Nel variegato settore dell’opinionismo nazionale mi sembra di individuare due precise categorie di commentatori e analisti: quelli orientati politicamente ma liberi da qualsiasi condizionamento politico a priori e quelli altrettanto orientati ma sempre o quasi allineati con le tesi dei partiti o delle coalizioni di riferimento, così come accade nell’ambito delle tifoserie calcistiche.
Ora, soprattutto in Italia, Paese delle fazioni per antonomasia, la seconda categoria risulta essere in schiacciante maggioranza, dal momento che aderendo idealmente alla seconda si farebbe ben poca strada, raccogliendo scarsi onori e scarsi emolumenti. Tant’è che, nell’area culturale di centrodestra, sono stati ben pochi coloro i quali hanno avuto il coraggio di raccontare la questione dell’infinita ratifica del Mes – poi bocciata da un voto della Camera dei deputati su iniziativa di Lega e Fratelli d’Italia – nella sua versione assolutamente strumentale e legata a dinamiche elettorali che ben poco hanno a che vedere con la realtà delle cose.
In particolare, tra i tanti, mi hanno colpito le dissertazioni di Fabio Dragoni, giornalista molto attivo in tv e nei quotidiani di area governativa, il quale in un recente intervento su La7 ha ripreso e sostenuto una delle principali argomentazioni con cui i fautori politici della mancata ratifica, Matteo Salvini in testa, hanno spiegato la scelta al loro elettorato di riferimento. In estrema sintesi, il bocconiano Dragoni ha dichiarato che nei casi più estremi di salvataggio riguardante il settore bancario (poiché il nuovo Mes estende per l’appunto anche alle banche il medesimo meccanismo di salvaguardia, operativo da molto tempo, di cui godono i singoli Stati della zona euro), all’Italia potrebbe essere richiesto di versare l’intera quota di partecipazione al Mes, volgarmente definito Fondo salva-Stati e non ancora salva-banche.
In soldoni, ciò starebbe a significare che, oltre ai circa 14 miliardi già versati, ci troveremmo a dover affrontare un esborso di oltre 110 miliardi di euro, dato il nostro Paese rappresenta il terzo contributore, dopo Germania e Francia. Secondo Dragoni, sempre riprendendo il teorema di Salvini, non sarebbe corretto caricare sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati italiani il costo del salvataggio di una o più banche tedesche.
Ora, per aiutare il lettore a comprendere quanto lontani ci si trovi dalla realtà, basti dire che la stessa Germania, contrariamente all’Italietta del debito pubblico monstre, ha un grande spazio di manovra in situazioni di gravi dissesti bancari. Infatti, quando ci fu la crisi del 2007/2009, il governo tedesco stanziò circa 250 miliardi di euro per sostenere il sistema creditizio, senza creare soverchi problemi ai conti pubblici.
Inoltre, la paventata eventualità di dover sborsare l’intera quota del Mes sottoscritta – cosa che per la cronaca riguarderebbe tutti e venti i Paesi aderenti – pur prevista nei trattati, costituisce una di quelle eventualità che definire remote sarebbe eufemistico. In pratica, la principale valenza del Mes, che è solo uno degli strumenti che la zona euro potrebbe mettere in campo in situazioni di emergenza, è quella di un efficace deterrente contro la speculazione finanziaria. Oltre al fatto che non stiamo parlando di quattrini concessi a fondo perduto, come una parte di quelli che l’Italia ha ricevuto attraverso il famoso Pnrr, bensì di prestiti.
Ebbene, per chiudere con un paragone a mio avviso calzante, è più facile che una persona venga colpita da un meteorite proveniente dallo spazio (negli ultimi settant’anni si sono registrati nel mondo solo due casi, di cui uno sospetto), piuttosto che al contribuente italiano venga chiesto di salvare le banche tedesche, versando in un’unica soluzione un cifra corrispondente a 3 o 4 manovre finanziarie. Pura fantascienza.
Aggiornato il 03 gennaio 2024 alle ore 09:28