che la presenza in città del leader leghista, parlamentare della Repubblica, democraticamente eletto dal popolo, sarebbe stato “Un insulto alla storia della città”.
Ora, mai come in questo caso vale il “test dell’anatra”: se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, allora è un’anatra. Questi antifascisti nouvelle vague se, come gli squadristi, usano la violenza per contrastare l’avversario politico; se, come gli squadristi, s’infiltrano negli eventi pubblici per impedire che l’avversario manifesti liberamente le sue idee; se, come gli squadristi, manipolano i media per fare di loro stessi la rappresentazione del Bene che combatte il Male con le armi prese in prestito al demonio, certamente – non probabilmente – sono squadristi.
Ritenendo fattualmente esistente il nesso che connette il concetto di fascismo al fenomeno dello squadrismo, dobbiamo ribaltare il nostro convincimento sull’implausibilità dell’esistenza odierna del fascismo. Sì, il fascismo è tornato. È rosso e non veste la camicia nera; non inneggia al Duce ma all’“eroica” resistenza dei “martiri” antisemiti di Hamas a Gaza; è popolato da “sinceri democratici” pronti a qualsiasi violenza pur di conculcare le libertà dei dissenzienti, in nome di quell’antifascismo convertito in cultura ideologica, che ne è anche fonte di legittimazione morale.
Aggiornato il 03 maggio 2024 alle ore 10:39