Sassolini di Lehner
Non si chiamano più comunisti, giacché l’aggettivo è divenuto più che infamante; tuttavia, reiterano l’intolleranza e l’odio di sempre. Costoro smentiscono Darwin, costituendo una fauna che cambia in continuazione nomi e sigle, ma non si evolve mai.
Cinquant’anni fa, proposi a Franco Fedeli il titolo “Nuova polizia e riforma dello Stato” per la rivista dedita a raccontare la verità sulle forze dell’ordine. Mentre sui muri di tutte le città italiane spiccavano paragoni sanguinosi verso i poliziotti, tipo: “Ps=Ss”, il nostro foglio osò definirli “lavoratori di polizia”, impegnandosi per il riconoscimento dei diritti sindacali e per la loro smilitarizzazione. Mentre la base comunista continuava a chiamarli “servi”, “sgherri”, “fascisti”, “nazisti”, i dirigenti del Partito comunista italiano tramavano per mettere le mani sul loro nascente sindacato.
In risposta alla doppia faccia del Pci, scrissi un saggio, che mi costò non la gogna, ma il silenzio di tomba. Il saggio si intitolò “Dalla parte dei poliziotti” (Mazzotta, Milano 1978).
Dalle centinaia di recensioni ricevute da “Parola di generale” (Mazzotta, Milano 1975), con tanto di commento in prima pagina sul Corriere della Sera, nonché due pagine nella cultura della neonata la Repubblica, e applausi da Panorama ed Espresso, scivolai nell’orrido della recensione zero.
Pci e Cgil, che avevano assai gradito il pamphlet del 1975, poserò il veto ad un saggio tabù, che rivelava, da sinistra, le manovre delle Botteghe Oscure non per salvaguardare i diritti dei lavoratori di polizia, ma per infiltrarsi – la penetrazione era già in corso nella magistratura – anche all’interno della Pubblica sicurezza.
Intanto, i movimenti extraparlamentari non la smettevano di criminalizzare le forze dell’ordine “al servizio del capitalismo”.
Mi venne in mente allora di spiegare a codesti sedicenti amanti della classe operaia, che, se c’erano proletari mal pagati per un lavoro ad alto rischio, questi erano proprio i poliziotti. Trattai a lungo con Il Manifesto, Lotta Continua e Il Quotidiano dei lavoratori, perché fosse accettata e pubblicata un’intera pagina, nella quale veniva illustrato ai “compagni” l’imperativo morale e politico di portare rispetto a quel proletariato col salario di fame, i nuovi fanti-contadini, non più nelle trincee della Prima guerra mondiale, ma nelle piazze d’Italia a prendersi pallottole, sassate, botte, calci, sputi, insulti da parte di velleitari “rivoluzionari” al cachemire.
In proposito, mi torna alla mente uno di questi giornalisti, pronti, a parole, a sovvertire il mondo, che non venne ad un incontro clandestino con i poliziotti del movimento, perché – così disse – impegnato a giocare a Risiko! Non ne cito il nome, ma, se costretto, lo farò.
Dopo molti tentativi, grazie alla mia fama di severo critico del Pci, allora ritenuto “imborghesito” e quasi “nemico del popolo” da maoisti e neostalinisti, alla fine la paginata dalla parte dei lavoratori di polizia fu pubblicata nello stesso giorno da tutte e tre le testate.
Credetti da cocciuto ottimista d’aver svolto un’opera pedagogica produttiva, cioè di sicura ricaduta politico-culturale. Dall’estrema sinistra, pensai, non più piombo e male parole contro i nuovi fanti-contadini, i cui progenitori, a riprova della tara mentale dei malati di marxismo, rientrati dalla Prima guerra mondiale vennero accolti a cazzotti, minacce e sputacchi dai massimalisti del Psi.
L’ideologismo psicotico sino alla disumanità del 1918-1919, che costò carissimo al “Sol dell’avvenire”, sino a farlo tramontare per oltre vent’anni, ritenni ingenuamente che non si sarebbe più ripetuto. Mi sbagliavo: mezzo secolo dopo, a sinistra risento le solite istigazioni e le più risentite maledizioni. Il lavoratore di polizia che difende una Sinagoga non può usare il manganello contro l’orda degli assalitori. Può solo prendere botte e parolacce. L’orda era composta di giovani? Altri giovani assalirono e bruciarono le sinagoghe. Avremmo dovuto, dunque, compatirli, se nell’impresa si scottarono le manine nazionalsocialiste?
Insomma, giovani o adulti, ignorano Darwin e l’evoluzione della specie. Non li fece evolvere Pier Paolo Pasolini, quando per i fattacci di Valle Giulia del 1968, scrisse: “Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati (benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti! Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano...”.
Ancor meno riuscì il mio paginone a curare la cronica policofobia dei padri “compagni” della Ztl e dei loro “figli di papà” palestinesi della domenica ed antisionisti sempre.
Aggiornato il 05 marzo 2024 alle ore 09:39