Come riportato dalla stampa nazionale, a seguito dell’occupazione di una settimana del Tasso, storico liceo classico capitolino, il preside Paolo Pedullà ha inflitto una dura sanzione ai ragazzi che avevano occupato il 4 dicembre scorso, sospendendoli per 10 giorni e obbligandoli a svolgere nel pomeriggio alcune attività socialmente utili, oltre a dar loro un 5 in condotta. Le misure dovrebbero essere discusse a metà del mese. La linea dura incassa l’apprezzamento del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, per la fermezza dimostrata in merito alle occupazioni dell’Istituto, e del corpo docente, solidale con la linea adottata dal preside.
Ma il Partito democratico non ci sta. Dimostrando in questo caso che la sua sbandierata propensione per la legalità appare a corrente alternata, alcuni suoi esponenti hanno stigmatizzato la punizione inflitta ai ragazzi, ritenendola eccessivamente severa. Questa la presa di posizione di Michela Di Biase, capogruppo dem in Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’Adolescenza: “La dirigenza scolastica del liceo Tasso di Roma ha proposto ai consigli di classe una punizione durissima contro gli studenti che hanno occupato la scuola nelle scorse settimane: dieci giorni di sospensione con attività sociali forzate e cinque in condotta. Una scelta che non risponde ai valori di inclusività che dovrebbero essere alle basi delle istituzioni scolastiche – ha sottolineato – la scuola non è un luogo di punizione ma di dialogo. Il principio punitivo deve essere commisurato alle azioni compiute e non può prevalere sui principi educativi e formativi”. Dello stesso tono la risentita presa di posizione di Enzo Foschi, segretario del Pd romano: “Modo più sbagliato per dare risposte a chi pone domande non ce n’è. L’occupazione di una scuola non può essere risolta con la repressione. È chiaro che chi occupa una scuola – e lo abbiamo fatto in tanti – lo fa per manifestare un disagio e per porre domande. Ma se le risposte che arrivano sono 5 in condotta e sospensioni non ci siamo”.
A questa vera e propria apologia dell’illegalità ha risposto in modo assolutamente condivisibile il ministro Valditara: “La scuola costituzionale e dunque democratica è quella che insegna a rispettare le regole e a coniugare libertà con responsabilità”. Sulla stessa linea i professori: “La scuola è un luogo pubblico, condiviso dall’intera comunità che lo frequenta: studenti, docenti, personale Ata. Impedirne la fruizione è un atto illegale. Chi lo ha fatto ne era consapevole, così come era consapevole delle conseguenze, stabilite e pubblicate nel Regolamento di disciplina, alla cui redazione hanno contribuito i rappresentanti delle studentesse e degli studenti nel Consiglio di istituto”.
Evidentemente, sia gli studenti che hanno compiuto questo atto illegale e sia i politici di sinistra che ne giustificano il comportamento sembrano piuttosto carenti in filosofia, dal momento che si ha l’impressione che essi non abbiano letto nulla del grande filosofo illuminista Immanuel Kant. E a loro beneficio vorrei concludere il commento con un suo famoso pensiero: “Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo, ma ognuno può ricercare la sua felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo, in guisa che la sua libertà possa coesistere con la libertà di ogni altro secondo una possibile legge universale, cioè non leda questo diritto degli altri”. Ebbene, occupando una scuola pubblica si può sostenere che non venga affatto limitata l’altrui libertà? Io non credo proprio.
Aggiornato il 16 gennaio 2024 alle ore 10:03