Il tour americano della premier Giorgia Meloni è stato un successo. Bene l’incontro con il primo ministro canadese Justin Trudeau, benissimo quello alla Casa Bianca con Joe Biden. Non è questione di chimica ma di risultati politici riguardo all’agenda che la premier italiana intende proporre, nella qualità di presidente di turno del G7, ai Paesi che ne fanno parte. Giorgia Meloni è riuscita nell’impresa di mettere al centro del dibattito il tema dell’Africa, oltre al rafforzamento degli sforzi per sostenere l’Ucraina in guerra con la Federazione Russa. Nulla, quindi, di quello che maliziosamente circolava negli ambienti della sinistra italiana – a proposito del fatto che la Meloni fosse andata a Washington a “prendere ordini” da Biden – è risultato vero. Al contrario, è stata riaffermata un forte consonanza tra i due leader che è andata oltre le più rosee aspettative coltivate da Giorgia Meloni fin dall’inizio dell’avventura a Palazzo Chigi. Tutto bene, dunque. Non proprio. Un problema c’è e non può essere taciuto, non fosse altro perché sono stati gli ambienti repubblicani statunitensi a evidenziarlo. E il problema, che potrebbe presto trasformarsi per il Governo italiano nella classica mucca nel corridoio di bersaniana memoria, si chiama Donald Trump.
Negli Stati Uniti sono in corso le primarie del Partito Democratico e del Gop (Grand Old Party) repubblicano per la scelta dei rispettivi candidati alle Presidenziali del prossimo novembre. Stando ai dati attuali e salvo sorprese, i due sfidanti saranno proprio Joe Biden e Donald Trump. La guerra tra i due è cominciata da un pezzo. In effetti, non si è mai interrotta dalla rocambolesca vittoria del democratico quattro anni orsono e dal reiterato rifiuto del tycoon di riconoscere i risultati scaturiti dalle urne. È certamente uno scontro di personalità ma è soprattutto una contrapposizione tra due visioni del mondo e del ruolo che gli Usa dovranno avere nel tempo che verrà. La più stridente delle conflittualità in atto riguarda il sostegno illimitato che l’America di Joe Biden sta assicurando al Governo di Kiev per resistere alla pressione militare dell’invasore russo. Donald Trump sul punto si è espresso con una chiarezza che non lascia dubbi: con lui alla Casa Bianca il braccio di ferro con Mosca, per interposta nazione (l’Ucraina), cesserà rapidamente. Perciò, il ritiro del gigante statunitense dalla partita che si sta giocando ai confini orientali dell’Europa potrebbe essere una certezza da qui a un anno se le elezioni incoronassero Donald Trump 47° presidente degli Stati Uniti d’America. In linea teorica, la premier Meloni dovrebbe essere in totale sintonia con i repubblicani d’Oltreoceano. Invece, sulla questione ucraina, ma anche su altre problematiche nodali, non lo è. E questo è un problema. Lo testimonia il fatto che un media vicino alla destra statunitense come Fox news ieri l’altro, in una perplessa riflessione sulla posizione di inaspettata vicinanza alla presidenza Biden assunta dalla leader italiana, ne ha stigmatizzato il comportamento con un velenosissimo: “Il voltafaccia di Meloni da anti-globalista a pro-Europa. La cocca di Biden fa infuriare la base: non la voteremo più”.
Non va bene. Per quanto si dica che un conto sono i rapporti personali tra i leader e altro è la vicinanza strategica tra due Paesi storicamente alleati, non siamo affatto sereni sul futuro delle relazioni bilaterali Italia-Usa. E la circostanza di aver inviato, lo scorso febbraio, al congresso del Conservative Political Action Conference (Cpac)–meeting che riunisce i conservatori statunitensi e al quale vengono invitati politici di destra di nazioni amiche – una delegazione di Fratelli d’Italia non di alto profilo, per non incrinare – si ipotizza – l’idillio in atto col presidente Biden, non ha contribuito a diradare i sospetti repubblicani sulla poca affidabilità di un’alleata giudicata quantomeno ambigua.
I rapporti di fiducia tra i leader hanno il loro peso e condizionano le scelte dei Governi. Donald Trump, che notoriamente non è uno stinco di santo e ha un carattere rancoroso, una volta alla Casa Bianca potrebbe marginalizzare le relazioni con l’Italia, preferendo dialogare con altri interlocutori nel Vecchio Continente. Così come potrebbe giungere a un negoziato di pace con Mosca lasciando fuori dal tavolo delle trattative il Governo italiano che si sta spendendo più di molti altri suoi omologhi europei nel sostegno all’Ucraina. Sarebbe un triste epilogo per noi italiani farci mettere alla porta dopo aver pagato duramente il prezzo della guerra da altri voluta contro il pericolo russo. L’Italia, purtroppo, non è la Francia o la Germania, che la propria voce in un modo o nell’altro riescono a farla sentire. E non è la Gran Bretagna la quale, nonostante gli anni di declino, mantiene pur sempre una reputazione da potenza globale. L’Italia per pesare sulla scena internazionale ha bisogno di un alleato forte tra i grandi player, che ne sostenga le istanze. Finora gli Stati Uniti ci hanno guardato le spalle. E se con Trump smettessero di farlo? Se, a fronte di una richiesta di aiuto a Washington per l’insorgere di un problema nello scacchiere mediterraneo, ci sentissimo rispondere dal prossimo (probabile) inquilino della Casa Bianca: “Non ci riguarda, sbrigatevela da soli”? Giorgia Meloni si è spinta oltre nella pur comprensibile strategia di farsi accettare dai leader progressisti del mondo libero. Una maggiore cautela nel trascurare i propri ancoraggi ideali all’estero e una più contenuta manifestazione di entusiasmo nello schierarsi al fianco del nemico giurato di coloro che, fino a ieri, sono stati i referenti statunitensi delle sue idee politiche e culturali, sarebbe stato preferibile.
C’è purtuttavia la possibilità di recuperare nel futuro ciò che è stato rotto nel presente. Non sempre però le retromarce sortiscono gli effetti desiderati e non sempre ciò che è stato rotto può essere riattaccato. Si obietterà: c’è Matteo Salvini che, membro della coalizione del centrodestra, non ha avuto dubbi nel collocarsi dalla parte di Donald Trump. E con questo? Che Salvini si complimenti col tycoon e gli invii messaggi nei quali gli promette eterno amore, lasciano il tempo che trovano. Come dimostrato ai tempi del Governo Conte, Trump è un pragmatico che concede spazio di dialogo soltanto a chi ha il potere della decisione politica. Salvini un tale potere non lo ha, allora perché “The Donald” dovrebbe sprecare tempo a stargli dietro? La ricordate la storiella della photo opportunity del 2016, che un euforico Salvini andava mostrando a mezzo mondo per accreditare un feeling tra lui e il 45° presidente degli Stati Uniti d’America? Interrogato sull’argomento, “The Donald” rispose candidamente: “Salvini? Non lo conosco”. La politica, in particolare quella agita sul piano internazionale, è un camminare su un filo sospeso nel vuoto. Non esistono ricette miracolose per soddisfare tutte le domande annullando il rischio di sporcarsi le mani nel momento delle risposte. Vale per tutti gli statisti, grandi e piccoli. E vale per Giorgia Meloni.
La premier ha pochi mesi per riordinare i rapporti con i repubblicani statunitensi. Il che significa cercare un allineamento con le loro posizioni sulle grandi scelte di politica globale. Se il “paterno” bacio sul capo che le ha dato Joe Biden può averla messa in cattiva luce con la destra americana, trovi il modo di farsi prendere in braccio da Donald Trump per rimettere a posto le cose nell’immaginario repubblicano. Altrimenti, con Trump alla Casa Bianca per il Governo italiano saranno più spine che rose.
Aggiornato il 06 marzo 2024 alle ore 09:37