Compagni, non illudetevi! Il centrodestra non si spaccherà sulla questione del terzo mandato per i governatori regionali e per i sindaci delle città con più di 15mila abitanti. È vero, la Lega si sta agitando parecchio sull’argomento e non ritira gli emendamenti presentati a tal scopo in Commissione Affari costituzionali del Senato. In teoria, il Carroccio vorrebbe garantire a Luca Zaia la possibilità di proseguire per almeno un altro quinquennio l’esperienza alla guida della Regione Veneto. Appunto, in teoria. Poi, però, c’è la realtà che – si consenta il gioco di parole – impone realismo.
Il partito di Giorgia Meloni è attualmente la forza trainante della coalizione. Ha più voti dei due partner – Lega e Forza Italia – sommati. Eppure, Fratelli d’Italia al momento non esprime alcuno dei governatori delle regioni del Nord. Il rapporto di forza è squilibrato ed è evidente che vada rimesso sui giusti binari. Tradotto dal politichese, significa che la Lega da qui ai prossimi due anni, entro i quali verranno rinnovati tutti o quasi i vertici istituzionali delle regioni del Nord, dovrà mollare qualche poltrona per fare spazio all’alleato più votato dagli elettori. Al momento, sono leghisti i governatori della Lombardia, del Veneto, del Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige. Tanta roba.
Dovendo scegliere, la Meloni reclama per i suoi il posto occupato da Zaia. Ma non vorrebbe un cambio traumatico, come invece è stato per l’avvicendamento del meloniano Paolo Truzzu con l’uscente Christian Solinas, espressione dell’alleanza locale tra il Partito Sardo d’Azione e la Lega, quale candidato unico del centrodestra alle regionali sarde che si terranno domenica prossima. È per questo motivo che il premier intende percorrere la strada normativa della conferma dell’incandidabilità dei presidenti di Regione dopo il compimento del secondo mandato. Una mossa astuta per ottenere un risultato favorevole in modo indolore per l’interessato e per il suo partito perché, come avrebbe detto un vecchio leguleio partenopeo: Verba generalia non sunt appiccicatoria, quando le regole valgono per tutti nessuno può dolersene e farne motivo di litigio. Dunque, richiesta legittima quella di Fratelli d’Italia. E che lo sia ne è consapevole anche Matteo Salvini. Allora perché il suo apparente arroccamento sul tentativo di far passare in Parlamento un emendamento che, di fatto, prolunghi la vita da governatore a Zaia?
Nient’altro che ordinaria, consunta rappresentazione del teatrino della politica. Salvini deve recitare un copione obbligato per mostrare ai suoi di averci quantomeno provato a tenerlo in sella pur sapendo in anticipo di dover rinunciare alla battaglia per il bene supremo dell’unità del centrodestra. Ma non si tratta solo di questo. La querelle messa in piedi serve anche ad alzare il prezzo della buonuscita di un politico – Luca Zaia – che ha fatto indiscutibilmente bene il mestiere di governatore del Veneto negli ultimi cinque lustri. Già, perché Zaia nel 2025 non correrebbe per un eventuale terzo mandato ma per un quarto, visto che la sua prima elezione a presidente della Regione Veneto risale al 7 aprile 2010. D’altro canto, uno così non lo si può liquidare con una stratta di mano e rispedirlo a casa. La sua ricollocazione sarà un problema per il capo della Lega non meno di quanto lo sarà per il resto della coalizione.
Gli opinionisti dei media organici alla sinistra, che si danno arie da grandi conoscitori delle cose in casa leghista, scommettono su uno Zaia pronto a fare le scarpe a Salvini proponendosi da capo della Lega. È una sciocchezza senza capo né coda. Se c’è una cosa che il governatore veneto non farebbe è il leader del Carroccio. Non è nelle sue corde fare il capopartito; è focalizzato sul suo Veneto; avrebbe non poche difficoltà a calarsi nei panni del leader di un movimento politico che ha consolidato la propria presenza su un territorio ben più esteso del tradizionale perimetro padano, lui che non è stato totalmente leghista neanche quando era un giovane militante della Lega. I numeri elettorali spiegano molto dell’“anomalia Zaia”. Alle Regionali del 2020, la lista personale del candidato presidente Luca Zaia raccolse il 44,57 per cento dei consensi, mentre la lista della Lega ottenne il 16,92 per cento. Uno scarto troppo ampio per essere giustificato come il consenso trasversale ottenuto dal buon governo del presidente uscente. I numeri dicono che in Veneto c’è un partito di Zaia e poi c’è la Lega. La conferma? Alle Europee del 2019, assente una lista ad personam del Governatore, la Lega, che in quel momento viaggiava col vento in poppa, raccolse un trionfale 49,88 per cento. Trionfale, ma pur sempre molto al di sotto della somma dei voti raccolti dalla lista Zaia e da quella della Lega l’anno successivo alle Regionali.
Come risolveranno Meloni e Salvini il “rompicapo” Zaia? Il bello dei ragionamenti ipotetici è che sono sempre ricevibili, anche quelli più strampalati purché vengano correttamente argomentati. Ne azzardiamo uno sul quale siamo disposti a scommettere un simbolico euro. E se fosse la prossima Commissione europea l’approdo disegnato da Meloni e Salvini per Luca Zaia? Pensateci un attimo. Lui ha certamente quello che si definisce le physique du rôle del commissario europeo; ha un curriculum istituzionale di tutto rispetto; non è mai stato euroscettico quanto i colleghi di partito del nuovo corso salviniano; ha competenze specifiche in settori importanti come l’industria e l’agricoltura. Chi meglio di lui a Bruxelles, tenendo conto che Fratelli d’Italia non avrebbe alcun esponente in grado di ambire a quel ruolo ad eccezione di Raffaele Fitto, preso però dalla gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che lo vedrà impegnato fino al 2027 e oltre? La strada verso Bruxelles si spianerebbe per Luca Zaia a maggior ragione se in estate il Consiglio europeo decidesse di chiamare l’italiano Mario Draghi a presiederlo in luogo del dimissionario Charles Michel. È un gioco a incastri. Draghi, in prima fascia nell’organigramma della prossima architettura istituzionale comunitaria, sottrarrebbe all’Italia il diritto di chiedere per sé un posto di primaria importanza all’interno della nuova Commissione europea. Tra i ruoli di seconda fascia all’interno della Commissione, un incarico, ad esempio, all’Agricoltura e sviluppo rurale farebbe invece di Luca Zaia l’uomo giusto al posto giusto. La promozione al vertice europeo gli consentirebbe di lasciare prima della scadenza naturale del mandato, senza rimpianti e salutato da ventuno salve di cannone, la poltrona di Palazzo Balbi.
Fantapolitica? Può darsi. Ma il centrodestra ci ha abituato ai finali a lieto fine. Gli unici che continuano a scambiare i fuochi fatui dei cimiteri per lucciole della vittoria sono quelli della sinistra. Anche stavolta resteranno a becco asciutto. Poveri illusi.
Aggiornato il 22 febbraio 2024 alle ore 10:00