In alto i calici, brindiamo! A cosa? Al nuovo anno, ovviamente. Ci vuole ottimismo, non possiamo sempre tirarci dietro la sfiga. Finora ce la siamo cavata e, bisogna ammetterlo, il Governo Meloni in questo ha dato una mano. Perché non desiderare il meglio? Non siamo per piangerci addosso. Non ci piace credere che povero sia bello. Il comunismo degli stracci è un pensiero che la nostra mente non contempla. Tuttavia, bisogna essere anche realisti. Siamo quel che siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti; con le nostre ricchezze e le nostre miserie. E l’Italia non è l’ombelico del mondo. Il nostro futuro, piaccia o no, dipende molto dalle azioni di coloro che hanno il potere di decidere se per l’umanità vi sarà un futuro. E quale. Nel grande teatro della politica globale, da italiani, non assistiamo allo spettacolo dal loggione, ma neanche dal palco reale. Nondimeno, nel nostro piccolo di piattaforma distesa nel cuore del Mediterraneo qualcosa di importante possiamo farla. Il 2024 sarà decisivo. Non lo diciamo perché è consuetudine augurarselo al sorgere di un nuovo anno. Il 2024 sarà ricordato nella memoria collettiva come un “tornante della Storia”. E non perché, come cantava Lucio Dalla, sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno, ma per la calendarizzazione di alcuni eventi destinati a incidere sul futuro geopolitico del pianeta. Vediamo quali.
Nel marzo del 2024 in Russia si voterà per eleggere il nuovo presidente della Federazione. Vladimir Putin ha annunciato la sua candidatura per il quinto mandato. A causa di ciò, la votazione si trasformerà in un plebiscito sulla persona. Se dovesse vincere con ampio margine, il segnale inviato da Mosca al mondo sarebbe potentissimo. Come a dire: la Russia (146 milioni di anime) è Putin, Putin è la Russia. Capirete bene che per un Occidente il quale finora ha ceduto alla propaganda sul Putin tiranno moribondo, pazzo, finito, fallito, emarginato, spaventato, fare i conti con un personaggio che rappresenta a pieno titolo la prima potenza nucleare mondiale (ex aequo con gli Usa) e ha alle spalle tutto il suo popolo, diventa impresa ardua. Soprattutto adesso che, nella guerra contro l’Ucraina, l’esercito russo sta avendo la meglio. Eppure, con Putin si dovrà inevitabilmente trattare per chiudere il conflitto. Ma non facciamoci illusioni. Il prezzo da pagare per negoziare la pace sarà salato. Anche l’idea di un congelamento dello status quo in una sorta di cessate-il-fuoco a tempo indeterminato (modello coreano) oggi non basta più. La base negoziale dalla quale partirà il leader russo prevedrà la completa smilitarizzazione dell’Ucraina e la ridefinizione delle aree d’influenza ai confini europei della Federazione Russa, oltre al riconoscimento dell’annessione del Donbass e della Crimea.
In giugno si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Potrebbe essere la volta buona di uno spostamento epocale dell’asse della politica comunitaria dal centrosinistra al centrodestra. Molto dipenderà dal risultato che otterranno in complessivo i conservatori capitanati, in Europa, da Giorgia Meloni. Ma conterà anche quello dei sovranisti di Marine Le Pen e Matteo Salvini. Una crescita oltre le previsioni, nel prossimo Palamento europeo, del Gruppo di Identità e democrazia spingerebbe i popolari a guardare a destra per cercare l’accordo con i conservatori e i liberali allo scopo di sterilizzare l’opposizione parlamentare dei sovranisti. Mettere la sinistra fuori dai giochi di Bruxelles significherebbe per l’Europa vivere una palingenesi.
Martedì 5 novembre 2024 gli americani andranno alle urne per eleggere il 47mo Presidente degli Stati Uniti d’America. Al momento, l’uscente Joe Biden intende ricandidarsi. I sondaggi però lo danno nettamente sfavorito rispetto al candidato dei Repubblicani che, salvo sorprese, sarà Donald Trump. Con lui nuovamente alla Casa Bianca la politica statunitense cambierà rotta. Sarà più isolazionista e ciò provocherà una tensione con gli alleati dell’Unione europea. Il programma trumpiano, che è sintetizzato dal claim “America first”, finirà per essere un colpo di maglio sui rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. E per come è conciata l’economia europea, non ci sarà da gioire. Se a questi tre appuntamenti aggiungiamo l’interrogativo su cosa farà la Cina per risalire la china dopo il crollo del suo Pil nel biennio 2022-2023 e il dubbio su come si chiuderà la guerra nella Striscia di Gaza, posto che il conflitto non si estenda ad altri attori regionali come lo Yemen pilotato dall’Iran, la fotografia che il 2024 ci restituirà sarà molto diversa da quella del mondo attuale. Il fatto però che lo scenario globale sia destinato a mutare sensibilmente non ci esime dal dovere di curare casa nostra.
Con il nuovo anno il Governo Meloni si avvia a compiere metà del percorso legislativo. Finora si è ben comportato, ma è mancato il colpo d’ala. È giunto il momento di dare concretezza a quelle riforme destinate a cambiare il volto del Paese e la vita degli italiani. Palazzo Chigi non deve occuparsi di tutto lo scibile umano, ma deve focalizzare l’azione di governo su quelle tre/quattro riforme strutturali che servono al Paese. Parliamo della riforma fiscale, della riforma della Giustizia. Bisogna mettere mano a una seria opera di sburocratizzazione della Pubblica amministrazione. Occorre un impegno forte nella lotta alla povertà (nel 2022 in Italia ci sono stati 5 milioni 674 mila poveri assoluti) e al lavoro sottopagato. È indispensabile velocizzare il piano di infrastrutturazione e di digitalizzazione della nazione spingendo lo stadio di avanzamento dei lavori avviati grazie alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Perché l’impatto delle riforme attuate da un governo venga metabolizzato dalla popolazione occorre tempo. È ora che la Meloni faccia le cose promesse in campagna elettorale, per sperare che gli italiani le rinnovino la fiducia per un’altra legislatura. Facile a dirsi, difficile a farsi. Rebus sic stantibus, non resta che farci gli auguri. Che ce n’è bisogno.
Aggiornato il 02 gennaio 2024 alle ore 09:43