La vicenda di Antonio Scurati e del suo monologo sull’antifascismo, cancellato dal palinsesto della Rai, per la piega che ha preso da attentato alla democrazia riporta alla mente un altro caso – ignoto all’opinione pubblica nazionale – verificatosi nella Napoli degli anni Novanta. Un noto avvocato, che aveva mirabilmente dedicato la sua vita – e il patrimonio famigliare – a dare vita e sostenere un meritorio istituto di studi filosofici, si era talmente convinto della sua grandezza nella storia che un giorno, rimasto vittima del furto del portafoglio in un’affollata strada del centro cittadino, pensò bene di indire una manifestazione di piazza in difesa della legalità. Per l’occasione convocò le più note figure della cultura antifascista partenopea, financo un presidente emerito della Corte Costituzionale. L’iniziativa ebbe una grande eco sulla stampa locale e non pochi furono i politici che si precipitarono a offrire al noto avvocato la propria solidarietà. Insomma, un Can-can esagerato e una piazza mobilitata per un portafoglio.
Vi domanderete: e Scurati che c’azzecca? Sarà, ma la nostra sensazione, a naso, è che intorno a una contesa bagatellara insorta tra qualche zelante dirigente del servizio pubblico radiotelevisivo e lo scrittore, evidentemente interessato al risvolto economico della sua performance televisiva, si sia confezionato un pasticcio incommestibile, cucinato a base di frusta retorica sul fascismo incombente e sulla presunzione che vi sia in Italia una destra autoritaria camuffata da democratica, pronta alla torsione fascista alla prima occasione utile. Scurati grida alla censura perché non gli è stato permesso di leggere il suo monologo sull’antifascismo in diretta televisiva. Perché la sua partecipazione a una trasmissione programmata su Rai 3 sia stata annullata lo accerterà la Commissione bicamerale del Parlamento sull’attività del servizio televisivo e radiofonico nazionale e pubblico italiano.
Ciò che interessa osservare in questa sede è l’assoluta pochezza dell’odierna sinistra nell’eleggere la tesi bizzarra di una Giorgia Meloni nipotina morale di Benito Mussolini a idea forte dell’opposizione al Governo di centrodestra. È sconsolante che gli eredi di Enrico Berlinguer e di Giuseppe Dossetti non abbiano argomentazioni più solide a cui aggrapparsi. Ma tant’è. Davvero i compagni pensano che il problema dell’Italia di oggi sia il supposto martirio mediatico del “partigiano” Scurati? A sentire loro vi sarebbe un rischio per la tenuta democratica solo perché la signora Meloni – classe 1977 – non fa ogni mattina la dovuta abiura del fascismo e la contestuale professione di fede nell’antifascismo taumaturgico. Siamo al cospetto di uno di quei casi in cui la storia da dramma si trasforma in farsa. La sinistra, che per ottanta anni ha sequestrato il Paese rendendolo ostaggio della retorica resistenziale, pretende che la gente si convinca che un pericolo c’è ed è concreto. Per quanto ci riguarda, ancora attendiamo, tra il curioso e il divertito, di vedere ricomparire le camicie nere ad affollare i bivacchi nelle piazze di Roma.
Fuori d’ironia, la verità – tristissima – è che assistiamo da qualche decennio all’esaurimento della spinta propulsiva dell’ideologia marxista, nelle sue declinazioni socialista e comunista. Tragicamente fallita l’utopia della dittatura del proletariato – ma anche quella “soft” legata alla via riformista alla conquista dell’egemonia da parte della classe operaia – alla sinistra internazionale non è rimasto nulla da offrire alle osannate masse se non poco convinti vaneggiamenti sull’espansione illimitata della sfera dei diritti civili e una confusa retorica ambientalista impastata con le ceneri dell’utopia luddista del XIX secolo nell’Inghilterra della rivoluzione industriale e la mitologia mistificatoria sulla decrescita felice del padre fondatore della bioeconomia, Nicholas Georgescu-Roegen, concepita negli anni Settanta del secolo scorso. Troppo poco e posizioni troppo indigeste per essere accettate dalla maggioranza della popolazione come alternativa alla destra nella guida della nazione.
Ecco allora che riemerge dalle pieghe chiaroscurali di un passato tutt’altro che limpido l’evergreen della scriminante antifascista, il bollino blu con cui etichettare gli “eticamente superiori”, gli “Herrenmensch”, la razza padrona del nuovo mondo eretto sulla fluidità dei valori perenni, neanche fossero frutti da esporre in bella mostra sul banco delle verdure al mercato del divenire della Storia. La cosa bizzarra è che la sinistra creda talmente alla frottola del fascismo che incombe da dimenticare tutte le volte nelle quali in nome della difesa della libertà conculcata dai regimi antidemocratici ha provveduto a censurare chi non si allinea alla sua visione del mondo. In quei casi drammaticamente frequenti è rigorosamente vietato parlare di censura ma più appropriatamente di scelte per il bene dell’umanità.
Ed è così che si finisce nel ridicolo. Scurati denuncia la censura subìta. Ma dov’era lui e dove erano i cantori “antifa” quando alla ministra Eugenia Roccella veniva fisicamente impedito dalle attiviste di Extinction Rebellion e di “Non una di meno” di presentare una sua pubblicazione al Salone del libro di Torino? Era il 2023, non il 1923. Per non dire di Daniele Capezzone, mite intellettuale liberale con un debole per i gatti e per le buone idee, a cui è stata inibita la presentazione del suo libro Bomba a orologeria all’Università La Sapienza da un manipolo di scalmanati che urlavano “fuori i fascisti dall’università”. E che dire della costante censura vissuta per decenni dall’editoria di destra per mano della sinistra che ha imposto la sua egemonia culturale al Paese, a scorno di una politica della Prima e delle Seconda Repubblica che ha consentito al mainstream progressista di penetrare le casematte del potere delle idee e di occuparle manu militari?
Per troppo tempo autori di pregio sono stati negati al grande pubblico solo perché le loro produzioni letterarie circolavano in Italia quasi in regime di semiclandestinità. L’elenco dei censurati a destra sarebbe troppo lungo per contenerlo in questo articolo, per cui ci fermiamo qui. Riguardo al sullodato Antonio Scurati, alla fine della fiera, ha vinto lui perché ha visto il suo monologo invadere l’etere, ricevendo una notorietà che la sola apparizione al programma televisivo incriminato non gli avrebbe certo consegnato. Tuttavia, trattasi di fama largamente immeritata perché, a stare al contenuto dello scritto, tolta la patologica ossessione per il supposto fascismo iscritto nel codice genetico del capo del Governo, non è per niente quella straordinaria orazione sulla libertà contro ogni autoritarismo, come i suoi fans vorrebbero far credere. Il monologo è un testo insipido, condito con l’aromatizzante artificiale dell’insulto al nemico. Se questo è il meglio che la sinistra sa opporre all’avversario politico, il centrodestra può dormire sonni tranquilli. Rimarrà al Governo della nazione per ancora molto, molto tempo.
Aggiornato il 24 aprile 2024 alle ore 12:07