Si torna a parlare del Ponte sullo Stretto. Di Messina, s’intende.
È infatti l’ex sindaco del comune siciliano, Renato Accorinti, che apre (di nuovo) il fuoco. Da quanto s’è potuto capire, da una conferenza all’altra, l’ex primo cittadino è contrario alla monumentale opera non tanto o non soltanto per gli enormi costi, quanto (soprattutto) per ragioni cosiddette paesaggistiche. È ben vero che un ponte del genere non può non influire sull’ambiente e sulla sua cosiddetta fotografia di oggi. Infatti, la grandiosità, la indubbia monumentalità dell’opera non possono non incidere sullo sguardo, modificandone (di molto) la natura. Ma ciò dipenderà in larghissima misura dalla tipologia, dalla struttura globale dell’insediamento, dalla qualità cioè della costruzione che non potrà che essere “a regola d’arte”.
Si dice proprio così parlando di una simile “grande infrastruttura” che occuperà, oltre a migliaia di lavoratori, spazi vuoti e li riempirà nella misura in cui ridurrà i tempi dell’attuale attraversamento. Di questo occorrerebbe discutere soprattutto da parte di un ex sindaco (bravo) che non può essere un cittadino qualsiasi, checché ne pensino i tipi alla Beppe Grillo che ci inondano quotidianamente di intermezzi scritti e vocali sull’utilità di qualsiasi intervento, manco fossero i novelli architetti-urbanisti della nostra era. Figuriamoci...
C’è, secondo noi, un motivo di fondo per simili atteggiamenti e va ricercato nella ormai generale e voluta disinformazione del cosiddetto cittadino normale che, in realtà, è informato più di quanto si pensi. Benché, lo ripetiamo, a questa conoscenza per dir così di prima mano, sarebbe necessaria l’aggiunta di un’analisi maggiormente capace, innanzitutto, di attualizzare l’opera. Che tra l’altro nessuno esclude né sottovaluta per principio, anche se si stenta ad afferrarne la priorità dell’investimento e dell’intervento della occupazione, come si diceva, di migliaia di lavoratori. O la disoccupazione non esiste più?
Per prima cosa basterebbe sviscerarne la necessità (oltre che l’impatto finanziario e ambientale, ovviamente) che è da tutti (anche dall’ex sindaco Accorinti) ammessa se non implorata. Una necessità per dir così storica per un’isola che da secoli ha conosciuto soltanto la parola emigrazione. Ma il problema di fondo resta comunque, cioè quello che abbiamo chiamato “qualità”.
Ciò che delude a tal proposito è appunto l’assenza di una riflessione qualitativa, una ricerca del bello che non può che non nascere da un grande concorso internazionale dei migliori architetti-artisti, consapevoli cioè di intervenire “storicamente” con una costruzione irripetibile la cui monumentalità risiede, duemila anni dopo, nella sua stessa definizione.
Si resta sorpresi dalla povertà di dialogo, a proposito del ponte, fra le stesse realtà politiche sia siciliane che nazionali, forse perché ridotte o costrette ad occuparsi di questioni ritenute più urgenti e attuali in quanto fonti di polemiche mediatiche quotidiane. In tivù, ovviamente. Tutte dimentiche di quel “de minimis non curat praetor” che invece sovrintendeva gli interventi dei romani (antichi), peraltro sopravvissuti alle intemperie di millenni.
Parlare dell’impatto economico di una simile opera sarebbe comunque un buon inizio e qualcuno infatti si sta avviando su questa strada, ma già mettendo le mani avanti a proposito dei costi non meno monumentali. Ma allora, osserviamo noi, chi non conosce i costi milionari di un tratto di qualsiasi metropolitana? Forse perché trattasi di una costruzione sotterranea, cioè non visibile?
Aggiornato il 20 dicembre 2023 alle ore 10:38