Oggi, 1° marzo, la dittatura teocratica al potere in Iran celebrerà le sue “elezioni“ legislative.
Difficile trattenersi dal ridere, pensando alle elezioni in un regime nella cui Costituzione tutto il potere, in modo assoluto, è nelle mani di una persona, la guida suprema Ali Khamenei. Costui, assetato di potere, ha voluto sempre interpretare il suo ruolo fino in fondo e con zelo. Nei sistemi democratici le elezioni sono lo strumento per eleggere persone che devono rappresentare il popolo sovrano. La dittatura religiosa al potere in Iran, con qualsivoglia lettura della democrazia, non è un sistema democratico in quanto nella sua Costituzione e nella prassi di gestione del potere manifesta nell’essenza e nella struttura un regime totalitario. Quindi i riti elettorali ed in particolare queste elezioni servono al regime per mostrare al mondo una forma di “popolarità”, che non esiste, per continuare a ricevere la condiscendenza e continuare nell’impunità della sua dannosa e nefasta sopravvivenza.
Chi segue le faccende della teocrazia iraniana, al potere dal 1979, se non soffre di cecità assoluta, sa che il regime non è stato mai stabile e soprattutto non si è mai sentito stabile. Il motivo dell’instabilità di questi cavernicoli al potere è proprio la loro genesi storica. È un regime con un’ideologia e strutture arcaiche ma che vuole trovare spazio nel terzo millennio. L’instabilità della dittatura teocratica iraniana, celata anche dai mass media occidentali, si è evidenziata palesemente nella rivolta del settembre 2022, che in Iran ha fatto tremare le fragili fondazioni del regime e fuori ha fatto arrivare la voce di un popolo in rivolta anche a chi non volava sentire.
Nella storia i nodi vengono al pettine. In queste settimane che precedono le elezioni in Iran, Ali Khamenei ha invitato più volte la gente a recarsi alle urne, elemosinando partecipazione. In questa tornata si eleggerà anche l’Assemblea degli Esperti, che ha il ruolo di nominare il successore del 84enne e malato Khamenei. Dopo aver distrutto il Paese e messo sul lastrico un intero popolo, uccidendo molti giovani e il futuro del Paese, ora chiede la sua consacrazione e il loro voto. Secondo Khamenei gli iraniani devono andare alle urne e votare i candidati selezionati ad hoc dal vaglio del Consiglio dei guardiani. Tanto sono democratiche le elezioni in Iran che dal setaccio del Consiglio dei guardiani sono passati 133 candidati per occupare 88 posti all’Assemblea degli Esperti. Cioè in alcuni collegi il candidato deve concorrere con se stesso. Tanto è in difficoltà il regime che ha bocciato Hassan Rouhani, presidente della Repubblica del regime, l’uomo degli apparati di sicurezza da sempre. Ha dovuto bocciare Puor Mohammadi, già ministro della Giustizia del regime e responsabile del massacro di 30mila prigionieri politici nel 1988. Ha dovuto bocciare Heydar Moslehi, già fidatissimo ministro delle Informazioni del regime; l’elenco dei bocciati è chilometrico. Un regime che ha cominciato a instaurarsi separando il popolo in “noi” e gli altri. Ora, abbandonato risolutamente dalla popolazione, non si fida neanche dei suoi uomini più fidati, uomini con le mani sporche di sangue come lo stesso Ali Khamenei. Se nelle ultime elezioni presidenziali il regime per la prima volta ha dovuto annunciare che il numero dei votanti è stato al di sotto del 50 per cento, percentuale multipla del numero reale, ora secondo un sondaggio riservato dello stesso regime solo il 7 per cento andrebbe alle urne. Il re è nudo! In Iran non è tempo di elezioni, ma di rivolta e rivoluzione.
Dopo la rivolta del 2022 che ha mostrato il re nudo di fronte agli occhi del mondo, il regime integralista, grazie anche ai soldi ricavati dall’allentamento delle sanzioni economiche volute dall’amministrazione di Joe Biden, ha voluto incendiare il Medio Oriente, proprio per scemare la rabbia popolare in Iran. A quanto pare il 7 ottobre il regime iraniano e le sue forze per procura hanno esagerato, hanno preso un passo più lungo delle loro gambe. Il regime nelle sue analisi riservate teme che una volta sistemata la guerra a Gaza, penseranno di sistemare anche l’Iran. Ora anche gli esperti favorevoli alla teocrazia di Teheran hanno difficoltà a far credere che la fiamma della guerra in Medio Oriente potrà essere spenta finché è in vita il regime iraniano. Perché il problema irrisolvibile di questo regime cavernicolo al potere da 45 anni in Iran è un intero popolo che vive invece nel XXI secolo. È anche e soprattutto per affrontare questo problema, irrisolvibile, che da decenni il regime incendia tutta la Regione. L’acuirsi della crisi del Medio Oriente dipenderà sì dagli errori, molti anche strategici, degli Usa, ma dipende soprattutto dal regime iraniano che deve affrontare e soffocare il grido di libertà del suo popolo.
Aggiornato il 04 marzo 2024 alle ore 09:35