Patto sulle migrazioni: ma che cosa fa il centrodestra?

Il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza il Patto sull’accoglienza dei migranti e sui richiedenti asilo presentato dalla Commissione europea. Per la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, si è trattato di un risultato significativo, anche se non risolutivo della questione migratoria. In concreto, vi è stata l’approvazione di dieci testi legislativi che riformano la politica europea sulla migrazione e l’asilo, introdotti i quali si proverà a mandare in archivio il Regolamento di Dublino, che fissa “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide”. L’ultima versione del Trattato (Dublino III) risale al 2013. La nuova formula adottata in sede comunitaria si basa sulla combinazione di due principi costitutivi dell’Unione europea: solidarietà e responsabilità. Vista la complessità della misura approvata occorrerà analizzarla attentamente. Lo faremo, ma in altro momento.

Ciò che adesso va rilevato è il dato politico che accompagna un passaggio epocale nella storia dell’Unione. Giacché non si è ottenuta l’unanimità dei consensi è significativo osservare chi abbia votavo a favore e chi contro. E perché. L’Europarlamento si è spaccato sia verticalmente (tra famiglie politiche), sia orizzontalmente (all’interno delle famiglie politiche per appartenenza nazionale). Riguardo alla rappresentanza italiana in Europa, la frammentazione ha interessato il centrodestra più che il centrosinistra.

Quest’ultimo si è mostrato compatto nel respingere complessivamente la regolamentazione proposta. In particolare, Partito democratico e Movimento 5 stelle hanno votato contro. E il Pd lo ha fatto in dissenso con il Gruppo dei Socialisti e Democratici al quale appartiene in sede europea. I centristi italiani, iscritti al Gruppo dei liberali europei di Renew Europe, si sono espressi a favore. Nel centrodestra, invece, la divaricazione delle posizioni non poteva essere più evidente. Forza Italia ha seguito l’ordine di scuderia impartito dai vertici del Partito popolare europeo di votare in blocco il pacchetto presentato. La Lega si è schierata contro – con l’eccezione del voto favorevole alla riforma dell’Eurodac, la banca dati per le persone che entrano irregolarmente nell’Ue (relatore Jorge Buxadé Villalba); al regolamento sul sistema centralizzato di informazioni sulle fedine penali per i cittadini dei Paesi terzi (relatrice Birgit Sippel); al regolamento che accelera la procedura di rimpatrio alla frontiera per coloro la cui domanda di asilo o di protezione internazionale è stata respinta (relatrice Fabienne Keller) – asserendo che la riforma posta in discussione rappresenti un compromesso al ribasso raggiunto a Bruxelles in danno degli interessi italiani sul tema. In realtà, Matteo Salvini si è adeguato alla posizione contraria assunta dai suoi partner nel gruppo europarlamentare di Identità e democrazia (Id): il francese Rassemblement National di Marine Le Pen e il tedesco Alternative für Deutschland. Fratelli d’Italia ha scelto salomonicamente di votare sì a sette dei dieci testi messi ai voti. Su uno il partito si è astenuto, mentre su quelli già citati e su quello che riguardava il regolamento “Ramm” sulla gestione della migrazione e dell’asilo (relatore Tomas Tobé) ha votato contro.

Nel commento di sintesi al lavoro svolto in sede europea, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha espresso a nome del Governo italiano un giudizio positivo sul Patto approvato. Ha detto Piantedosi: “Grazie alla nostra capacità di negoziazione, siamo riusciti in un anno e mezzo a riportare al centro dell’agenda europea la politica migratoria e abbiamo trovato il miglior compromesso possibile”. E Piantedosi, nell’immaginario collettivo, è considerato, fin dal suo insediamento al Viminale, un tecnico vicino alla Lega. Un pasticcio che può avere una sola spiegazione sensata: l’approssimarsi delle elezioni europee. Evidentemente, distinguersi è più importante che assumere la responsabilità di un piccolo cambiamento, ma pur sempre cambiamento, nell’approccio comunitario al tema migratorio che il nuovo patto comunque apporta. Ribadiamo, non è questa la sede per disquisire sulla bontà o meno delle norme approvate.

Vi è una questione più importante, e dal potenziale esplosivo, che rischia di abbattersi sul Governo Meloni. D’accordo sulla necessità di ogni partito della coalizione di fare la propria corsa in solitario per provare a raccogliere quanti più consensi possibili alle Europee – consensi i quali, per la natura omogenea del blocco sociale che sostiene l’intera coalizione di centrodestra, non potranno essere ottenuti se non a scapito degli alleati – ma qui si esagera. A tutto c’è un limite. E il limite è dato dalla tenuta stessa della coalizione. Si potrebbe pensare che il discorso sia rivolto esclusivamente a Matteo Salvini, sul quale il sistema dei media ha messo la prora non mancando di attribuirgli ogni possibile nefandezza qualunque cosa faccia o dica. Nel mirino c’è anche la versione aggiornata post-berlusconiana di Forza Italia. L’appiattimento acritico di Antonio Tajani sulle scelte del Partito popolare europeo rischia di diventare un ostacolo insormontabile quando vi sarà da decidere in sede europea con chi stare, se ripetere l’esperienza della Grosse koalition con la sinistra verde e progressista, che tanto male ha fatto all’Europa e all’Italia con il suo fanatismo ambientalista e con il relativismo culturale di cui è espressione politica, o battersi per un’alternativa di destra anche in sede comunitaria.

Di una cosa siamo certi: Silvio Berlusconi non l’avrebbe permesso. Il vecchio leone di Arcore non avrebbe avuto paura di dire qualche no agli amici popolari tedeschi e dei Paesi del Nord Europa. Per lui, la tenuta in Italia del centrodestra sarebbe stata sempre e comunque la priorità. Anche Giorgia Meloni deve prestare attenzione alle scelte che va compiendo. Non può e non deve dimenticare che se ha conquistato la leadership del Partito dei conservatori e dei riformisti europei (Ecr) lo deve ai leader e ai partiti conservatori di altre nazioni che hanno creduto nella genuinità della sua proposta politica. Ora, la ricerca dell’alleanza con un centro politico presidiato dal Ppe è un gioco che può non valere la candela della tenuta della famiglia politica dei conservatori, proprio adesso che i sondaggi le arridono. La circostanza non marginale che nelle votazioni sul patto la gamba numericamente più forte del Gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), rappresentata dai polacchi del Pis (Diritto e giustizia – Prawo i Sprawiedliwość) abbia votato contro deve suonare come campanello d’allarme da non sottovalutare.

Alla fine della fiera, se per le signore Ursula von der Leyen e Roberta Metsola (presidente dell’Europarlamento) quella scritta è una pagina di storia della nuova Europa, per il centrodestra italiano, al contrario, è stata una brutta pietra d’inciampo da rimuovere al più presto. Superarla, senza però fingere che non sia mai esistita. Perché la pietra è lì e, a differenza delle sue sorelle del regno minerale, essa può crescere e diventare macigno in men che non si dica.

Aggiornato il 12 aprile 2024 alle ore 16:12