Il centrodestra supera indenne l’ultimo tornante elettorale prima della volata finale verso il traguardo delle Europee. In terra lucana il candidato presidente del centrodestra, l’uscente Vito Bardi – un alto ufficiale della Guardia di finanza ceduto alla politica – conquista il secondo mandato.
Il responso delle urne è tondo e non lascia dubbi interpretativi. Bardi ha conseguito il 56,63 per cento dei voti validi contro il 42,16 per cento dello sfidante Piero Marrese, che ha corso sotto le insegne del campo largo della sinistra. Un risultato che dà conto della riuscita di una scelta politica che sarebbe sicuramente piaciuta al compianto Pinuccio Tatarella: il centrodestra reso più arioso dall’allargamento al centro grazie all’intesa raggiunta con Azione di Carlo Calenda e con Italia Viva di Matteo Renzi. Si direbbe un buon segno. Ma non è così. A nostro avviso è proprio l’apporto dei centristi alla candidatura di Bardi che, in qualche misura, ne macchia il successo. Proviamo a spiegarci.
Se l’ex generale delle Fiamme gialle si fosse presentato per la prima volta al giudizio degli elettori, non vi sarebbe stato nulla da dire sulla vittoria ottenuta col sostegno dei centristi. Invece, Bardi veniva da cinque anni di governo della Regione e se la sua gestione fosse stata realmente apprezzata dai lucani avrebbe dovuto ricevere un gradimento personale bastevole da solo ad assicurargli la riconferma. Ora, guardando ai voti di lista appare evidente che i numeri messi insieme in loco da Azione (7,1%) e dalla lista civica Orgoglio lucano (7,03%), proiezione territoriale di Italia viva, restituiscono una verità che non deve lasciare tranquillo il centrodestra. Infatti, se le opposizioni di centrosinistra avessero trovato la quadra per stare tutti insieme nel mitico campo largo, com’è accaduto per le Regionali in Abruzzo il mese scorso, oggi a festeggiare sarebbero Elly Schlein e Giuseppe Conte, seppure obbligati a un’imbarazzante photo opportunity in compagnia di un ingestibile Calenda e di uno scomodo Renzi. Non è un’opinione, ma aritmetica elettorale.
Una volta posato al suolo il polverone dell’entusiasmo è bene che i soci del centrodestra facciano una seria riflessione sull’incerto impatto delle politiche governative nelle realtà locali. Al dato dell’apporto dei centristi si aggiunga l’altro elemento di problematicità che ha caratterizzato la tornata elettorale in Basilicata: il crollo dell’affluenza – 49,81 per cento degli aventi diritto – sotto la soglia psicologica del 50 per cento. Un calo tanto più significativo nel raffronto con le precedenti elezioni regionali del 2019 (affluenza: 53,52 per cento), perché allora si votò in un solo giorno mentre questa volta l’apertura dei seggi è stata estesa fino alle 15 del lunedì. Un Governatore portato sugli scudi avrebbe dovuto trascinare al voto un maggior numero di elettori. Se ciò non è avvenuto, qualcuno tra i vincitori dovrebbe interrogarsi del perché. Riguardo poi all’exploit di Azione, calma e gesso. Non è che all’improvviso la terra lucana si sia scoperta calendiana. Anzi, ci sarebbe da scommettere che alcuni di coloro che hanno vergato la scheda al simbolo di Azione non sappiano neppure chi sia Carlo Calenda. La chiave dell’affermazione della piccola aggregazione centrista in Basilicata reca un nome e un cognome: Marcello Pittella. In Basilicata Azione è lui, non Carlo Calenda. Da sempre uomo di sinistra – insieme al fratello Gianni, noto per il lungo trascorso da eurodeputato – Marcello Pittella – già presidente della Regione Basilicata dal 2013 al 2019 – nel 2022 è uscito dal Partito Democratico sbattendo la porta a causa del trattamento subito per mano dei vertici del Nazareno che si erano rifiutati di ricandidarlo al Parlamento visti certi suoi problemini giudiziari che ne restituivano un’ immagine non troppo edificante. Per tutta risposta, il Pittella incavolato ha preso quartiere sotto le insegne di Azione, attendendo il momento della vendetta. Vendetta che, puntuale, è arrivata nella serata di lunedì scorso. Ciò, tuttavia, conferma un’amara verità: spesso – e soprattutto al Mezzogiorno – i simboli dei partiti finiscono per essere sigle che i notabili del territorio prendono a prestito temporaneamente mediante contratti di franchising, stipulati con i titolari del marchio, per continuare a gestire il potere locale. Le ideologie, le visioni del mondo, le appartenenze culturali, le storie collettive, sbiadiscono di fronte alla volontà del feudatario sul territorio che gli appartiene, a prescindere se a Roma sul trono vi sia il Papa o l’Imperatore. Pensate che si esageri? Un dato esplicativo: nel comune di Lauria, che ha dato i natali a Marcello Pittella, la lista di Azione ha ottenuto il 31,49 per cento, in numeri assoluti 1.966 voti, risultando il partito più votato a Lauria. Pittella, in quanto capolista, ha riportato 1.879 preferenze su un totale di 6.794 votanti. Per intenderci: se, per assurdo, Pittella avesse aderito a Forza Nuova o a CasaPound avrebbe ottenuto il medesimo consenso. E sarebbe bastato tale dato a farci ammettere che il fascismo è tornato? No di certo. Ugualmente, l’esito lucano non giustifica l’ottimismo circa la rinascita di un salvifico centro nella politica nazionale.
Riguardo alle forze che tradizionalmente compongono il centrodestra, c’è da rilevare che Fratelli d’Italia diventa anche in Basilicata primo partito con il 17,3 per cento dei voti. Un considerevole balzo in avanti rispetto alle precedenti Regionali del 2019 dove il partito di Giorgia Meloni ottenne il 5,91 per cento. Anche in questa circostanza si conferma l’avvenuto travaso di consensi dalla Lega a Fratelli d’Italia. Lega che a sua volta può dirsi soddisfatta del risultato ottenuto. L’odierno 7,81 per cento testimonia l’esistenza di uno zoccolo duro salviniano al Sud che resiste nonostante si sia sgonfiata definitivamente la bolla elettorale che in passato ha consegnato a un arrembante Matteo Salvini la guida del centrodestra. Il dato si mantiene in linea con gli esiti delle recenti votazioni in Sardegna e in Abruzzo. Nonostante il mainstream del politicamente corretto dia il leader leghista per morto e sepolto (politicamente parlando), i risultati che il “Capitano” continua a inanellare nelle lande ostili del Mezzogiorno d’Italia rimandano la palla alla responsabilità che avranno i dirigenti del partito – tutti settentrionali – e i governatori leghisti delle regioni del Nord nel far risalire i consensi del Carroccio nelle circoscrizioni settentrionali, luoghi d’elezione della prima Lega, dove – non va dimenticato – risiede il 50 per cento del corpo elettorale italiano.
Bisognerà attendere gli esiti prossimi delle elezioni in Piemonte e in Umbria per cominciare a valutare l’effettiva caratura nazionale della Lega dopo l’emorragia di voti consumatasi a beneficio di FdI. Riguardo a Forza Italia, va segnalato un consistente recupero di voti che consegna al partito non più berlusconiano un’incoraggiante doppia cifra (13,01 per cento). Sulle motivazioni positive della ritrovata fiducia degli elettori nel nuovo corso forzista sospendiamo il giudizio. Occorre anche qui, com’è accaduto per i risultati in Abruzzo, effettuare un supplemento d’indagine. Bisogna valutare quanto l’aumento di consenso dipenda da un voto d’opinione o quanto invece sia stato condizionato dal reclutamento di notabili locali in grado di gestire in proprio robusti pacchetti di preferenze.
In ultimo, ci preme aprire uno squarcio di verità sulla perfomance del Movimento Cinque Stelle. Il partito di Giuseppe Conte ha raccolto in Lucania il 7,66 per cento dei consensi. Dato in linea con il recente voto in Abruzzo (7,01%) e anche con quello in Sardegna (7,8%). A questo punto il ragionamento che facciamo è semplice: se nelle regioni collocate sotto la Linea gotica il Cinque Stelle raccoglie in media il 7 per cento, mentre nelle circoscrizioni del Nord, dove – ribadiamo – è concentrata la metà dell’universo dei votanti, il Movimento non tocca quasi palla, non è matematicamente possibile indicarlo come terza forza nel quadro politico nazionale. Allora come diamine fanno gli istituti di rilevazione delle intenzioni di voto a quotarlo ancora intorno al 15/16 per cento dei consensi? Deve esserci qualcosa di sbagliato negli algoritmi concepiti per processare i dati raccolti. Non vi può essere altra spiegazione logica, a meno che non si scopra che gli intervistati si divertono a prendere in giro gli intervistatori sparando risposte a casaccio. Fortunatamente non si dovrà attendere a lungo per svelare l’arcano. Le ormai prossime elezioni europee peseranno il Movimento nelle urne. Ci diranno una volta per tutte se Conte sia un player della scena politica o soltanto un personaggio di contorno, benché molto rumoroso. Riguardo al Pd, ci appelliamo al Quinto Emendamento avvalendoci della facoltà di non rispondere. Per il momento.
La piccola Basilicata, per ciò che ci ha mostrato con gli esiti delle urne, merita di stare ancora un po’ al centro delle riflessioni critiche sugli indirizzi strategici e programmatici assunti da tutti i partiti. Tanta attenzione per la terra lucana neanche Rocco Papaleo l’avrebbe mai immaginata.
Aggiornato il 26 aprile 2024 alle ore 09:40