I giochi sono fatti. A meno di clamorosi cataclismi – legali o sanitari – il primo martedì di novembre i cittadini americani saranno ancora una volta costretti a scegliere tra Joe Biden e Donald Trump, in una riedizione della contestatissima sfida che, nel 2020, ha visto prevalere l’ormai ultraottantenne presidente in carica. Ma non vi fate ingannare dal “wishful thinking” di chi è convinto, in un verso o nell’altro, che la partita sia già chiusa a otto mesi dal voto. Perché la campagna elettorale è appena cominciata e anche stavolta le elezioni presidenziali statunitensi si giocheranno sul filo di poche migliaia di voti, in un numero ristretto di Stati-chiave: tre nel Midwest (Wisconsin, Michigan e Pennsylvania), due all’Ovest (Arizona e Nevada), uno al Sud (Georgia). Stiamo parlando di 6 Stati che portano in dote 77 electoral votes (sui 270 necessari per arrivare alla Casa Bianca), che nel 2020 sono stati conquistati da Biden ma che nel 2016, con la sola eccezione del Nevada, erano stati vinti da Trump.
La sfida, però, è più complicata di quello che può sembrare guardando distrattamente la cartina degli States con le sue macchie rosse e blu. Già scendendo un po’ più in profondità, per esempio passando dal livello statale a quello di contea, è possibile notare come la polarizzazione del voto americano non investa soltanto le macroaree classiche in cui sono divisi gli Stati Uniti, ma percorra trasversalmente tutto il territorio. Le grandi città, soprattutto costiere, sono terreno di conquista incontrastato per il Partito democratico. Nelle zone rurali, invece, come nelle piccole città, il Partito repubblicano può godere di un vantaggio strutturale consistente che resiste ormai da decenni. C’è un posto, infine, dove nessuno dei due partiti domina nettamente sull’altro. E in cui, negli ultimi anni, si sono fatte e disfatte le fortune elettorali dei candidati, soprattutto alle Presidenziali.
Welcome to Suburbia
“Per gran parte del XX secolo – ripete ormai da anni Joel Kotkin, definito dal New York Times con il singolare appellativo di uber-geographer – gli americani hanno votato con i piedi, muovendosi inesorabilmente dalle città verso le periferie suburbane. Il risultato è che gli elettori dei sobborghi sono diventati determinanti per la politica, la cultura e l’economia nazionale”. Secondo Kotkin, la rimonta elettorale dei Repubblicani dopo gli Anni Sessanta del secolo scorso è stata in gran parte un fenomeno suburbano. E tutte le volte che i Democratici hanno recuperato terreno, come negli anni di Clinton e Obama (ma anche nel 2020), è quando sono riusciti a conquistare circa la metà dei voti nei sobborghi.
Il problema, per il partito di Biden, è che la sua anima “urbana” tende sempre a prevalere sulle posizioni dettate dal buon senso o, perfino, dai semplici calcoli elettorali. Durante gli anni dell’amministrazione Obama, c’è stato un diluvio di leggi draconiane sulla lottizzazione dei terreni, una spinta poderosa verso l’utilizzo dei trasporti di massa, oltre all’esplosione di politiche “ambientali” che sembravano studiate accuratamente per favorire le città e danneggiare i sobborghi. E dopo la parentesi trumpiana, questo atteggiamento ha caratterizzato anche l’era-Biden.
Suburbia, del resto, non è mai piaciuta al mondo accademico, ai pianificatori di professione e agli intellettuali in genere, che oggi controllano il cuore e la mente del Partito democratico. Negli anni Sessanta, la critica principale della “controcultura” era al consumismo, al cibo prodotto in massa, alla plastica e alle grandi macchine. Più tardi i sobborghi sono diventati il simbolo della “fuga razzista dei bianchi” dalle città multietniche. Oggi le parole d’ordine sono tutte mutuate dalla mitologia ecologista, tanto che la “lotta al cambiamento climatico” è diventata uno degli argomenti-chiave contro la suburbanizzazione. Ma il filo rosso che unisce gli attacchi contro Suburbia nel corso degli anni è sempre lo stesso: il desiderio radicato e insopprimibile di cambiare il modo di vita scelto dagli americani. Naturalmente per il loro stesso bene.
La “nuova America”
Questa decennale guerra ai sobborghi, però, non sembra aver ottenuto gli effetti sperati. Se nel 1950 le città principali ospitavano quasi il 24 per cento della popolazione degli Stati Uniti, oggi questa percentuale si è quasi dimezzata. Nel frattempo, i sobborghi e le periferie (le cosiddette aree extra urbane) sono cresciuti dal 13 per cento della popolazione metropolitana registrata nel secondo dopoguerra all’86 per cento del 2018. Negli ultimi dieci anni, Suburbia ha guadagnato 2 milioni netti di popolazione dalla migrazione interna, mentre le contee dei nuclei urbani hanno perso 2,7 milioni di persone. E questo trend si è accentuato nell’epoca della pandemia, quando le grandi città hanno perso altri 2 milioni di abitanti.
Contrariamente a quanto spesso affermato dai media, questa tendenza è radicata nelle scelte della popolazione. Le ricerche condotte negli ultimi quarant’anni, infatti, dimostrano come la percentuale di popolazione americana che preferisce vivere nelle zone urbane sia sempre oscillata tra il 10 e il 20 per cento. Mentre suburbs ed exurbs non scendono mai al di sotto del 50 per cento. Tasse più basse, privacy, ridotti livelli di criminalità, buone scuole e comunità più a misura d’uomo sono le motivazioni principali di questa propensione. Oltre, naturalmente, alla possibilità di abitare in una casa più grande (l’incubo degli urbanisti), magari con giardino, dove far crescere i propri figli. A un prezzo che nelle città è semplicemente impossibile immaginare.
In più, questa attrazione universale verso il suburban lifestyle è dimostrata dalla crescente diversità etnica che oggi caratterizza la fuga dalle città. “Nel 1970 – scrive sempre Kotkin – circa il 95 per cento degli abitanti dei sobborghi era bianco. Oggi, invece, molte di queste comunità sono emerse come il nuovo melting pot della società americana. Insieme ai nuovi immigrati, anche gli afro-americani sono sempre più presenti nei sobborghi”.
I sobborghi e Trump
È anche a causa di questa trasformazione demografica che Suburbia, per Trump, rappresenta un rischio, oltre che un’opportunità. I livelli di popolarità dell’ex presidente repubblicano, infatti, pur non disastrosi come quelli nelle grandi città, non sono particolarmente alti nei sobborghi, soprattutto tra l’elettorato femminile. Non è tanto una questione di programmi politici o di ideologie, quanto di appeal personale. Ma è proprio a questo tipo di elettori che The Donald deve guardare se vuole ribaltare il risultato del 2020. La possibilità, concreta, esiste. Perché la radicalizzazione green del Partito democratico è ormai troppo evidente per essere nascosta dai media mainstream. E gli americani sono, di solito, abbastanza scaltri da “votare con il portafoglio”. Per avere una concreta chance di vittoria, però, Trump deve riconquistare il cuore di Suburbia, facendo tornare all’ovile quegli elettori che – come è già accaduto nei dintorni di Phoenix (Arizona) o Atlanta (Georgia) – nel 2020 gli hanno voltato le spalle. Si può fare, ma sarà più difficile di quanto potrebbe sembrare con un presidente in carica sempre più a picco nei sondaggi.
(*) Da Il Giornale del 19 marzo 2024
Aggiornato il 22 marzo 2024 alle ore 09:13