Avendo chiarito, seppur sinteticamente, la portata e la sostanza dell’eredità intellettuale di Benedetto XVI, ad un anno dalla sua morte, quale soluzione per la salvezza del mondo occidentale, non resta che esaminare la sua eredità teologica per la salvezza del mondo cattolico. La vasta e profondissima investigazione teologica di Benedetto XVI può a stento essere riassunta, coinvolgendo la teologia dogmatica, la teologia morale, la ecclesiologia, la mariologia, la cristologia e praticamente tutte le altre discipline del pensiero teologico. Ma in questa sede, per ragioni di spazio e tempo, si può e si deve restringere il campo focale ai tratti strutturali della sua elaborazione, distinguendo il metodo dal merito.
Sul piano del metodo, vengono in rilievo almeno tre elementi imprescindibili. In primo luogo: la fede cristiana è una fede diversa dalle altre, poiché inscindibile dal Logos, sia in quanto l’uomo è naturalmente dotato di ragione, sia in quanto l’uomo è cristianamente creato ad immagine e somiglianza del Logos creatore. In questo senso, non a caso, Ratzinger ha chiarito che “il legame tra Dio della fede e Dio dei filosofi è fondamentale e in quanto tale legittimo” (Dio della fede e Dio dei filosofi), poiché, come ha precisato nel tanto ingiustamente vituperato discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006, “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”.
In secondo luogo: per la comprensione teologica del Cristianesimo è fondamentale il ruolo del teologo, ma secondo la corretta impostazione, cioè quella secondo la quale non deve essere la fede che si adegua ai teologi, ma devono essere i teologi a doversi adeguare alla fede. Pur nella specificità dello studio razionale e della ricerca continua che la teologia implica, le risultanze di tale ricerca, sia nel campo dogmatico quanto in quello morale, non possono venire a trovarsi in opposizione e in contrasto con il dato di fede della Chiesa. Come Prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede, Ratzinger ha specificato, infatti, che “il teologo, non dimenticando mai di essere anch’egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede. La libertà propria alla ricerca teologica si esercita all’interno della fede della Chiesa” (Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo).
In terzo luogo: il criterio più sicuro per evitare ogni soggettivismo etico e teoretico, tanto in ambito teologico, quanto in ogni altro contesto dell’esistenza, è il criterio di verità, quello fondativo del principio di realtà intendibile alla luce dell’umana ragione. In tale prospettiva, allora, la verità deve sempre essere necessariamente ricercata, riconosciuta e difesa da ogni eventuale deriva anti-veritativa, come quella del pragmatismo che, anche in ambito ecclesiale e teologico, minaccia la razionalità teologica e naturale della Chiesa e dell’uomo. Ratzinger, infatti, ha più volte messo in guardia dal tranello secondo il quale la legittimazione della realtà provenga in modo autoreferenziale dalla realtà medesima secondo la presunta normatività del dato di fatto, tranello in cui più volte sono ricadute la civiltà odierna occidentale e parte della stessa Chiesa. Non a caso Benedetto XVI ha scritto che “non è la prassi a creare la verità, ma è la verità che rende possibile un’autentica prassi” (L’elogio della coscienza).
Tutto ciò premesso sul piano del metodo, occorre adesso attenzionarne le ricadute sul piano del merito, in relazione ad almeno tre temi cari alla riflessione teologica di Benedetto XVI: il rapporto tra l’uomo e la storia; la Chiesa; l’Europa. Sotto il primo aspetto, le ideologie e le correnti culturali che negli ultimi tre secoli sono state dominanti all’interno della civiltà occidentale si sono sempre fondate su un tratto comune, cioè l’idea che la salvezza umana possa avvenire all’interno della storia per il tramite dei soli mezzi che, prometeicamente, l’uomo procura da sé e per sé. In tale direzione si possono spiegare tutte le degenerazioni recenti e attuali che, assolutizzando il principio immanentistico, hanno sostanzialmente contribuito alla creazione del fenomeno totalitario nel XX secolo e alla diffusione dell’idea secondo la quale l’unica dimensione soteriologica che gode di indiscutibile validità è quella del progresso, in genere, e di quello tecnico-scientifico, in particolare.
Ratzinger, invece, per un verso ha chiarito che lo Stato non può essere assolutizzato e considerato totalmente in grado di assorbire l’intera vita dell’essere umano, poiché “la fede cristiana ha distrutto il mito dello Stato divino, il mito dello Stato-paradiso e della società senza dominio o potere. Al suo posto ha invece collocato il realismo della ragione” (Liberare la libertà), e, per altro verso, ha esortato a diffidare dei due atteggiamenti oggi ampiamente diffusi, cioè sia dell’idolatria tecnofila, sia del primitivismo tecnofobo, poiché “la tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da un lato, oggi, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo di sviluppo, dall’altro si assiste all’insorgenza di ideologie che negano in toto l’utilità stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente anti-umano e portatore solo di degradazione. Così, si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un’opportunità di crescita per tutti. L’idea di un mondo senza sviluppo esprime sfiducia nell’uomo e in Dio. È, quindi, un grave errore disprezzare le capacità umane di controllare le distorsioni dello sviluppo o addirittura ignorare che l’uomo è costitutivamente proteso verso l’essere di più. Assolutizzare ideologicamente il progresso tecnico oppure vagheggiare l’utopia di un’umanità tornata all’originario stato di natura sono due modi opposti per separare il progresso dalla sua valutazione morale e, quindi, dalla nostra responsabilità” (Caritas in veritate). Come ha osservato, infatti, l’idea del progresso si è sostituita a quella della verità, ma “se non c’è nessuna direzione tutto quanto può essere altrettanto bene progresso quanto regresso” (L’elogio della coscienza). Ed ecco che in questo frangente si rende quanto mai concreta la logica cristiana che propone la salvezza all’uomo nella storia, ma per condurlo oltre i limiti materiali e temporali della stessa in quanto, sempre con le parole di Ratzinger, “uno degli elementi caratteristici della fede biblica è che non solo unisce gli uomini al di là dei confini di lingua e popoli, ma supera anche la distanza dei secoli. Forse è proprio una sua caratteristica quella di avere una storia ed essere un cammino che all’inizio appare del tutto diverso sa quello che sarà alla fine, appunto in questo rimane la sola strada che conduce gli esseri umani a Dio” (Il tempo e la storia).
Il secondo tema centrale della riflessione teologica di Benedetto XVI è la Chiesa, la sua natura, la sua funzione, la sua vocazione. Se oggi, sia dentro che fuori di essa, la Chiesa è sempre più intesa come una grande associazione di carattere orizzontale, tesa specialmente ad operare nel cosiddetto “ambito sociale”, quasi avendo dimenticato la sua fondazione divina e il suo scopo sociale esclusivamente consistente nella salus animarum, Ratzinger ha potuto dirimere le nebbie degli equivoci più diffusi anche su questo delicatissimo argomento. Non soltanto Ratzinger ha osservato che “la Chiesa infatti non esiste allo scopo di tenerci occupati come una qualsiasi associazione intramondana e di conservarsi in vita essa stessa, ma esiste invece per divenire in noi tutti accesso alla vita eterna”, bensì per un verso ha puntualizzato che i cattolici non possono plasmare la Chiesa secondo i propri capricci, ma semmai devono plasmare se stessi secondo la natura della Chiesa in quanto “la reformatio, quella che è necessaria in ogni tempo, non consiste nel fatto che noi possiamo rimodellarci sempre di nuovo la nostra Chiesa come più ci piace, che noi possiamo inventarla, bensì nel fatto che noi spazziamo via sempre nuovamente le nostre proprie costruzioni di sostegno, in favore della luce purissima che viene dall’alto e che è nello stesso tempo l’irruzione della pura libertà”, e, per altro verso, che “non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana” (La Chiesa. Una comunità sempre in cammino).
Il terzo tema caro alla riflessione di Benedetto XVI è l’Europa, cioè quella entità culturale e spirituale che è ben lontana e diversa dalle attuali istituzioni della odierna Unione europea quale istituzione burocratico-bancaria priva di ogni fondamento umano, democratico e trascendente. Il pensiero di Ratzinger verso l’Europa è sempre stato sollecito di preoccupazione poiché, ben prima di ogni tempo maturo, aveva già intuito i pericoli e le nefaste conseguenze di una civiltà europea dimentica delle sue radici cristiane e ostaggio del suo stesso relativismo etico e culturale. Secolarismo, multiculturalismo e nichilismo, dunque, sono stati sempre indicati dal Pontefice tedesco come i principali problemi della perdita di identità che ha caratterizzato il Vecchio Continente in quella delicata fase di passaggio storico tra il XX e il XXI secolo. In tale ottica ha precisato, infatti, che “l’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza basi comuni, senza punti di orientamento offerti dai valori propri. Sicuramente non può sussistere senza il rispetto di ciò che è sacro. Essa comporta l’andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi (…). Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche a un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo, la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi (…). I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità” (Europa. I suoi fondamenti oggi e domani).
In ciò, dunque, consiste l’eredità teologica di Benedetto XVI, cioè nel profondissimo richiamo all’essere e al dover essere dell’uomo, della Chiesa e dell’Europa, proprio in un’epoca che ha deciso di lottare contro l’essere e quindi contro tutto ciò che c’è di umano, di divino e di naturale nel mondo: tenere a mente e diffondere i suoi insegnamenti dentro e fuori il mondo cattolico, allora, significa non tanto e non solo tramandare una specifica memoria storica magisteriale, ma professare nel modo più semplice e diretto quella autenticità del messaggio cristiano che, ahinoi, oggi sembra sempre più offuscato anche e soprattutto all’interno dello stesso Cattolicesimo.
Aggiornato il 05 gennaio 2024 alle ore 09:39