Alcuni anni orsono un claim di grande successo che pubblicizzava una nota bevanda recitava così: “Per molti, ma non per tutti”. Lo slogan riproposto oggi calza a pennello addosso al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: presidente di molti, ma non di tutti. Già, perché l’interventismo del capo dello Stato su alcune questioni sensibili della politica è sospetto. Sia chiaro, nessuno insinua che Mattarella abbia debordato dai poteri che la Costituzione gli assegna. Ci mancherebbe. Ma è nostra opinione che il capo dello Stato sia andato un’ottava di troppo sopra le righe dello spartito istituzionale nel rendere pubbliche le sue iniziative sugli scontri della Polizia con gli studenti a Pisa e sulla telefonata emotivamente partecipata con il padre di Ilaria Salis, l’estremista di sinistra detenuta in Ungheria. Per la cronaca, riguardo alla Salis non stiamo parlando di Santa Elisabetta d’Ungheria. La donna è accusata di lesioni aggravate ai danni di due militanti dell’estrema destra causate nel corso di un’aggressione compiuta a Budapest l’11 febbraio 2023 e organizzata nell’ambito di un’associazione a delinquere tedesca denominata Hammerband (la banda del martello).
Ciò fa di Mattarella l’uomo di parte che non abbiamo mai dubitato fosse. È politicamente scorretto dirlo? Probabilmente lo è. Tuttavia, è giunto il momento di infrangere un tabù per il quale il presidente della Repubblica debba essere ascoltato e non commentato. Se in una società libera il pensiero critico gode di piena cittadinanza come si può tollerare la presenza di dogmi laici che sanciscono l’infallibilità del capo dello Stato? Il suo interventismo suona come un annuncio di costituzione del Quirinale ad alter ego – per i compagni si tratta di alterità culturale assoluta – rispetto all’operato del Governo e dei suoi componenti. Ribadiamo, non vi è nulla di costituzionalmente illecito nelle cose che fa, ma è in quelle che non fa che trovano fondamento i più cupi sospetti di faziosità della più alta carica dello Stato.
Si prenda il caso delle manganellate somministrate dai poliziotti a un gruppo di giovani studenti a Pisa. I manifestanti volevano raggiungere a tutti i costi punti della città toscana ritenuti sensibili dalle forze dell’ordine. Per impedirlo la Polizia ha usato la mano pesante. Non avrebbe dovuto, ma dirlo spettava al ministro dell’Interno. Invece, il presidente ha afferrato la cornetta telefonica e ha chiamato il Viminale per ammonire il titolare del dicastero sentenziando che “l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”. Come se non bastasse, ha ritenuto opportuno rendere pubblica la sua iniziativa a poche ore dal voto delle Regionali sarde, per la gioia delle opposizioni di sinistra che hanno usato l’entrata a gamba tesa del Quirinale come argomento clou per la chiusura della campagna elettorale. Come non vederci una presa di posizione politica volta a interferire con l’azione di Governo? O peggio, con la determinazione dell’esito elettorale? Si obietterà: il capo dello Stato ha dato voce al sentimento di riprovazione avvertito dalla maggioranza degli italiani al cospetto di immagini di violenza assai poco gratificanti per la Polizia. Benissimo.
Allora, perché il presidente non ha accordato la stessa voce agli italiani che assistevano indignati alle reiterate violenze messe in atto dagli antagonisti sociali contro gli uomini e le donne in divisa, e non solo? Ferocia brutale, inaudita, volta a distruggere beni di privati cittadini, a incendiare negozi e autovetture, a spaccare vetrine, a ferire poliziotti e a provocare panico tra la popolazione. In molteplici occasioni del medesimo tenore la voce del Quirinale non è stata udita. Come mai? Di queste ore la vicenda Salis. Il padre della donna arrestata a Budapest – dove difficilmente viene da credere che si trovasse in gita di piacere – ha scatenato un gran baccano. Il signor Roberto Salis ha preteso che il Governo italiano imponesse a quello ungherese di scarcerare la figliola o, in subordine, di concederle gli arresti domiciliari. Non avendo raggiunto lo scopo desiderato il signor Salis se l’è presa con la presidente del Consiglio e con i ministri coinvolti nella vicenda accusandoli di non aver fatto abbastanza per tirare fuori la figlia dai guai in cui si è cacciata. Ma non gli è bastato, per cui ha ritenuto opportuno rivolgersi direttamente al capo dello Stato. Salis lamenta una palese disparità di trattamento tra la figlia detenuta in Ungheria e Gabriele Marchesi, l’antagonista rosso accusato dai giudici di Budapest dello stesso reato contestato alla Salis e compiuto nella medesima circostanza, per il quale un tribunale italiano non ha concesso l’estradizione dell’imputato richiesta dalla magistratura inquirente ungherese.
Mattarella gli ha risposto. E cosa gli ha detto? Invece di limitarsi a esprimere vicinanza umana e a rassicurarlo invitandolo ad avere fiducia nella giustizia magiara, il capo dello Stato si è avventurato su uno scivoloso crinale politico affermando che: “La differenza tra il nostro sistema, ispirato ai valori europei, e il loro sistema (degli ungheresi, ndr) ha determinato questa situazione”. Come a dire: noi siamo i buoni e quelli sono gli autoritari, nemici della democrazia e dello Stato di diritto. Una roba da incidente diplomatico tra i due Paesi. L’Ungheria resta una nazione dell’Unione europea e non è la Corea del Nord o l’Iran. Si obietterà: il presidente ha espresso il suo punto di vista in difesa dei valori costituzionali perché sollecitato da un padre angosciato. Perfetto. Ma se il presidente colloca il sistema giudiziario ungherese a un livello da terzo mondo, perché non si è espresso con altrettanta fermezza rispetto agli altri 32 italiani detenuti nelle patrie galere ungheresi al 2023, dei quali 12 in attesa di giudizio come la signora Salis (fonte: Ministero degli Esteri, Annuario statistico 2023, scheda pagina 229)? Forse che vi sia una serie A e una serie B a cui assegnare gli italiani a seconda dell’ambiente sociale a cui appartengono e delle idee politiche che manifestano? E, visto che siamo in argomento, a proposito di processi farsa, ci piacerebbe sapere se il presidente Mattarella in questi anni abbia telefonato alla famiglia di Chico Forti, italiano detenuto da 24 anni in un penitenziario della Florida (Stati Uniti) perché condannato per omicidio a seguito di un processo che definire barzelletta è essere generosi.
Chico Forti non meritava di ricevere la solidarietà della nazione? Tra qualche giorno finalmente sarà in Italia per scontare l’ingiusta pena vicino ai suoi affetti più cari. Non sarà stato merito del presidente Mattarella averlo riportato a casa, ma di qualcun altro. Non è forse che l’irrituale attivismo del presidente sulla vicenda Salis abbia a che fare col fatto che il papà della squadrista rossa ospite delle galere ungheresi abbia tenuto a ribadire più volte la consonanza del Governo Meloni con il presidente ungherese Viktor Orbán, per insinuare il dubbio – una certezza per la sinistra – che la destra italiana se la faccia con le peggiori canaglie in giro in Europa? Di là dalla fondatezza dell’accusa infamante, non siamo al cospetto di un atto politico sopra le righe per un’istituzione di garanzia super partes quale dovrebbe essere il presidente della Repubblica? Non importa ciò che pensiamo noi, vale che lo pensi un’entusiasta sinistra. Ieri, su l’Unità, è comparso un articolo a firma di Davide Romoli, dal titolo emblematico che spiega bene l’euforia dei progressisti: “Mattarella c’è: difende il Paese dall’estrema destra”. E quale sarebbe l’estrema destra? Quella democraticamente votata da una parte cospicua di italiani? Quindi, non ci siamo sbagliati, questo presidente sarà pure per molti, ma non è per tutti. Eppure, non abbiamo contezza di un articolo o di un comma della Costituzione che assegni al capo dello Stato la difesa del Paese da quelli che votano a destra. Il Quirinale tiene a sottolineare che il presidente agisce nella rigorosa osservanza delle prerogative assegnategli dalla Carta. E Mattarella è uomo d’onore. “Shakespearianamente” parlando.
Aggiornato il 05 aprile 2024 alle ore 10:23