Cori indignati e meditabondi hanno accolto la decisione con la quale – schermandosi dietro burocratici cavilli da Azzeccagarbugli – si è finora impedito di presentare, prima a Napoli, poi nel carcere milanese di San Vittore, il libro del presidente emerito della Corte costituzionale Giuliano Amato e della giornalista Donatella Stasio, che della Corte costituzionale è stata stimata portavoce. Anche chi scrive è indignato e meditabondo, ma non sorpreso. Il libro ha per titolo: Storie di diritti e di democrazia. La Corte costituzionale nella società. Già questo giustifica i divieti: parlare in un carcere di diritto e di democrazia? Nei giorni di questo inizio 2024, scanditi da un suicidio ufficiale di detenuti ogni due giorni? Proprio quando qualcuno al Governo concepisce che debba essere punita ogni forma di protesta, anche quella nonviolenta come il rifiuto del cibo o percuotere le sbarre della cella con le stoviglie?
Ma davvero Stasio e Amato pensano di poter andare a parlare del loro libro a loro piacimento? Tempestivo il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ricorda loro: 1) La richiesta della presentazione è arrivata troppo tardi (vai a sapere quali sono i tempi perché non si arrivi tardi). 2) L’iniziativa non fa parte del percorso formativo dei detenuti (giusto: da quando parlare di diritti e di democrazia è un percorso formativo?). 3) L’iniziativa non rientra nell’ambito di un progetto trattamentale.
“Progetto trattamentale”. Ho cercato di approfondire questa espressione. Lo spiega una circolare, sempre del Dap, che risale al 2005: “Con trattamento o patto trattamentale, il detenuto si impegna formalmente, con la sottoscrizione di detto documento alla presenza del Direttore dell’Istituto, a dare la propria collaborazione e a seguire responsabilmente il progetto concordato, avendo compreso il significato delle offerte trattamentali che gli sono state proposte dagli operatori, relativamente a: lavoro; corsi di istruzione; attività culturali, ricreative e sportive; rapporti con la famiglia”.
Se ne deduce che storie che hanno a che fare con diritti e democrazie non fanno parte dei corsi di istruzione e delle attività culturali.
Perché non ci si stupisce? Un passo indietro. Nel febbraio di due anni fa, un altro divieto a un detenuto sottoposto al regime del 41-bis a Viterbo che voleva acquistare un libro. Il detenuto non aveva chiesto un manuale della perfetta evasione. Non è un testo scritto da terroristi, non istiga alla violenza o alla sovversione. Il libro in questione è Un’altra storia inizia qui. “Qui”, è il carcere; è una riflessione di due personaggi insospettabili: l’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, poi ministro della Giustizia; e un docente di criminologia, il professor Adolfo Ceretti; si confrontano con il magistero del defunto arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini.
Certo: introdurre in carcere un testo intriso di Costituzione e diritto può risultare estremamente pericoloso. Meglio non rischiare deve aver pensato l’occhiuto censore, che ha anche motivato il divieto: “Il possesso del libro metterebbe il detenuto in posizione di privilegio agli occhi degli altri detenuti, aumenterebbe il carisma criminale”.
Insomma, Stasio e Amato con i loro diritti e democrazia hanno un precedente illustre. Siamo praticamente a Carnevale, ma questi non sono scherzi.
Aggiornato il 07 febbraio 2024 alle ore 15:15